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Il problema della libertà, dell’economia e del diritto non sono problemi di serie B rispetto a quelli sanitari; sono i motivi per cui l’occidente è fiorito nel corso dei secoli, sancendo alcuni primati etici e morali a garanzia di livelli di civiltà mai raggiunti prima. In relazione ai quali, ad esempio, il lavoro non è considerato solo un mezzo per procurarsi un salario, ma è anche motivo di dignità sociale imprescindibile. Bisogna dire una cosa con chiarezza: un sussidio di disoccupazione, per quanto giusto e indispensabile, è da considerarsi sempre una sconfitta. Perché se si giunge a quel punto, vuol dire che il senso della vita stessa è messo a rischio. Questo perché non siamo solo esseri biologici, spinti da questa modernità scientista alla ricerca di un’immortalità impossibile da ottenere. Siamo fatti anche di anima, racchiusa in un corpo destinato alla mortalità, che dobbiamo imparare a tornare ad accettare senza paura. È sconsolante, per non dire altro, aver visto gli italiani ripudiare in un secondo, per paura, qualsiasi loro passione, tra le quali anche quella del calcio. Un ripudio talmente veloce da far venire su una domanda spontanea: ma c’è qualcosa in cui gli italiani, oggi, credono veramente? Alcune persone, tra insulti e offese inenarrabili varie (fatte da individui che magari si autodefiniscono pomposamente “democratici”), hanno provato timidamente a sottolineare l’utilità sociale del calcio, incredibilmente, e in sole poche settimane, fatto regredire agl’occhi della pubblica opinione come bene voluttuario. Il calcio è portatore di una sicurezza economica per una moltitudine di persone, è espressione di una cultura che diventa memoria, è senso di appartenenza, è recupero di parte della nostra umanità. È, in altre parole, un bene comune. Come tutte le cose belle e utili, forse ne capiremo il valore solo se lo perderemo definitivamente. Si deve difendere il bene comune, specie in questo momento. Quando un primo ministro (e vi prego di non farne una questione politica) umilia il Parlamento negandogli la possibilità di esprimere un voto su una questione vitale per il Paese, e tutto ciò sembra non avere nessuna ripercussione, anche fosse solo emotiva, sulla pubblica opinione, allora il problema comincia ad essere davvero grave. Vuol dire che la paura sta vincendo su tutto. Quando si è smesso di cercare il bene comune, che non è solo la protezione del nostro presente egoistico?
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Con l’espressione “katà metron” (con misura), gli antichi greci usavano indicare la massima virtù da possedere. La misura indica sempre chi sa avere cura di sé, con una consapevolezza delle proprie possibilità e dei propri limiti. Oltre determinati confini, sosteneva Orazio, non può esistere il giusto. C’è una misura in tutte le cose, a raccontare come non sia molto conveniente cercare la felicità nella dismisura, che spinge le persone a volere ciò che non è in loro potere. Il Covid-19 ha messo a nudo la fragilità degli uomini contemporanei, li ha costretti a svelarsi, e al momento non è stato un bello spettacolo. Accettare di chiudersi in casa senza pensare alle conseguenze del domani, relativizzare i diritti legali e religiosi, credere a qualsiasi cosa diramata dalla scienza (che su questa vicenda non è riuscita a mostrare nessuna evidenza scientifica certa), arrendersi al caos e dimenticare le passioni, è stata una manifestazione di cedere al terrore a dismisura. Temo si pagheranno conseguenze non piacevoli, anche se ovviamente mi auguro di sbagliare. Spero e prego che per l’Italia non valga il rammento di Tucidide: “la peste segnò per la città l’inizio della corruzione… nessuno era più disposto a perseverare in quello che prima giudicava essere il bene, perché credeva che poteva forse morire prima di raggiungerlo”. L’Italia dovrà presto dimostrare di essere più forte della paura, e dovrà farlo anche attraverso il calcio. Non lo si abbandoni come idea, esso ha il potere di regalare gioia: ancora una volta. Ricordiamo ancora cosa è, la gioia?
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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