“Un affare in cui si guadagna soltanto
columnist
Perché Cairo ha torto
del denaro, non è un affare”.
Henry Ford
“Aiutami ad aiutarti” dice Tom Cruise/procuratore sportivo abbastanza in difficoltà a Cuba Gooding jr/giocatore di football con un carattere abbastanza difficile, in una scena topica dell’interessante e bel film “Jerry Maguire”. E’incredibile come l’arte, quando è efficace, ti ponga davanti ad una serie di rimandi, che vengono giù come un effetto domino. Ecco allora ritornare alla mente il celebre adagio “aiutati che Dio ti aiuta”, tante volte ascoltato nella mia vita ogni qual volta mi sono trovato in difficoltà e mi sono chiesto il perché mai Dio si fosse nascosto proprio alla mia vista. Chi mi invitava ad aiutarmi, poneva l’accento sul fatto di una “Provvidenza” della teologia cattolica come occasione, e sottolineo occasione, di sfruttarla come eccezionale propulsore delle infinite occasioni offerte dai momenti difficili della vita. Al contrario di quanto ritiene l’ottimo professor Umberto Galimberti, che ascolto e leggo sempre con estremo interesse, la “Provvidenza” non è un’attesa passiva di un miracolo o di una qualche svolta positiva, ma è una felice traccia sulle quali poggiare i nostri passi e trovare una via d’uscita alle nostre inquietudini. Volendo fare un’ardita analogia forse la “Provvidenza”, per una società di calcio, sono i tifosi. Sono loro, con la passione che li contraddistingue e l’impegno finanziario profuso sotto molteplici forme a favore dei loro colori, a dare sempre un’occasione al presidente pro tempore di segnalarsi nel mondo del calcio.
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I tifosi sono uniti da un amore e da una visione culturale convergente, riconoscendosi,incontrandosi, in ogni angolo del mondo. Ma che cosa è la cultura? Cultura è quello che gli antichi greci chiamavano “ethos”, cioè il luogo dove si vive in comune secondo una determinata concezione del mondo e delle cose, e si giudica la realtà secondo un determinato criterio etico. Nel caso di una squadra di calcio quel luogo è lo stadio, dove ogni tot di giorni, a cicli regolari, si celebra il rito, e nel rito il tifoso vuole riconoscere la sua concezione del mondo. Ecco perché si è parlato, per decine e decine di anni, di “attaccamento alla maglia”, come espressione visibile di dedizione, da parte dei giocatori, a quell’ethos così importante per il tifoso. Non si potevano ammettere,fino ad un certo punto della storia del calcio, estraniamenti alla maglia, perché i giocatori finché la indossavano sapevano, magari non comprendendolo fino in fondo, di appartenere e di rappresentare temporaneamente un luogo del mondo.
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E i proprietari pro tempore di questo luogo del mondo, ovvero i presidenti, non solo erano espressione dell’ethos, ma sapevano che più che esserne proprietari ne erano gestori. Perché nessuno può comportarsi da proprietario di un luogo dove si vivono in comune concezioni del mondo determinate. Sarebbe come se si volesse possedere senza nessun vincolo l’anima di una città. Non si può fare, è evidente; o almeno è stato evidente fino ad un certo punto della storia umana, in cui si può includere certamente a pieno titolo anche la storia del calcio. Lo sviluppo della tecnica in ogni campo ha cominciato un’opera estraniamento di alcuni “attori” dell’ethos, portandoli ad avere un’autonomia morale incomprensibile per il buon andamento delle cose. Lo sviluppo della tecnica giuridica e della tecnica dell’utilizzo del denaro, forse ha rappresentato un progresso ma non certamente uno sviluppo della società. Perché la tecnica non apre necessariamente scenari di senso e di salvezza, ma semplicemente funziona. Martin Heidegger, in un’intervista rilasciata al periodico tedesco “Der Spiegel” nel 1966, ebbe a dire come la tecnica stesse focalizzando l’uomo fuori dalle necessarie considerazioni imposte dall’ethos. “tutto deve funzionare – disse nell’intervista il filosofo tedesco, non senza una punta di angoscia - e il funzionare deve sempre spingere in avanti verso un ulteriore funzionare, con la tecnica a strappare e sradicare sempre di più l’uomo dalla terra. Ormai abbiamo rapporti puramente tecnici. Non è più la Terra quella su cui oggi vive l’uomo, che si è ridotto a vivere unicamente il pensiero calcolante,che ci consente solo di fare conti economici”.
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Una delle conseguenze dello stato di cose nella modernità descritta da Heidegger, è stata quella di aver persuaso la gente come tutto il mondo dovesse essere visto sotto l’occhio di un calcolo contabile; normale, quindi, come ad Urbano Cairo possa apparire normale e logico mostrarsi sorpreso dalle critiche feroci che una parte dei tifosi del Toro da qualche anno a questa parte gli sta rivolgendo: in fondo i conti delle entrate e delle uscite del Toro sono in ordine, e gli stipendi sono pagati regolarmente. L’impresa “Toro” è solida e sana. Bisogna capirlo Cairo, egli è figlio di un tempo dominato dalla tecnica descritto da Heidegger, un tempo che ha reso lo sport uno spettacolo e l’arte una merce. E la logica dello spettacolo e della merce non può che essere dominata solo ed esclusivamente dalla tecnica del calcolo. Ma la ricerca di senso, prima o poi, esce sempre fuori nelle vicende degli uomini, che possono anche essere oggetto di manipolazioni, e quindi credere per un attimo come il progresso della tecnica basti al loro tentativo di vivere, ma poi giunge un momento in cui essi, improvvisamente, decidono di volersi riappropriare del proprio ethos. L’enciclica “Caritas in Veritate” pone l’accento sulla necessità di riflettere sulla reale natura di un investimento nella vita di un impresa. “Investire – scrive Benedetto XVI – non è solo un fatto tecnico, ma anche un fatto umano ed etico”. La notevole struttura teologale ed intellettuale dell’attuale “Pontefice Emerito”, comprende, nel redigere un’enciclica con il focus sulla “carità”, come la verità debba essere necessariamente messa al centro anche di ogni avvenimento sociale.
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Ed è sorprendente la convergenza di pensiero di Heidegger e Benedetto XVI allorché pongono l’accento sulla tecnica che non è solo tecnica ma, come si sottolinea nella “Caritas in Veritate”, essa si “si inserisce nel mandato di coltivare e custodire la terra”. Ed è questo il punto che Urbano Cairo, dominato dalla tecnica del calcolo, non riesce proprio a comprendere, e in cui si sta dibattendo come un pesce impazzito in un acquario sconosciuto e incomprensibile per lui. Una società di calcio, essendo un ethos, non può mai essere gestita solo con la tecnica del calcolo delle entrate delle uscite. Come la carriera di un calciatore non può assumere esclusivamente la forza giuridica regalategli dalla “legge Bosman”. Fare impresa o esercitare una professione sono espressioni di una libertà umana che assume fascino e senso solo quando pone come metronomo delle sue decisioni la responsabilità morale. Lo sviluppo di qualunque ethos, quindi anche quello del calcio, è impossibile senza pensare anche al bene comune, senza considerare come la nostra libertà agisca all’interno di esso. La modernità che stiamo vivendo ci sta facendo indulgere, temo, in un fraintendimento del concetto di libertà e del diritto soggettivo. Delle nostre cose, nemmeno di quelle guadagnate con il sudore della fronte, non possiamo disporne senza nessun vincolo, perché, semplicemente, non viviamo da soli. Aver dato ai calciatori la “prateria” tecnico/giuridica della Legge Bosman non è stato regalargli uno spazio di libertà legittima, ma solo aver spostato il potere su di loro dai club ad una rete, spesso occulta ai più, di procuratori e mediatori che lentamente, e nel silenzio di ogni organo controllore, si è impossessata persino delle loro vite. Ci vuol poco a far diventare una legittima aspirazione di spazi di libertà, una perversione senza uscita. E’ la legge del dare e dell’avere assurta a fine, dotandosi persino di autonomia morale. Quelli come Urbano Cairo non hanno compreso la perversione in cui si sono calati, e non credo per un particolare tendenza alla malafede, ma forse perché hanno rimosso l’obbligo della responsabilità verso la collettività quando si gestisce un bene comune. Ho paura ci si trovi di fronte ad un evidente incapacità dell’imprenditore alessandrino di comprendere la gestione corretta di una squadra di calcio, portata avanti fino ad oggi con la logica di un ragioniere.
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Ma questo parrebbe lo spirito del tempo. Nel suo intervento di qualche giorno or sono al “Meeting” annuale di Comunione e Liberazione a Rimini, Mario Draghi ha lamentato problemi e possibili risoluzioni dei guai dell’Italia, ma si è dimenticato di fornire un solo perché dello stare al mondo degli italiani. Mi si può dire come da un ragioniere non ci si possa aspettare altro, è vero. Ma non si possono dare le coordinate corrette per costruire una cattedrale, se poi questa dentro e fuori è dominata dal deserto. Se ne ricordi Cairo ogni qual volta sottolinea di come lui abbia ricostruito un Torino distrutto dal fallimento. Un deserto non serve a nessuno, è solo sabbia. E prima o poi,la sabbia, scivola dalle mani senza lasciare nessuna traccia. Nemmeno di un buon affare.
Di Anthony Weatherill
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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