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Riprendere il campionato… O no?

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Loquor / Torna la rubrica di Anthony Weatherill con una puntata speciale. “La gioia è la nostra fuga dal tempo” di Simone Weil
Anthony Weatherill

“La gioia è la nostra fuga dal tempo”.

Simone Weil

Nell’enorme volume di chiacchiere sulla crisi generata dal Covid-19, comprensibili, che negli ultimi tempi ha assunto un carattere stroboscopico variamente stordente, temo ci siano molte variabili non percepite dalla pubblica opinione. Questo perché la paura, tramutatesi presto in terrore in ampie fasce della popolazione, ha sì il carattere preventivo, e positivo, di salvaguardare, ma ha un rovescio della medaglia dal carattere sempiterno da caos. E il caos, come suo status ovvio e naturale, non aiuta mai a pensare; non fa rifluire dentro le persone il balsamo prezioso delle qualità contenute nel pensiero. Il noto chef toscano Fabio Picchi, nel corso di una trasmissione televisiva, ha fatto pacatamente notare come dietro la vendita di un semplice pollo arrosto, ci sia un filiera di almeno dieci persone occupate a lavorare affinché quel pollo arrosto giunga su una tavola italiana. Dieci persone ovviamente rimaste disoccupate nel corso del lockdown. Persone che con quel reddito procurato sul lavoro del pollo arrosto, avrebbero indotto altro reddito in vari settori della società italiana. Già Marx ed Engels, nel “Manifesto”, avevano fatto notare come l’operaio, non appena ricevuto salario, si vedeva “piombare addosso il padrone di casa, il bottegaio, il prestatore a pegno, e così via”; dando vita, così, ad un aforisma di descrizione semplificata di cosa sia la circolazione del denaro, e il conseguente accumulo di valore fittizio o reale che sia, di una società basata sul libero scambio delle prestazioni d’opera o delle merci.

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Fa impressione come persone nate, cresciute e formatesi a livello esperienziale in una società capitalista, abbiano potuto dimenticare in poche settimane quali regole abbiano per secoli determinato le certezze materiali e immateriali della società occidentale, di cui esse stesse hanno goduto, nel bene e nel male, fino ad oggi. Società occidentale con delle sue leggi, sicuramente criticabili, modificabili o abrogabili, a garantire equilibri socio/economici che solo una classe dirigente priva di razionalità e maldestra poteva mettere palesemente in discussione con modalità assai sgangherate. “Solo l’inconsistenza etica dei nostri governanti – scrive Giorgio Agamben -, poteva abolire per decreto il nostro prossimo”, facendo emergere in modo palese cosa non siamo disposti a rischiare per le nostre libertà, per le nostre intraprese e per i nostri affetti: non siamo disposti a rischiare la nostra incolumità. Se Agamben ha visto giusto, allora appare quanto mai tragicomica la discussione intercorrente tra autorità politiche e autorità sportive sulla ripresa o meno della Serie A. Perché il problema non si pone solo sulla conclusione di una stagione sportiva iniziata nel 2019, ma bisogna avere bene in mente come il problema si presenterà anche per le stagioni successive. Anche per le prossime olimpiadi giapponesi previste per l’estate 2021. Appare evidente, nonostante le molte chiacchiere e le molte speranze in corso, come un vaccino, semmai si trovasse, non si troverà in tempi brevi. Appaiono perfettamente inutili, quindi, alcune surreali polemiche in corso anche tra i tifosi, presi in polemiche se bisogna concludere o meno il campionato 2019/2020 per pensare a quello prossimo. Temo che, nello sproloquio generale, siano attecchite tante forme di soliloqui. Ognuno parla con se stesso, si prefigura mondi e ipotesi assolutamente soggettive, completamente avulse dalla realtà razionale.

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Il Covid-19 non sparirà, ci si dovrà convivere; bisogna saggiamente scegliere come ci si vuole convivere. Se si sta aspettando il contagio zero per riprendere l’agonismo sportivo, perché non si vuole rischiare assolutamente nulla, occorre essere conseguenti e rassegnarci al fatto che il calcio, parimenti a tutti gli sport di contatto, dovrà necessariamente cessare la sua attività per molti anni. Questo anche se si dovesse scoprire un vaccino, perché, come è noto, il vaccino non elimina completamente il rischio di contagio. Il problema qui, a mio parere, non è essere contro o a favore della ripresa del campionato, il problema è dare una coerenza alle nostre azioni, e alle nostre parole. Se l’incolumità assoluta al Covid-19 viene prima di qualsiasi altra cosa, allora la si smetta qui. Basta con lo sport agonistico, altrimenti, a prefigurarne un futuro prossimo, si compie esclusivamente retorica di bassa lega unita a qualche speculazione politica. Se invece si vuole una sua ripresa, allora forse bisogna cominciare a studiare un modo per viverlo con meno rischi possibili. Tra le tante cose a non sapersi sul Covid-19, c’è la certezza, appunto perché trattasi di un’infezione appartenente alla famiglia dei coronavirus, del manifestarsi in tutta la sua virulenza nei mesi più freddi. Allora un’ipotesi da prendere in esame potrebbe essere quella di far svolgere i campionati tra metà aprile e metà ottobre, interrompendo ogni attività agonistica quando le temperature cominciano ad essere più rigide. Ovviamente nei mesi più caldi occorrerebbe disputare gli incontri al calar della sera, per rendere meno gravoso lo sforzo fisico degli atleti e per facilitare il loro tempo di recupero tra un match e l’altro. E se qualcuno si ammala di Covid, si metta in quarantena solo l’ammalato, non tutta la squadra.

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È solo una modesta proposta, un invito a reagire ad un mondo confinato dietro ad una mascherina, ma niente obbliga la ripresa dello sport, se la maggioranza delle persone ha deciso non essere una priorità. La si smetta, però, di fare chiacchiere a vuoto, anche perché se dietro un pollo arrosto ci sono almeno dieci occupati, lascio all’immaginazione del lettore quanti occupati ci siano dietro una partita di calcio. Dal Comitato Olimpico Internazionale è stato fatto sapere, che se le olimpiadi dell’anno prossimo dovessero essere cancellate ben dieci federazioni internazionali andrebbero incontro ad un fallimento economico certo, e numerosi programmi d’aiuto sugli sport, operati dal CIO nei paesi del terzo mondo, cesserebbero all’istante per mancanza fondi. Si può decidere di farne a meno, si può decidere di fare a meno di tutto, basta prendere atto delle conseguenze di ogni nostra decisione. Dati recenti dicono come nelle ultime settimane i suicidi per motivi economici siano aumentati del 10% rispetto allo scorso anno, e forse liquidare con semplicistica faciloneria la terza industria del Paese, ossia il calcio, non appare proprio come una grande idea. Almeno non all’alba di una crisi economica dal volto peggiore di quella del 1929.

Quanti fraintendimenti procurano la paura e il conseguente caos da panico, possono procurare dei gravi deficit di discernimento dai quali non riusciamo a trovare rimedio. Mancanza di discernimento figli anche, diciamoci la verità con franchezza, di vuoti culturali preoccupanti e atti di presunzione di sé davvero inverecondi. Thomas Hobbes che scrive come “per bene dei cittadini non si deve intendere soltanto la conservazione, comunque, della vita,ma di una vita per quanto possibile felice”, sarebbe per questo oggi lapidato da quella parte di popolo convinto di aver come unica mission quella di salvarsi dalla morte da Covid-19. O almeno così appare. L’audience della ripresa della Bundesliga ha registrato ascolti tv addirittura triplicati, e sarebbe interessante, come dato rilevatore del reale attuale stato psicologico/sociale degli italiani, vedere quante persone si incollerebbero davanti alla tv per assistere alla ripresa della Seria A. la rinascita della vita economico/sociale in Italia non passerà in una continua lotta fra ragioni diverse, ma solo decidendo, a maggioranza qualificata, la strada da intraprendere. Niente mezze misure, niente incertezze, solo coerenza di pensiero e azione. Il problema non è stabilire quanto e come sia stato grave il Covid-19, toccherà agli storici appurarlo, ma stabilire in modo definitivo in quale modo si voglia vivere. E poi essere pronti a pagarne le conseguenze, nel bene e nel male. Tra tutti i medici interpellati dai mezzi d’informazione in questi ultimi mesi, ci sono stati pareri controversi e discordanti. Ma su un punto si è trovata concordanza: nessuno ancora sa abbastanza sul Covid-19, quindi la scienza procede, al momento, per ipotesi. Sarebbe tragico, per una nazione, aspettare in queste ipotesi fioriture di certezze. Potrebbero volerci anni, potrebbero non arrivare mai. E nel mentre?

Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.

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