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Il Covid-19 non sparirà, ci si dovrà convivere; bisogna saggiamente scegliere come ci si vuole convivere. Se si sta aspettando il contagio zero per riprendere l’agonismo sportivo, perché non si vuole rischiare assolutamente nulla, occorre essere conseguenti e rassegnarci al fatto che il calcio, parimenti a tutti gli sport di contatto, dovrà necessariamente cessare la sua attività per molti anni. Questo anche se si dovesse scoprire un vaccino, perché, come è noto, il vaccino non elimina completamente il rischio di contagio. Il problema qui, a mio parere, non è essere contro o a favore della ripresa del campionato, il problema è dare una coerenza alle nostre azioni, e alle nostre parole. Se l’incolumità assoluta al Covid-19 viene prima di qualsiasi altra cosa, allora la si smetta qui. Basta con lo sport agonistico, altrimenti, a prefigurarne un futuro prossimo, si compie esclusivamente retorica di bassa lega unita a qualche speculazione politica. Se invece si vuole una sua ripresa, allora forse bisogna cominciare a studiare un modo per viverlo con meno rischi possibili. Tra le tante cose a non sapersi sul Covid-19, c’è la certezza, appunto perché trattasi di un’infezione appartenente alla famiglia dei coronavirus, del manifestarsi in tutta la sua virulenza nei mesi più freddi. Allora un’ipotesi da prendere in esame potrebbe essere quella di far svolgere i campionati tra metà aprile e metà ottobre, interrompendo ogni attività agonistica quando le temperature cominciano ad essere più rigide. Ovviamente nei mesi più caldi occorrerebbe disputare gli incontri al calar della sera, per rendere meno gravoso lo sforzo fisico degli atleti e per facilitare il loro tempo di recupero tra un match e l’altro. E se qualcuno si ammala di Covid, si metta in quarantena solo l’ammalato, non tutta la squadra.
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È solo una modesta proposta, un invito a reagire ad un mondo confinato dietro ad una mascherina, ma niente obbliga la ripresa dello sport, se la maggioranza delle persone ha deciso non essere una priorità. La si smetta, però, di fare chiacchiere a vuoto, anche perché se dietro un pollo arrosto ci sono almeno dieci occupati, lascio all’immaginazione del lettore quanti occupati ci siano dietro una partita di calcio. Dal Comitato Olimpico Internazionale è stato fatto sapere, che se le olimpiadi dell’anno prossimo dovessero essere cancellate ben dieci federazioni internazionali andrebbero incontro ad un fallimento economico certo, e numerosi programmi d’aiuto sugli sport, operati dal CIO nei paesi del terzo mondo, cesserebbero all’istante per mancanza fondi. Si può decidere di farne a meno, si può decidere di fare a meno di tutto, basta prendere atto delle conseguenze di ogni nostra decisione. Dati recenti dicono come nelle ultime settimane i suicidi per motivi economici siano aumentati del 10% rispetto allo scorso anno, e forse liquidare con semplicistica faciloneria la terza industria del Paese, ossia il calcio, non appare proprio come una grande idea. Almeno non all’alba di una crisi economica dal volto peggiore di quella del 1929.
Quanti fraintendimenti procurano la paura e il conseguente caos da panico, possono procurare dei gravi deficit di discernimento dai quali non riusciamo a trovare rimedio. Mancanza di discernimento figli anche, diciamoci la verità con franchezza, di vuoti culturali preoccupanti e atti di presunzione di sé davvero inverecondi. Thomas Hobbes che scrive come “per bene dei cittadini non si deve intendere soltanto la conservazione, comunque, della vita,ma di una vita per quanto possibile felice”, sarebbe per questo oggi lapidato da quella parte di popolo convinto di aver come unica mission quella di salvarsi dalla morte da Covid-19. O almeno così appare. L’audience della ripresa della Bundesliga ha registrato ascolti tv addirittura triplicati, e sarebbe interessante, come dato rilevatore del reale attuale stato psicologico/sociale degli italiani, vedere quante persone si incollerebbero davanti alla tv per assistere alla ripresa della Seria A. la rinascita della vita economico/sociale in Italia non passerà in una continua lotta fra ragioni diverse, ma solo decidendo, a maggioranza qualificata, la strada da intraprendere. Niente mezze misure, niente incertezze, solo coerenza di pensiero e azione. Il problema non è stabilire quanto e come sia stato grave il Covid-19, toccherà agli storici appurarlo, ma stabilire in modo definitivo in quale modo si voglia vivere. E poi essere pronti a pagarne le conseguenze, nel bene e nel male. Tra tutti i medici interpellati dai mezzi d’informazione in questi ultimi mesi, ci sono stati pareri controversi e discordanti. Ma su un punto si è trovata concordanza: nessuno ancora sa abbastanza sul Covid-19, quindi la scienza procede, al momento, per ipotesi. Sarebbe tragico, per una nazione, aspettare in queste ipotesi fioriture di certezze. Potrebbero volerci anni, potrebbero non arrivare mai. E nel mentre?
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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