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“Se tu l’hai sognato,
io l’ho vissuto”
Osvaldo Soriano
“Sudo. Ho la gola secca. L’erba è come merda secca: dura, strana, ostile. Il sole cade a picco sullo stadio ed esplode sulle nostre teste. Non proiettiamo ombre. Dicono che questo è buono per la televisione”. Harald Schumacher, portiere della Germania Ovest nella finale dei mondiali messicani del 1986, non avrebbe potuto descrivere in modo migliore come l’invadenza della televisione riesca a sfruttare persino la nostra sofferenza a suo uso e consumo. Essa è così entrata in cima alla lista dei significati più autorevoli, che riesce a mandare avanti il mondo, anche quando il mondo non c’è o si è messo volontariamente in stato di attesa. Lo si è scoperto in modo chiaro da quando è cominciata la pandemia, dove nonostante la vita si sia fermata, o addirittura azzerata, in molti contesti, la televisione ha continuato a perpetuarla in modo artificiale e la rete, come è ormai abituata a fare da tempo, è diventata la pianta onnivora che le è cresciuta intorno. Come tutte le cose potenzialmente molto dannose, la televisione ha la peculiarità di dare un senso di piacere immediato, di comodità privilegiata di poter veder la finale del Torneo di Wimbledon dal salotto di casa. Fa credere persino di essere dei rivoluzionari perché empaticamente ci si può inginocchiare con i giocatori ossequiosi verso il “Black Lives Matter”, oppure essere in marcia orgogliosi con tutti i colori dell’arcobaleno. Non deve sorprendere tutto ciò, visto come ormai tutto stia diventando dibattito da salotto, dove il più classico dei soliloqui può essere mitigato, e confuso con un mirabolante dibattito, solo dal leggero rumore di dita a pigiare i tasti della tastiera di un computer.
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La nostra ombra è scomparsa da tempo, solo che non ce ne siamo accorti presi come siamo da una personale rivoluzione da salotto, e quindi impediti da provare lo stupore di Harald Schumacher di non vederla. Le cose stanno cambiando velocemente, e forse questo può essere il motivo per cui non rimane che tentare una manovra a “tenaglia” tra il salotto e il bagno di casa, nella nostra mente campo di battaglia ideale su cui esercitare il diritto alla protesta, e persino la piacevolezza di essere faziosi e assai facinorosi, come un tempo lo si era in una curva di uno stadio ammantata di striscioni, urla sguaiate, abbracci vigorosi dopo un gol. Nel fu trascorso si provava a costruire una fionda perfetta e poi si cercava almeno un cortile e qualche occhio a vederti, per sistemare dei barattoli vuoti da colpire possibilmente al centro. Oggi basta attaccare una consolle della “Nintendo” al televisore, ed ecco agitare le mani nell’aria a imitare il colpo della fionda, che restituisce il rumore del colpo andato a segno attraverso delle casse stereofoniche. Manca l’ombra e non ce ne importa, visto come il televisore non ce la chieda come condizione necessaria.
Il grande Osvaldo Soriano ha scritto, in uno dei suoi magnifici e immaginifici racconti, come esistano Paesi, tipo la sua Argentina, senza nessun rimedio a qualsiasi cosa e come siano sempre sull’orlo dell’essere destinati prima o poi a finire, e allora è meglio, ogni tanto, andarli a guardare per un’ultima volta. Affacciandosi da un balcone sull’Italia, il mattino dopo la gioia ubriacante dell’ultimo Europeo vinto dagli azzurri, tra la caligine lasciata dai festeggiamenti, il nostro sguardo ha trovato lo stesso Paese lasciato il giorno prima della vittoria sui “perfidi” inglesi a Wembley. Cerchi qualche “strillone” che urli notizie sul mercato calciatori, ma non ne trovi di buone e l’entusiasmo per il solo sognare il calciatore che potrebbe cambiare in meglio i tuoi fine settimana è qualcosa ormai perso in un passato dai contorni sempre più remoti. Le ultime notizie provenienti dal calcio quotidiano italiano, assomigliano sempre di più ad una strada polverosa dove a stento si possono riconoscere tracce di un qualsiasi passaggio, ma dove ci si ostina a illudersi di essere ancora in viaggio. Non si è più abituati alla strada, questa è la verità, e per dirla alla Jack Kerouac siamo diventati tutti “dei coglioni a tempo pieno”, con la birretta in mano e il mouse del computer a scivolare in chissà quale mondo digitale, scambiato per vero a causa di un’illusione ottica.
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La sensazione, se si parla di calcio mercato, è quella dell’avvento del lasciar germogliare i parametri zero; persino il grande Barcellona al momento, di fatto, ha perso Lionel Messi senza poterne ricavare un soldo. La storia se ne va senza salutarti, e tu stai lì a dirti, mentre dal bagno ti stai spostando in cucina alla ricerca di qualcosa che possa colmare un vuoto erroneamente attribuito al palato o allo stomaco, come i tempi inesorabilmente cambino e bisogna accettarlo, perché anche Hegel lo aveva appurato filosoficamente nel suo “Processo Dialettico”. Tutto, alla fine, è sintesi bellezza, e nel nuovo scenario forse è perfettamente inutile chiedersi perché gli stadi sono completamente deserti, se anche i cinema e i teatri sono diventati vuoti a perdere. “Possiamo arrivare fino a 90 persone”, si può leggere sul portone d’ingresso di una chiesa, e chiedersi come eventualmente si potrebbe salvare l’anima il 91esimo malcapitato lasciato sulla porta potrebbe essere al massimo oggetto di scherno, perché la priorità è diventata salvarsi la pelle, in attesa di capire se l’anima esiste oppure è una mera invenzione di qualche ufficio marketing particolarmente raffinato. E mentre uscendo dalla cucina guardi la finestra che potrebbe portarti a gettare uno sguardo istantaneo verso fuori, ti chiedi poi se valga la davvero la pena abbandonare il digitale per il reale, dove potrebbe venirti la voglia di uscire e andare dal barbiere e vedere se trovi qualcuno di sconosciuto con cui fare due chiacchiere improvvisate. Distogli lo sguardo dalla finestra con un gesto di fastidio, perché hai improvvisamente ricordato come non si possa improvvisare più niente, e dal barbiere ci si prenota uno alla volta, distanziando orari e contatti. Un tempo c’era il classico “saltiamo in macchina e andiamo a prenderci un caffè a Napoli”, così, per il gusto dell’avventura e del fare un po’ di autostrada con un amico a “cazzeggiare” e a parlare di cose serie della vita. Ma poi se arrivi a Napoli e per entrare al bar non sei provvisto del necessario “green pass” anti covid, cosa fai? Urli alla luna che non puoi più essere come tuo padre e i suoi amici? Osvaldo Soriano racconta in una lettera ad Eduardo Galeano (stiamo parlando di giganti…) di essere tornato con Josè Sanfilippo, l’eroe calcistico della sua infanzia, nel luogo dove un tempo c’era lo stadio del San Lorenzo de Almagro. Lo stadio era stato demolito per fare un posto ad un grande magazzino, uno di quei posti dove provano a venderti tutto senza venderti niente, e ora si aggiravano un po’ spaesati e malinconici tra salsicce a barattoli di pomodori. All’improvviso Sanfilippo si mette a mimare l’azione di gioco che lo portò a segnare un gol decisivo contro il Boca, urlando come un forsennato tra carrelli e signore prese da inevitabile stupore.
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Dopo averlo segnalato con un dito a Soriano, fa il movimento di un tiro perfetto verso uno scomparto in basso, dove c’erano una pila di barattoli di maionese. Sanfilippo alza le braccia e clienti e cassiere, a quel punto, applaudono in modo così forte ed entusiasta, da rendere chiara la condanna da chi aveva un giorno pensato di fare “sintesi” sostituendo uno stadio con un grande magazzino. Quell’applauso è stato anche un voler ricordare a noi tutti quello che mirabilmente l’intellettuale Terence Mann dice, in una scena memorabile del bel film “L’uomo dei Sogni”, mentre vede farsi avanti davanti a lui Shoeless Joe Jackson, l’eroe del baseball della sua infanzia: “l’America è stata scritta e riscritta come in una lavagna. Ma questi uomini, questo campo, questo gioco è rimasta la nostra costante nel tempo”.
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Ripensando ai grandi giocatori dei “White Sox”, nel frattempo sei ritornato seduto davanti al computer, con la televisione alla tua destra pronta per essere accesa. Improvvisamente ti senti oppresso da tutta questa nuova “sintesi”, e allora ti alzi di scatto, prendi la tua giacca e decidi di andarti a fare una passeggiata, di rimetterti sulla strada. Sai già di non trovare nessun ragazzino giocare a pallone per strada, perché quelli da tempo sono stati trasferiti dai genitori in costose e ambiziose scuole calcio, ma non importa. Vuoi tornare a respirare lontano dal ronzio della televisione e dal ticchettio atono della tastiera del computer. Potrebbe capitarti di vedere uno spazio dove immaginare azioni di gioco, e ripensare alla storia di Soriano e Sanfilippo. In quel momento ringrazierai Dio, o chiunque tu voglia, che il luogo degli eroi della tua infanzia, quelli dello scudetto granata del 76, è stato salvato dal suo destino da grande magazzino. E in quel momento, solo in quel momento, saprai di essere ancora libero di proiettare la tua ombra e che non ci si perde mai veramente. E sarà una bella giornata.
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Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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