Loquor

Se neanche Graziani capisce cosa c’è in gioco

Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi Columnist 
Torna l'appuntamento con 'Loquor', la rubrica di Carmelo Pennisi

"La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi"

Gianni Rodari

Francesco Graziani, in un'intervista rilasciata ad Andrea Calderoni per Toro News, è riuscito nell’impresa, nel tentativo di rispondere a domande assai meritoriamente calzanti sull’attuale situazione di malumore tra tifoseria Granata e Urbano Cairo, ad inanellare una serie di luoghi comuni e di non risposte da far invidia a quei politici abili nel fare slalom verbali tra gli argomenti spinosi del quotidiano politico. "Accontentare il tifoso non è facile", dice il 'Ciccio nazionale' - "Il tifoso vuole di più, fa parte del gioco", e qui si inerpica a fare paragoni con i tifosi Viola, a suo dire scontenti della gestione di Rocco Commisso, nonostante, ha riconosciuto l’ex bomber della nazionale,  “ abbia fatto un centro sportivo meraviglioso e la Viola abbia giocato tre finali europee negli ultimi anni”. Leggendo queste considerazioni, e perifrasando Arthur Conan Doyle, si potrebbe dire come sia “sempre molto difficile per un uomo rendersi conto di aver perduto qualcosa”, e quindi perdoneremo a Graziani, anche per il suo passato in Granata, di aver  perso in tutta evidenza il senso delle contraddizioni e del discernimento. Può succedere anche i migliori di non capire cosa stia realmente succedendo in casa Toro e quale sia stata la molla emotiva ad aver spinto 5000 persone a sfilare domenica, sotto la calura agostana, contro Urbano Cairo. Non credo si siano divertiti a farlo, caro Ciccio, e forse avrebbero preferito passare quel lungo pomeriggio in altro modo.

Non si può continuare a far passare i tifosi come quelli “che non capiscono”, immersi in uno stato emotivo adolescenziale di ritorno quasi da compatire, dei bambini capricciosi davanti ad un bancone di dolciumi di cui vorrebbero tutto e anche di più. Direi anche basta con questi ritratti fatti da chi vorrebbe apparire animato da buonsenso, ma che invece finisce per rappresentarsi alla stessa stregua di uno lesto ad andare in soccorso del vincitore o del potente. Ciccio, non starò qui a rimarcarti la cosa più semplice, ovvero come un “centro sportivo meraviglioso e tre finali europee” siano infinitamente qualcosa di più del niente messo in scena dalla gestione del Toro di Urbano Cairo, piuttosto voglio rimarcarti la differenza tra le varie manifestazioni della realtà, perché quando si fanno dei paragoni bisogna stare attenti che queste siano omogenee, altrimenti il rischio è quello di mettere insieme le pere con le mele. Quindi, nonostante si sia davanti a prodotti altrettanto commestibili, possiamo tranquillamente ascrivere il caso Raoul Bellanova alla classica goccia a far traboccare un vaso già colmo di malumori di ogni tipo.

La questione non è “accontentare il tifoso” ma “rispettare il tifoso”, che è l’unica cosa richiesta in questo tempo disgraziato del calcio contemporaneo, dove non ci vuole Graziani a ricordare per l’ennesima volta il cambiamento irreversibile dello sport più seguito al mondo, con la solita retorica considerazione “non affezioniamoci più ai giocatori… pensiamo alla squadra”. Graziani non ha capito come la rabbia scaturita dalla cessione di Bellanova non sia legata ad una affezione verso di lui, ma dall’essersi trovati ancora una volta di fronte ad una promessa disattesa, alla mercè di un presidente persino insensibile nel non voler comunicare al suo allenatore una vendita di uno dei giocatori più forti del roster Granata. Cosa deve fare o pensare un tifoso di fronte ad un comportamento del genere? Non deve dire niente per paura di fare la figura di colui mai contento? Voglio essere ancora più chiaro, caro Ciccio, così forse ci si intende: la cessione del difensore non ha niente a che vedere con i cambiamenti del calcio, con la “Sentenza Bosman”, e nemmeno con quei cattivoni dei procuratori.

Tutti i club europei sono immersi in questi cambiamenti e tutti devono rispondere alle esigenze dei bilanci. E allora ti dico, esimio Ciccio, una cosa assai lapalissiana: in questo contesto da mercanti entrati nel tempio del calcio c’è chi fa bene e c’è chi fa male. C’è chi porta risultati, e c’è chi non ci riesce. Ci sono club organizzati, anche piccoli, e ci sono club non organizzati. Dove  si vuole collocare Urbano Cairo e il Toro in tale contesto? Questa è la domanda a cui il bravo Andrea Calderoni ha provato a farti rispondere in ogni modo, e che in ogni modo tu hai ostentatamente eluso. Ora ti spiego un’altra cosa, e magari la scopri per la prima volta: nessuno ha mai chiesto ad Urbano Cairo di non badare alle esigenze di bilancio (si è tifosi, non dei folli), ma piuttosto di agire in modo che il club possa un minimo crescere in ricavi e ambizioni. Considerato il suo non essere riuscito nell’intento, si può parlare di un fallimento della sua gestione sportiva o non si può dire nemmeno questo?

Nei cartoni animati i personaggi corrono oltre il burrone finché non guardano giù. “Mia madre-recita una battuta di un celebre film - diceva sempre che il segreto della vita è riuscire a non guardare in basso”; sì, caro Ciccio, uno dei segreti della vita risiede proprio nel confrontarsi con “l’alto”, non nell’adagiarsi nel “finché la barca và, lasciala andare”. Il calcio, lo si è detto in questi anni fino allo sfinimento, è un modo anomalo di fare impresa, perché questa rappresenta un “azionariato popolare di sentimenti” che rende il tifoso proprietario del suo club seppur giuridicamente non ne possegga un’azione. La quota di diritti tv ricevuta ogni anno dai club, sono la diretta conseguenza di “questo azionariato dei sentimenti” già persuaso della qualità del “prodotto” a prescindere dall’agire dei proprietari giuridici dei club stessi. Inoltre una società di calcio, in quanto frutto di una “storia sociale” condivisa trasversalmente da ogni classe, è da considerarsi a tutti gli effetti un bene comune, un qualcosa da potersi considerare nella disponibilità di una proprietà fino ad un certo punto.

Decade quindi il concetto di Graziani che “nessuno può obbligare Cairo a vendere il club” in base ad un banale principio di “diritto di proprietà”. Non sono, questi, barlumi di lana caprina, ma sono modalità etico/morali/esistenziali alla base del successo storico di questo straordinario gioco. Escludendo cose come la buona fede, di cui non mi permetto di disquisire o dubitare, allora perché si dovrebbe chiedere ad Urbano Cairo di farsi da parte? Direi per incapacità manifesta nella gestione sportiva del club e nel cercare di aumentare i ricavi attraverso una strategia societaria di valorizzazione sul mercato del marchio, e anche per un sostanziale agire nell’improvvisazione del caso nel “player trading”. In parole povere l’editore alessandrino è sicuramente bravo a gestire quel poco che ha(in questo è, a mio parere, il numero uno), ma non è assolutamente in grado di aumentare quel poco in qualcosa di più. Basta a Graziani come motivazione per chiedere a Cairo di farsi da parte e mettere ufficialmente in vendita il club? Sul serio dobbiamo non andare più allo stadio o non fare più abbonamenti a Dazn per costringerlo a prendere in esame l’ipotesi cessione?

Il dato, statisticamente molto rilevante, di diecimila tifosi a marciare per le vie di Torino non basta per far capire come un filo si sia rotto oramai da tanto tempo? Il “diritto di proprietà” si annulla con l’esproprio quando in gioco c’è il bene comune, appunto perché tale diritto non può prevalere sulle ragioni di una comunità. Forse, in nome del passato in Granata, Graziani avrebbe dovuto approfittare dell’intervista di Calderoni per cercare di fare capire al patron del Toro le ragioni del calcio. Forse non sarebbe concretamente servito a niente, ma a volte è importante parlare in nome di verità incontrovertibili, poiché si lasciano tracce di speranza. Hai scelto, caro Ciccio, di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, una cosa non proprio da uomo di sport. La buona sorte, attraverso un’ottima partenza in campionato e l’aver trovato nel mazzo un allenatore rivelazione di spessore umano/tecnico altissimo, per ora sta dando una ennesima occasione a Cairo di far cambiare idea al mondo Toro sulla sua persona. Il calcio offre continuamente occasione di redenzione e di opportunità, essendo uno degli storytelling fiabeschi più riusciti della modernità, ma si stia sempre attenti ad una interessante riflessione di Paulo Coelho: “in ogni istante della nostra vita abbiamo un piede nella favola e l’altro nell’abisso”. L’abisso non prevalga.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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