“Un buon giornale è una nazione che parla a se stessa”. Arthur Miller
Loquor
Sindelar e le mistificazioni di un giornalista scellerato
C’è un virus che sta circolando nell’informazione del nostro Paese, e non parlo di quella velleitaria, avventuristica e con connotati da bar che consente a chiunque di farsi un abbonamento streamyard e mettere in piedi un canale You Tube o Facebook inventandosi giornalista a tempo perso, ma mi riferisco a quella grande stampa che dovrebbe informare e orientare l’opinione pubblica del Paese. Nello slang dialettale romano si definisce “gargarozzone” colui mai sufficientemente sazio di qualsiasi cosa gli faccia piacere o gli arrechi delle rendite, un archetipo antropologico continuamente alla ricerca di una soddisfazione talmente esagerata da far prevalere ogni istinto rispetto alla ragione.
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Non bisogna scomodare Sigmund Freud e la sua teoria come “il narcisismo sia primario” con il bambino, guidato dai sui bisogni precoci, a mettere al centro solo se stesso, per capire come l’esagerata esigenza di essere a tutti i costi i protagonisti impedisca di sviluppare del tutto un sano amore di sé. Se ciò risulta comprensibile per chi durante il giorno sostenta le sue esigenze materiali con un oscuro lavoro impiegatizio, per poi riversare nelle ore serali le proprie tendenze narcisistiche su qualche marginale sito fluttuante nella rete incurante del patetico risultato (ma tanto, per il narcisista, l’importante è esserci), risulta totalmente inspiegabile il narcisismo prevalente sulla ragione in chi con l’informazione si guadagna da vivere, occupando persino posizioni di rilievo. Imbattendosi in un podcast(contenuti audio pubblicati online) su Matthias Sindelar scritto e narrato dal direttore di un importante quotidiano, ancora una volta si ha l’impressione di come la coscienza del Paese sia costantemente manipolata da una informazione non faziosa (questa teoricamente con un po’ di attenzione si dovrebbe sgamare subito), ma da una sovente tendenza a raccontare balle, e non per una tendenza maligna a disinformare, ma semplicemente per pigrizia e incuria delle molteplici cose che si stanno facendo per riempire il proprio ego e l’inesausto portafoglio.
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Cominci ad ascoltare le prime parole del racconto e l’incipit è “Matthias Sindelar è stato il più grande calciatore ebreo”; la prima reazione sarebbe quella di stoppare il podcast e di mettersi a fare cose più serie, ma poi la curiosità, in quella parte sadomaso che risiede in ognuno di noi, spinge ad andare fino in fondo e continui l’ascolto(anche perché chi scrive ha dedicato qualche anno della sua vita nel ricostruire la vita di questo personaggio). Con la sicumera del “tanto io sono il direttore di uno dei quotidiani del “mainstream” e quindi posso permettermi di essere superficiale su argomenti sconosciuti”, l’illustre giornalista fa una capriola iperbolica in avanti e modifica lo stato civile del grande giocatore austriaco, rendendogli post mortem una patente di maritato con Camilla Castagnola, ebrea milanese capitata, secondo il nostro eroe, per un non meglio precisato motivo a Vienna. Il racconto portato avanti è così funambolico e pieno di suggestioni da “Collezione Harmony”, da non far venire in mente nemmeno fuggevolmente una attenta analisi contro fattuale. Peccato, perché facendola anche molto rapidamente, magari corroborata da qualche chiamata a Vienna (tanto il costo delle telefonate si possono addebitare al giornale diretto), facilmente si sarebbe potuto appurare come Matthias Sindelar fosse figlio di due genitori nativi della Moravia (anche il giocatore era nato da quelle parti) con una qualche tradizione ed educazione cattolica. Quindi niente festeggiamenti per il “Bar-Mitzvah” (il momento in cui a 13 anni un giovane ebreo raggiunge l’età matura e quindi diventano moralmente responsabili delle proprie azioni e sono obbligati a seguire i Comandamenti) e niente osservanza dello “Yom Kippur”, in cui si fa penitenza espiando i peccati e riconciliandosi con il mondo e il Creatore. Sindelar cresce alla “Favoriten”, allora (siamo agli inizi del 900) il quartiere operaio e proletario della capitale austriaca (e dal quale, nonostante il successo e il benessere raggiunto grazie al calcio, non si sposterà mai), ed è figlio di un muratore ucciso sul fronte italiano della I Guerra Mondiale e di una lavandaia.
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Non si hanno notizie certe su una sua eventuale conversione alle idee socialiste in quel momento in forte ascesa, ma di sicuro fu sempre attento a tutto il mondo che gli girava intorno. Averlo “arruolato” nella “compagine” ebraica, da parte dell’illustre direttore, avrà il difetto, per chiunque capiterà malauguratamente dalle parti di questo podcast sciagurato, di svilire il valore della scelta di una persona in quel momento posta in cima al mondo e con un regime pronto ad accogliere qualsiasi suo desiderio se solo avesse accettato di giocare con la maglia della Germania i mondiali del 1938 a Parigi. I nazisti, dopo il successo di immagine delle Olimpiadi di Berlino del 1936, capiscono il potere universale persuasivo dello sport presso l’opinione pubblica e in quel momento hanno bisogno che i giocatori più forti del “Wunderteam” (così era denominata la nazionale austriaca, considerata una delle 4 nazionali più forti del mondo) dopo l’annessione dell’Austria al Reich confluiscano con i “bianchi” di Germania. Immaginate per un attimo Leo Messi con la possibilità a cui un regime potente e autoritario possa concedere qualsiasi cosa, basta che si batta per lui correndo dietro ad un pallone. Immaginate cosa potrebbe ottenere Leo Messi?
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Provate solo per un attimo ad immaginarlo. Il non ebreo Sindelar (se vuoi te lo scrivo a caratteri cubitali, caro illustre direttore: NON EBREO), di fronte a lusinghe e pressioni difficili da ipotizzare veramente fino in fondo, a questo punto decide di mandare un messaggio forte e chiaro: rifiuta di aderire al nuovo progetto della nazionale tedesca di calcio, compra al doppio del suo valore un “Caffè” viennese di proprietà di una coppia di ebrei a rischio di esproprio a causa delle leggi razziali, si mette ad aiutare l’ebrea Camilla Castagnola, appena giunta da Milano, per far fuoriuscire dall’Austria più ebrei possibili e metterli così in salvo dalle deportazioni. In pratica si mette un bersaglio sul petto e dice ai nazisti: sparatemi pure. Ma l’eroico direttore prosegue con i salti funambolici del suo podcast e, dopo aver consultato le cretinate da clickbate presenti in rete su Sindelar(per la serie: un asino raglia, poi tutti di corsa a fotocopiare il raglio), se ne esce con la perle delle perle di un podcast che rimarrà imperituro negli incubi peggiori di chi ha un minimo di senno: “Sindelar probabilmente fu ucciso dalla Gestapo, perché i nazisti non volevano che un ebreo indossasse la maglia della nazionale tedesca”.
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Rimani per un attimo in silenzio. La tendenza sarebbe quella di scoppiare a ridere senza soluzione di continuità, fino a farti sentire nella vicina Toscana. Istintivamente vorresti anche chiamare il tuo migliore amico, riferirgli la perla, e metterti a ridere come un pazzo con lui. Ma poi ti ricordi che è di Matthias Sindelar che si sta parlando, e non di un “gargarozzone” narciso a cui un giorno qualcuno ha avuto la brillante idea di affidargli la direzione di un quotidiano e di indirizzarlo verso una brillante carriera. Pensi anche a quanta ignoranza e supponenza, figlia anche di poche o quasi del tutto assenti letture, sia presente nel Paese, e quindi come in fondo questo direttore sia all’altezza dei tempi. E allora l’unica cosa rimasta da fare è redigere, a quei pochi sventurati malcapitati su queste righe, un sintetico promemoria: Matthias Sindelar è stato probabilmente il più grande calciatore di tutti i tempi, e per questo fu chiamato il Mozart del calcio. Fu ucciso dalla Gestapo insieme a Camilla Castagnola non su un letto di casa (come riferisce lo sciagurato podcast), ma su quello di una camera d’albergo.
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I due furono ritrovati dalla polizia austriaca seminudi, perché dopo averlo ucciso fisicamente dovevano annientargli anche la reputazione. Un semidio dello sport trovato morto seminudo con una ebrea in un’anonima camera dì’albergo. Quale versione migliore da vendere all’opinione pubblica di quel tempo? L’autorità nazista vietò le esequie pubbliche, ma in quarantamila si presentarono al suo funerale. I tifosi dell’Austria Vienna, nonostante la paura per le conseguenze, non avevano dimenticato il loro artista del pallone. “Era uno di noi!”, si sentì gridare dalla folla presente. A me piace ricordarlo come una persona perbene, uno di quelle capaci di fare delle scelte perbene. Mistificarne il valore e le scelte è stata una cialtronata. Il giornalismo è un mestiere nobile e antico, è la garanzia che le cose essenziali non vadano perdute, è la speranza che i nostri passi non siano stati vani, è la testimonianza per tutti quelli che non possono testimoniare. Si abbia rispetto di questo mestiere e, se si può, lo si onori con onestà e serietà. Il narcisismo passi oltre e taccia.
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Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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