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Stadio Olimpico Paolo Rossi?

Stadio Olimpico Paolo Rossi? - immagine 1

Torna un nuovo appuntamento con la rubrica "Loquor", a cura di Carmelo Pennisi

Carmelo Pennisi

“Se ogni cosa fosse razionale,

non accadrebbe nulla”.

Fedor Dostoevskij

Gianni Infantino si sta impegnando molto per far intitolare a Paolo Rossi lo “Stadio Olimpico di Roma” e con argomentazioni molto assertive tese a richiamare tutte le emozioni regalate dal campione toscano ogni qual volta indossava la “Maglia Azzurra”, emozioni culminate nella più iconica (sì, anche più di Italia Germania dei mondiali messicani) partita mai giocata dalla nazionale di calcio italiana: la sfida del “Sarrià” contro Brasile nel Campionato del Mondo del 1982, episodio ormai mitologico della resurrezione definitiva di Paolo Rossi dopo la squalifica a due anni per il noto caso del “calcio scommesse”. E’ un Paese strano, il nostro, anche per il fatto di avere a volte molta memoria corta e di essere capace di rimozioni incomprensibili. Come in tutti i Paesi civili esiste il diritto, esistono i tribunali, si emettono sentenze nella speranza di poter fare giustizia o nel tentativo, estremamente malevolo, di creare fatti artificiali spacciati per veri.

Riconoscere come a volte anche la giustizia possa essere corrotta è il segno di come il diritto faccia il più delle volte bene il suo corso. E non deve essere piacevole, per la giustizia, vedere un club  esporre il numero di scudetti all’ingresso del suo stadio, “dimenticando” di sottrarvi i due revocati a causa di un altro scandalo doloroso che ha colpito il nostro calcio nel 2006. Ma la vita, dicono quelli più saggi e serafici di me, va avanti così da sempre. “Dio è in cielo e tu sulla terra”, direbbe Soren Kierkergaard, e altro non si può fare, se non cercare di capire i fatti, imponendoci di resistere alla tentazione di non interpretarli in modo esagerato. Ed è proprio l’interpretazione esageratamente soggettiva di cui sono pervasi gli italiani, l’origine di loro molte fortune e di loro molti problemi. Non è facile ricordare loro (me compreso) come a volte bisognerebbe far arretrare l’ego o l’empatia, per far avanzare delle testimonianze a confutazione, in nome della ricerca di una verità più vera di altre (quanto servirebbe una rilettura di Socrate, a volte…).

Si può immaginare quante carte, interviste, commenti, libri siano circolati per anni sul “calcio scommesse”, anni poi passati per le armi dall’oblio perché è dannatamente difficile mettersi davanti all’ologramma della storia e vedere, o intravedere, coloro un tempo catalogati come eroi doversi confrontare con l’accusa di aver “accomodato” i risultati di alcune partite, in omaggio ad uno dei vizi più antichi di sempre: le scommesse. Ho avuto la ventura di visionare molte di queste carte, ed un passaggio della Commissione Disciplinare della FGCI del 1980 mi è rimasto particolarmente impresso: “…incalliti scommettitori beneficiavano della confidenza di certi calciatori, i quali, a loro volta, non evitavano a presentarli ad altri compagni”. Lo scenario disegnato dalla Commissione Disciplinare federale non era quella di una normale (si fa per dire) associazione a delinquere, ma una suggestione a richiamare il paesaggio di una “Sodoma e Gomorra” contemporanea. Una suggestione andata infinitamente oltre ad una semplice concatenazione di reati sportivi, era l’affermazione dell’idea di abbattimento di ogni limite della decenza, era il suggello di un panorama dove se anche si fosse stati estranei alla partecipazione “all’orgia”, certamente non si poteva non essere a conoscenza di essa.

Si era alla complicità “obliqua”, quella del classico aforisma “meglio farsi gli affari propri che è meglio”. “Per salvarmi dall’accusa di “illecito sportivo”- scrive Rossi in uno dei libri redatti insieme alla consorte giornalista – avrei dovuto farmi coraggio e denunciare Mauro Della Martira, e prendermi sei mesi di squalifica solo per aver omesso quello che sapevo e che in molti conoscevano. Il mio errore è stato tacere, cercare ingenuamente di proteggere Mauro”. Questa sconcertante ricostruzione di Paolo Rossi ha un primo risultato molto visibile: il campione del mondo 1982 riconosce di aver commesso il reato sportivo di “omissione” e di essere edotto sul fatto che sei mesi di squalifica li avrebbe di certo avuti. Per la prima volta contraddice in modo evidente il suo dichiararsi completamente estraneo a tutto il terremoto scatenatosi all’interno del calcio italiano del 1980. Ma c’è di più: confonde un illecito sportivo, “l’omessa denuncia”, per un semplice errore di ingenuità. Questa ammissione, inoltre, fa diminuire di sei mesi, ad un anno  e mezzo, il calcio giocato che ingiustamente, a suo dire, gli sarebbe stato tolto. Ma è facile, nel dorato mondo del calcio, rimanere stupiti e indignati quando qualcuno o qualcosa prova riportare i suoi protagonisti dal mondo irreale al mondo reale. Riverbera ancora in tutta la sua carica comica l’indignazione di Antonio Conte verso la Procura in relazione ai noti fatti di Siena: “prima di perquisirmi e indagarmi (la Procura), avrebbe dovuto chiamarmi”.

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Qualcuno ancora oggi sostiene come Luciano Moggi in fondo sia stato un genio del calcio, e “calciopoli” fu solo un suo peccato di ingenuità. Maledetta ingenuità… in Italia c’è da sempre il vezzo di parlare male, molto più del dovuto, delle persone all’apice del successo per poi fare di tutto per giustificarle e beatificarle subito dopo una loro rovinosa caduta. Siamo un po’ schizofrenici, forse prima o poi dovremmo ammetterlo. Ma ritorniamo su Rossi e su alcune sue sorprendenti ricostruzioni e considerazioni consegnate ad una pubblicazione da lui data alle stampe: “non ero riuscito a convincere i giudici della Commissione d’Appello Federale che sentenzia in via definitiva sulle impugnazioni nei confronti delle decisioni assunte dal giudice sportivo nazionale in materia di infrazioni disciplinari – sulla mia estraneità allo scandalo della partita Avellino Perugia-, nonostante il processo penale si fosse chiuso a mio favore perché il fatto non costituiva reato”. Sono davvero sorprendenti queste parole, ed è ancora più sorprendente come nessun editor o avvocato della casa editrice con cui ha pubblicato il libro in questione, non abbia fatto notare a Rossi come  a livello sportivo “il fatto” non costituente reato in sede di processo penale non possa rimuovere in nessun modo l’accusa di illecito: alla giustizia dello sport, come tutti sanno, basta solo ed esclusivamente il “fatto” per disporre una sanzione. E se persino un “Tribunale Ordinario” arriva ad accertare, con una sua sentenza, come “il fatto” si sia verificato(occorre ricordare come oggi quel “fatto”, anche per la giustizia ordinaria, sarebbe un reato.

Questo grazie a degli opportuni interventi legislativi successivi), allora è incomprensibile l’incredulità di Rossi rispetto alla conferma della sua condanna davanti alla Corte d’Appello sportiva. I giudici sportivi non potevano fare altro. La sommaria, e necessariamente sintetica, ricostruzione fin qui fatta sulla triste vicenda della squalifica del campione del mondo 82, non è stata dettata per una particolare antipatia o perfidia nei confronti del campione toscano (verso cui continuo ad avere simpatia e gratitudine per i bei momenti di gioia vissuti), e nemmeno per stabilire se fosse colpevole o innocente (ho sempre ritenuto Rossi incapace di vendersi una partita. Ma io non sono un tribunale), ma è stata fatta per giungere ad un’opportuna, a mio parere, considerazione sulla proposta del Presidente FIFA di intitolargli lo “Stadio Olimpico di Roma”. “Per quanto tempo è per sempre?”, “a volte solo un secondo.”, c’è scritto su una celebre fiaba, ed è in questa brevissima frazione di tempo, a volte, a decidersi davanti a cosa si troverà di fronte un bambino del 2060, perché in quel futuro non ci sarà più l’empatia a confondere ogni giudizio sul caso Rossi. In quel momento sarà molto difficile spiegare a quel bambino l’evidente contraddizione di un giocatore partecipe, stando alle motivazioni di una sentenza, ad una sorta di associazione a delinquere e l’aver intitolato uno stadio così importante alla sua memoria. Non riuscire a vedere più questo tipo di contraddizioni è la principale causa del nostro declino come Nazione. Concludere come tre gol al Brasile possano ribaltare il giudizio di un tribunale, quindi di fatto delegittimando il “diritto” senza nessuna prova a “confutazione”, potrebbe essere uno dei tanti segnali del nostro degrado etico/culturale. Si dice come il tempo sistemi tutto, e spero qualcuno trovi il modo, se esiste, di riabilitare la figura di Paolo Rossi rispetto al “calcio scommesse”. C’è ancora tempo prima dell’arrivo del bambino del 2060, si faccia di tutto per non sprecarlo.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

 

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