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Suarez può essere italiano?

Anthony Weatherill
Loquor / “ Era ovvio come la cosa sarebbe filtrata da qualche parte, perché la principale caratteristica dello stile Maria De Filippi è quello di essere un metamondo pieno di spifferi”

“Scrivi poesie perché hai bisogno

di un posto che forse non c’è”.

Alejandra Pizarnik

Quando si eredità qualcosa da “papà”, il rischio di essere convinti di essere una sua prosecuzione logica è alto. E allora la protervia, mista ad una progressiva perdita di contatto con la realtà, aumenta. Il caso Suarez non è, per il figlio di Umberto, un ennesima “Caporetto”, perché la battaglia di Caporetto, che è stata probabilmente la più grande disfatta della storia dell’esercito italiano, fu combattuta in un contesto assai più serio del tentativo di quello di portare in bianconero Luis Suarez, detto “El Pistolero”. Il caso dell’attaccante che fu del Barcellona e ora e dell’Atletico Madrid, ricorda più una farsa di Plauto, tipo l’Asinaria, traducibile in italiano corrente come “La Commedia degli Asini”, dove del denaro rubato, all’origine destinato all’acquisto di asini, per riscattare una donna amata, alla fine procura la rovina dell’ideatore del furto stesso.

Ogni volta che si comincia a ragionare sul perché l’Avvocato non abbia lasciato il bastone del comando della Exor all’unico maschio della famiglia con il patronimico giusto, ecco Andrea Agnelli prontamente fornire una chiara e illuminante risposta: nonostante il patronimico giusto, nei comportamenti agisce ancora da “figlio di papà”. Ovvero da colui che, giunto nel parcheggio di una esclusiva “club house”, è capace di parcheggiare la sua Ferrari proprio nell’unico posto riservato ai disabili. Questo perché papà lo ha convinto, sin dalla culla, di essere principe ereditario per diritto divino, con liceità di disporre del mondo a suo piacimento. Le regole da rispettare sono state fatte appositamente per il resto del volgo, rubricata dal giudizio del principe, giusto perché siamo nell’era del post moderno, appena un gradino su della servitù della gleba. Per buona pace della rivoluzione bolscevica del 1917 e dell’esecuzione della famiglia imperiale dei Romanov a “Casa Ipatiev”, avvenuta ad Ekaterinburg nel gelo degli Urali declinanti verso i deserti di ghiaccio della Siberia. È proprio una commedia degli asini, questa della Juventus e Suarez, dove ancora non si capisce se a preoccupare di più deve essere il senso d’impunità che dalle parti dello Stadium ormai sono convinti di avere, o la complicità di una università e di un avvocato disposti a divellere ogni regola pur di consentire al principe ereditario di parcheggiare la sua Ferrari proprio nel parcheggio dei disabili. L’altra cosa a rendersi evidente agl’occhi è l’evidente dilettantismo e pressapochismo con cui l’intera vicenda è stata gestita, l’illusione, tipica di chi è dedito ad arruffare, di farla franca in un mondo ormai diventato eterno contenitore alla Maria De Filippi o Barbara D’Urso, avido di pettegolezzi come quello di un calciatore famoso pronto a superare una prova d’italiano a dispetto del suo spagnolo, teoricamente lingua madre, alquanto claudicante.

Era ovvio come la cosa sarebbe filtrata da qualche parte, perché la principale caratteristica dello stile Maria De Filippi è quello di essere un metamondo pieno di spifferi. La Repubblica, noto quotidiano del “Gruppo Gedi” controllato da John Elkann, ovvero colui che è stato designato a suo tempo come l’intelligente di famiglia, ha addirittura, sulla vicenda, mobilitato un “tweet” di un noto “Danubio” del pensiero dell’intellighenzia italiana: l’attore Alessandro Gassman. Il quale ha subito approfittato del povero “El Pistolero”, per buttare la questione su un tema caro a chi in genere abita in quartieri “bene”: i diritti di tutti gli immigrati ad avere le stesse opportunità de “El Pistolero”. “Repubblica”, quotidiano di riferimento dei “gauchisti” italici, la prende sempre da molto lontano, ma l’obiettivo alla fine è sempre l’ossessione del momento, ovvero Salvini e la sua avversione per le navi nel Mediterraneo cariche di novità. A Gassman “un leggero senso di schifo sopraggiunge in un Paese dove chi nasce da genitori stranieri, che pagano le tasse, non può avere la cittadinanza, e dove un calciatore sudamericano non riuscirà “purtroppo” ad avere il passaporto prima di ottobre”. “Danubio” Gassman, nella sua critica, è stato veramente sottile, e giustamente a Largo Fochetti hanno deciso di premiarlo dandogli un giusto risalto.

Ma mentre la “Commedia degli Asini” prosegue con largo successo, vediamo se si riesce per un attimo a soffermarsi su un altro aspetto, leggermente più serio, del tentativo dell’immigrato Suarez di accaparrarsi dell’ambito passaporto italiano: l’illogicità su cui è stata costruita l’Unione Europea. Da anni molti politici ed intellettuali si affliggono nel convincerci come l’Europa sia destino e orizzonte comune di tutti i sogni delle genti che la abitano, e a volte, vista l’afflizione ridondante nell’intellighenzia europea, si è veramente portati a credergli. Ma poi arriva il caso Suarez, e improvvisamente si entra nella realtà vera e non quella di un attico dell’elegante quartiere romano dei “Parioli”, dove di immigrati ne hanno contezza visibile solo quando la servitù, rigorosamente extracomunitaria, entra nella sala da pranzo per servire le pietanze del giorno. Nella Liga spagnola il coniuge di una cittadina comunitaria, status della consorte del giocatore uruguagio, assume indirettamente la cittadinanza comunitaria, e quindi non ha necessariamente bisogno di ricorrere alla doppia cittadinanza. Doppia cittadinanza di cui stando alle regole della Spagna contemporanea, Luis Suarez avrebbe pienamente diritto, a dispetto persino di una parlata corrente o meno della lingua spagnola (che ovviamente, essendo uruguagio, parla e intende bene). Ora, al di là che questo particolare (chiamiamola legge, va) a “Danubio Gassman” sfugge, una contraddizione evidente di questa Europa spacciata per “destino comune” emerge chiara: le regole di cittadinanza, alle quali il mondo del lavoro, in questo caso il calcio, è per forza di cose subordinato, non sono uguali in ogni Paese appartenente più che ad un progetto comune, ad una “Lega Anseatica” spacciata per Unione Europea. Detto in parole povere: ciò che va bene in Spagna, non va bene in Italia. Ed è su questo che il povero “El Pistolero”, nel frattempo diventato “Il Pistola”, si è andato ad incagliare.

Probabilmente lo avevano convinto, anche a lui, di vivere in un continente senza frontiere dove il divieto di sosta spagnolo era identico al divieto di sosta italiano. Quindi, dormendo tranquillamente sui famosi “sette guanciali” riempiti dai milioni di euro del Barcellona, aveva avviato i contatti con Andrea Agnelli (ricordate? Proprio quello del parcheggio dei disabili) per farsi riempire nei prossimi anni i suoi sette guanciali dai dobloni made in FCA. Ma dal 2018 per avere un passaporto italiano bisogna fare un esame per verificare il grado di conoscenza della lingua di Dante Alighieri, perché in questo schizofrenico sogno europeo, nonostante tu abbia una moglie con passaporto italiano, devi comunque parlare l’italiano per condividerne il destino. Lascio al lettore il giudicare la paradossalità della vicenda. La Juventus, probabilmente avvertita come le cose si stessero mettendo male, improvvisamente ha mollato la pista del “Pistola” (ops,scusate. Del Pistolero) e si è accaparrata le prestazioni pedatorie di un cavallo di ritorno, a suo tempo mandato via perché giudicato e retrocesso ad Asino (Ah, che magnifica ossessione è Plauto): Alvaro Morata. L’ex giocatore di Real, Atletico e Chelsea ha una moglie italiana, e forse questa storia di Suarez potrebbe servirgli da monito: avendo una moglie natia del BelPaese, meglio si sbrighi ad ottenere il passaporto della Repubblica momentaneamente presieduta da Sergio Mattarella.

Ritengo che una buona dose di ipocrisia, con la libera, e giusta, circolazione dei lavoratori europei nei territori dell’Unione, si sia impossessata del calcio continentale. Si è assistito ad una moltitudine di giocatori, solo perché avevano qualche ascendenza con qualche avo europeo, attingere con facilità allo status di cittadino comunitario, a prescindere dalle loro capacità linguistiche. Forse, ma posso anche sbagliare, è giunto il momento, vista l’atipicità dello sport come attività lavorativa, di consentire ai club di agire liberamente sul mercato, senza essere vincolati dalla nazionalità dei calciatori. Finirebbe l’ipocrisia dei finti comunitari e ci risparmieremmo spettacoli indecenti come quello messo in scena dal caso Suarez. Perché il mondo, nonostante il nostro desiderio recondito di volerlo perfetto, purtroppo perfetto non lo è, nemmeno nelle grandi costruzioni ideali e intellettuali come l’Europa unita. Perché sempre di cose di uomini si sta parlando, e come ci ricorda una frase fulminante del mitico Marcelo Bielsa, “se il calcio non fosse giocato da uomini, la mia squadra vincerebbe sempre”. Siamo creature imperfette, forse per questo persino Dio è affascinato da noi. Potete controllare.

(ha collaborato Carmelo Pennisi)

Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.

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