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Tengo famiglia

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Torna l'appuntamento con 'Loquor', la rubrica di Carmelo Pennisi: "Il problema è che non si può più fare a meno dei procuratori e dei loro caleidoscopi fatti di banconote..."
Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi Columnist 

“Vissero flessibili e contenti”.

Dino Basili

Stiamo veleggiando verso la fine di giugno e ancora il mercato calciatori non ha emesso nessun tipo di verdetto o suggestione, anche perché finché non si segnalano i grandi, che tradizionalmente immettono il denaro necessario per far muovere tutto il mercato, non ha inizio quell’effetto domino che alla fine porta tutti i club, grandi e piccoli, a trovare i nuovi assetti. La notizia più gustosa, e anche un tantino lambente i confini del ridicolo, è la vicenda di Joshua Zirkzee corteggiato dal Milan, dove un procuratore, l’ineffabile Kia Joorabchian che potrebbe trattare cannoni e calciatori con la stessa disinvoltura di Alberto Sordi nel memorabile “Finché c’è Guerra c’è Speranza”, chiede 15 milioni di euro di commissione per portare il giocatore olandese al Milan, il quale Milan a questo punto si è bloccato nella trattativa ritenendo la cifra della commissione una via di mezzo tra la rapina e la circonvenzione di incapace. Il procuratore inglese di origine iraniana, seguendo l’esempio di tutti gli archetipi dei simpatici cialtroni/bucanieri inventati dalla drammaturgia di ogni tempo, non si è perso d’animo e ha pensato bene, per far digerire la cosa ai rossoneri, di abbracciare la più classica delle formule di marketing da supermercato: due al prezzo di uno. E siccome di “Remi”, il trovatello orfano di “Senza Famiglia” Hector Malot, ce ne sono pochi anche in una fase storica a natalità a crescita quasi zero, ecco spuntare il “piccolo” Jordan Zirkzee, fratello del tanto ricercato Joshua, da potersi inserire nell’affare tutto al prezzo di Joshua, tranne ovviamente l’ingaggio, comunque data l’età e il curriculum inesistente di Jordan non particolarmente oneroso. Joorabchian è un tipo scaltro e deve aver studiato antropologia culturale, per cui se in altri Paesi del mondo non l’avrebbe nemmeno immaginata una proposta del genere sa come l’Italia sia il luogo del “tengo famiglia” disegnato dal famoso e graffiante aforisma di Ennio Flaiano. E poi i precedenti, persino in giurisprudenza, aiutano.

Tutto cominciò con “Huguito” Maradona, che il Napoli fu costretto a prendere per accontentare Diego Armando e le sue pretese contrattuali, per poi parcheggiarlo nell’Ascoli del vulcanico Costantino Rozzi e spedito sovente in tribuna da Ilario Castagner. In una malinconica e comica intervista al Corriere dello Sport dell’epoca, il giovane Maradona confessa di passare più tempo a mangiare patatine e a vedersi videocassette di film che a trotterellare su un prato verde dietro ad un pallone, d’altronde davanti aveva Walter Casagrande e Lorenzo Scarafoni e il buon Ilario Castagner mai fu famoso per essere autolesionista. Se uno pensa ad una eccezione allora proprio non conoscete l’Italia, un Paese dove il calcio è riuscito a lungo a non separare i fratelli gemelli Antonio ed Emanuele Filippini, entrambi accollati al Brescia. Ma Joorabachian deve aver studiato proprio bene la nostra propensione al “familismo” spesso sfociante nell’amorale, e così è venuto anche a sapere di Antonio Donnarumma e Digao, miracolati con contratti da sogno, per il loro quasi inesistente valore, per volere contrattuali dei fratelli Gigio e Kakà. Insomma, il buon Kia conosce perfettamente i suoi polli e sa come toccare le loro corde sensibili, non si diventa mica abili uomini d’affari a livello globale pettinando le bambole. Si parla continuamente dello strapotere raggiunto dai procuratori sportivi, ma non si ha fino in fondo contezza di quanto parecchio essi contino. Sono il crocevia, alla stessa stregua di una banca svizzera o lussemburghese, di tutti gli affari dove il mondo dello sport fa passare il suo denaro, quello “chiaro” e quello “scuro”. Viene da sorridere pensando alla ingenuità di ritenere esclusivamente la commissione di transazioni del mercato calciatori come loro fonte di guadagno. Non avrebbero assunto il potere che hanno assunto se fosse così, e da tempo gli organismi dello sport, forti del lavoro di lobby presso la politica, avrebbero di certo trovato le giuste soluzioni giuridiche per arginarli.

I procuratori sono il “porto franco” dove il calcio in ogni sua operazione gode di una franchigia etico/morale/giudiziaria. Nelle varie società strutturate a holding con ramificazione ovunque, anche nell’ovunque dei paradisi fiscali, i procuratori fungono da salvadanaio di risorse finanziarie e segreti inconfessabili, tutto perfettamente in linea con la morale del calcio vigente: non è forse il potente presidente della FIFA Gianni Infantino a parlare continuamente di soldi, gongolando per ogni avvenuto aumento di fatturato del calcio? Gli agenti sanno bene come i club siano delle mucche facili da mungere, perché i primi a berne latte senza soluzione di continuità sono proprio i proprietari, incuranti dello stress continuo procurato alla povera giumenta. E allora capita di finire in storie da “bulle e pupi” anche nella fascinosa e raffinata “Premier League”, dove il buon Joorabchian, secondo la ricostruzione della magistratura della Corona, è stato protagonista di un confronto alla “Sopranos” con Saif Rubie, un altro agente molto chiacchierato, al quale ha sfilato dal polso un costosissimo orologio come pegno per un debito contratto con Marina Granovskaia, ex boss del Chelsea di Roman Abramovich, nelle vicende del trasferimento di Kurt Zouma dal Chelsea al West Ham. Tutto è finito in tribunale, in una trama da “Succession” che sta facendo impazzire tutti i tabloid inglesi e americani. Ma Joorabchian non si occupa solo di recupero crediti, ma come tutti i più potenti procuratori si preoccupa di fare da “consigliori” anche a diversi presidenti di club, e tanto rumore ha fatto, sulla stampa anglosassone e tra i tifosi dei “Gunners”, le pressioni fatte sul finire del 2020 sul presidente dell’Arsenal, Stan Kroenke, per svenarsi nella campagna acquisti, risultata poi molto fallimentare, per il club londinese allora guidato da Unai Emery. Cosa vuoi che sia il metodo “fate bene ai fratelli” (da non confondersi con il noto ospedale romano), a fronte di tante spericolate manovre da potersi riempire un romanzo da via di mezzo tra “Bourne Identity” di Robert Ludlum e il mitico “L’Allenatore del Pallone” di Sergio Martino.

Nel circolo vorticoso dei soldi che girano attorno al calcio, va bene anche aiutare qualche familiare, ma questa del fratello dell’attaccante del Bologna sembra una pernacchia sparata dall’iperspazio e planata sulla terra, un mezzo da saltimbanco per giustificare l’ingiustificabile, ovvero 15 milioni di euro di commissione per il trasferimento di un calciatore. Il problema è che non si può più fare a meno dei procuratori e dei loro caleidoscopi fatti di banconote, sono, come detto, al centro degli ingranaggi e conoscono troppi segreti inconfessabili. Sono loro a manovrare dietro gli sponsor tecnici, che sono legami con i lucrosi diritti d’immagini dei giocatori, di cui è praticamente impossibile vedere finanche il fondo del pozzo. L’immagine da Libro Cuore di Joorabchian determinato a riunire due fratelli, cozza decisamente con quella reale dei guai brasiliani, dove nella collaborazione con il Corinthians fu accusato dalla magistratura carioca addirittura di utilizzare il “Timao” per riciclare soldi. Malelingue e invidia, direbbe lui, intanto ha dovuto abbandonare molto velocemente il calcio brasiliano e tornare a concentrarsi sulla cara vecchia Europa. Ne ha fatta di strada, questo iraniano dalla faccia furba e sorniona, da quando si occupava di vendere Mercedes nella concessionaria di famiglia nel Kent. Sicuramente ha fiuto e senso delle opportunità, altrimenti non si diventa, molto giovani, soci di uno come Boris Berezovsky, un ex oligarca russo, poi caduto in disgrazia con l’era di Vladimir Putin, un personaggio così equivoco e complesso da poter essere scambiato per un personaggio uscito dalla penna di John le Carrè. Da Berezovsky il nostro eroe ha certamente appreso l’arte del voler forzatamente cambiare le regole del gioco degli affari, come quando brigò per far passare la “proprietà di terzi” dei giocatori. Gli fosse riuscito il colpo di mano, sarebbe stato l’atto finale dello strapotere dei procuratori sul calcio continentale. Qualcuno ha scritto come il lieto fine in realtà non esista, considerato come le belle storie non abbiano una fine, ma semplicemente non finiscano mai. Sospetto l’autore di questo pensiero sia lui, Kia. In fondo, se proprio ci premurassimo a conoscerlo meglio, lui è un ottimista.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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