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AUCKLAND, NEW ZEALAND - FEBRUARY 21: Prada Luna Rossa in action during race eight of the 2021 Prada Cup Final against INEOS Team UK on Auckland Harbour on February 21, 2021 in Auckland, New Zealand. (Photo by Fiona Goodall/Getty Images)
“L’Italia… guai a chi me la tocca”.
Oriana Fallaci
“Forse noi italiani per gli altri siamo solo spaghetti e mandolini. Allora qui mi incazzo e gli sbatto sulla faccia cosa è il Rinascimento”. Mi è venuta in soccorso questa splendida frase di Giorgio Gaber, per racchiudere in una sintesi perfetta tutta l’emozione provata, mentre “Luna Rossa” tagliava vincente il traguardo a segnare uno storico 7-1 sugli inglesi di Ineos, regalando per la terza volta all’Italia il privilegio di poter tentare di conquistare la “Coppa America”, una delle competizioni sportive più prestigiose al mondo. L’Americas Cup da sempre è una sfida di coraggio, di emozioni, di innovazioni tecnologiche, di soldi da saper ben spendere, di creatività, di tenacia, di intelligenza e, soprattutto, di resilienza a qualsiasi tipo di avversità. E’ una storia di persone, quelle impiegate in un team di Coppa America, dedite per anni nella direzione dell’unico orizzonte a loro possibile: essere i più veloci tra le onde del mare. “C’è una nazione dietro, molto più forte di quello che crede. Dobbiamo avere più fiducia in noi stessi”; sono parole speciali queste di Max Sirena, skipper di “Luna Rossa”, perché tracciano la direttrice di un popolo, quello italiano, sempre sorpreso dalla storia a giocare in difesa. Sempre proteso a cercare di compiacere un luogo dell’anima del mondo apparentemente più autorevole del suo.
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Ogni volta che provo a raccontare all’estero la storia della mia gente, a un certo punto provo un senso di disagio, perché ho come la sensazione di essere sotto esame, di non essere creduto fino in fondo. C’è la sgradevole sensazione, nonostante ci riconoscano un passato importante nell’arte, che considerino noi italiani quasi un incomprensibile incidente della storia, di un Creatore forse distratto dalle immani fatiche di aver messo su un mondo decifrabile in tutto, tranne per un piccolo particolare: gli italiani. Possono cucinare bene, magari anche creare bei vestiti, ma cosa ci fanno su una pista automobilistica a cercare di tagliare il traguardo per primi? Questo è un diritto divino assegnato a inglesi e tedeschi, ma cosa mai si crede di fare il signor Enzo Ferrari? Se ne rimanga a raccontare fantasmagorici racconti di pistoni e frizioni in qualche osteria della “Via Emilia”. Ma gli italiani sanno essere sul serio delle creature strane, perché geneticamente non sono capaci di mettere da parte i loro intendimenti. Ed ecco, quindi, Enzo Ferrari, figlio del signor Alfredo con le mani sempre sporche dalle fatiche di un’officina di carpenteria, costruire l’automobile da corsa che inchioderà di rosso quel traguardo erroneamente assegnato per diritto divino e discendenza aristocratica a inglesi e tedeschi. Ci vuol un attimo a diventare un fastidio, ed è quell’attimo in cui presunti “dei” improvvisamente scoprono la loro divinità essere messa in pericolo da un manipolo di presunti cuochi e sarti dispersi su una curiosa propaggine adagiata sul “Mar Mediterraneo”.
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Gli italiani, secondo i più saggi quelli incapaci di essere una nazione, scendono in campo e tenacemente si portano a casa il mondiale di calcio del 2006, su cui, a parere di molti, non avevano nessun diritto. L’assenza di Sepp Blatter, l’allora presidente della Fifa, alla premiazione di Fabio Cannavaro e compagni per altri sarebbe stata un’umiliazione intollerabile (perché questa voleva imporre all’Italia il discusso dirigente calcistico svizzero); ma gli italiani sanno andare oltre, e il giorno del ritorno in patria dei Campioni del Mondo del mondiale tedesco, Roma si fermò un giorno intero per abbracciare in tutte le sue strade quei ragazzi in maglia azzurra che avevano fatto battere il cuore italiano riposto in ogni anfratto del mondo. Qualcuno ha detto che “gli italiani sono duemila anni che scappano” (e si dovrebbe vergognare solo per averlo pensato), dimenticando, per ignoranza o per narcisismo esasperato, come i capitani della “Repubblica di Venezia” si facevano squartare vivi dai Turchi, piuttosto che rivelare i segreti della “Serenissima”. Enrico Mattei lasciò la sua vita in un incidente di aeroplano, per non essersi rassegnato all’idea di un’Italia non protagonista sullo scenario internazionale.
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Sono fastidiosi questi italiani, e se riescono a comprare la “Chrysler” è solo perché altri lo hanno permesso chissà per quale strano arcano, e non perché sono stati bravi a convincere con un piano industriale serio il presidente Obama e il fondo pensioni di una delle più antiche case automobilistiche di “Motor City”. Eh sì, l’italiano scappa sempre, sta lì continuamente a pensare agli affari suoi. O almeno così arriva a descriverlo persino la sua stessa classe intellettuale, in una sorta di gioco al massacro, anche qui iniziato e condotto per assecondare un narcisismo esagerato ed eticamente incomprensibile. La sfida italiana contro la corazzata anglosassone “Ineos”, con cinque medaglie olimpiche nel pozzetto e 120 milioni di sterline di budget, parte da Nembro, piccolo centro bergamasco, dove la “Persico Marine”, uno dei tanti gioielli dell’imprenditoria italiana, non si ferma nel costruire le due “Luna Rossa AC 75”, nemmeno nei giorni drammatici della prima ondata del Covid-19. L’ondata più terribile, in pieno centro della “Val Seriana” dove in quel momento non c’era più un distinguo tra la vita e la morte. A Nembro, in quei tragici giorni, nelle case si cucivano le mascherine, e il panettiere viveva e dormiva nel suo forno per fare il pane necessario alla sussistenza di tutto il paese. Si è persino distinto un ex calciatore, Filippo Carobbio, offertosi volontario per rispondere a tutte le chiamate al centralino del municipio. “Salvati dal senso di unità”, dice un anno dopo il sindaco di questo piccolo comune della “Val Seriana”, e forse quel senso di unità e di resistenza alle avversità è transumato, per un fantastico rito empatico, nel ventre degli scafi “Luna Rossa AC 75”, svelando la ricetta delle questioni impossibili diventate possibili. Si è prevalso contro Charles Benedict Ainslie, il velista più vincente della storia, un altro ospite di diritto dell’Olimpo del dei, e lo si è fatto con un apparente facilità disarmante.
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Sembrerebbe sia stato dato, agl’italiani, il compito di mettere in crisi il concetto di divinità terrena. Gli azzurri di Bearzot lo fecero allo stadio “Sarrià” ai mondiali del 1982, dove un Brasile di semidei fu riportato alla realtà, in una partita che nella terra dei “Sambodromo” non dimenticheranno mai più. Dal 6 marzo una “posse” di italiani sfideranno “Team New Zeland”, portavoce di una nazione dove perfino i kiwi saprebbero “timonare” una barca a vela. Parrebbe un’impresa improba portare la “Vecchia Brocca” in Italia, ma niente è più seducente di un’impresa dai contorni impossibili. Ma vorrei si fosse, almeno tra noi italiani, consapevoli di una spinosa e atavica questione. Se “Luna Rossa” non dovesse riuscire a trovare il bandolo della matassa di questa coppa, allora tutti diranno come la vittoria tra gli sfidanti sia stato un semplice colpo di fortuna. Se invece l’impossibile si realizzasse, e dopo le congratulazioni ricevute rigorosamente a denti stretti, vedremo, con il passare del tempo e in crescendo, venir fuori delle strane e torbide storie sulla nostra eventuale affermazione in una delle competizioni più antiche e prestigiose del mondo. Usciranno prima dei mormorii, poi articoli di giornali, poi qualche libro”retroscenista” assurto magicamente a best seller, in cui si ipotizzerà il quasi certo malaffare nascosto tra le pieghe perfette della chiglia della nostra barca a vela (camorra, cosa nostra, ndragheta? Scegliete voi). Ci vedono come un Paese da retrovia, e se proprio devono assumere l’atto di dover prendere ogni tanto qualche lezione da noi, allora sarà meglio svicolare con il pessimo stile di Johan Cruijff, che da buon olandese non ci sopportava molto: “gli italiani non possono vincere, ma contro di loro puoi perdere”. In questo ossimoro coniato da uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi, c’è tutto il pregiudizio e lo stupore con cui gli italiani da sempre pagano pegno.
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Pare siano stati 40.000 i messaggi di supporto arrivati dall’Italia al team di “Luna Rossa”, messaggi di una nazione costituitasi non nel 1861 ma bensì qualche migliaio di anni prima: attraverso una lingua, attraverso l’arte, attraverso una fede. Ai nostri avversari sul campo di regata consiglierei di non prendere sottogamba Max Sirena e compagni, perché l’adagio di Johan Cruijff, “con gli italiani puoi perdere”, pende pericolosamente sulle loro teste. Si rassegni, il mondo, di fronte alla nostra imprevedibilità. L’Italia non sarà mai un’equazione matematica delle storia, piuttosto sarà sempre la sua fantasia, una delle poche cose per cui vale la pena vivere. Con questa, la fantasia, noi italiani abbiamo sempre saputo resistere a tutto e a trovare il nostro senso. Lasciando spazio al cuore e alla meraviglia.
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Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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