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JUL 1982: PAOLO ROSSI #20 OF ITALY IS HOUNDED BY PAUL BREITNER OF WEST GERMANY DURING THE ITALIANS 3-1 VICTORY IN THE 1982 WORLD CUP FINAL. Mandatory Credit: Tony Duffy/ALLSPORT
“Chiunque tu sia,
obbedisci alla legge”.
Pittaco
Avendo la ventura di leggere l’esposto di Massimo Cruciani (da cui partì la clamorosa inchiesta sul “CalcioScommesse” nel 1980) alla Procura della Repubblica di Roma, si possono avere tutte le opinioni del mondo ma sicuramente non si può non convenire sul fatto che un commerciante di frutta e verdura, un po’ arruffone e volitivo a voler fare tanti soldi velocemente (pratica diffusa dall’inizio dei tempi), non possa essersi inventato date, fatti, nomi, cifre, come nemmeno un abile epigono di George Simenon alle prese con l’immaginare una nuova avventura del suo “Commissario Maigret”. Sono passati 42 anni da quando le volanti della polizia si presentarono in alcuni stadi italiani per operare arresti in chi aveva pensato bene di accumulare altri soldi, oltre a quelli dei già più che munifici ingaggi, truccando partite per uno strano giro di scommesse clandestine.
Quel giorno l’Italia venne a conoscenza in modo traumatico che diverse partite a cui aveva assistito, e per cui aveva provato pathos ed emozioni irripetibili, erano state in realtà sceneggiature (nemmeno scritte tanto bene) partorite dalla mente di calciatori e scommettitori. Massimo Cruciani denuncia la cosa perché alcuni risultati concordati, e su cui aveva scommesso pesantemente, non erano stati mantenuti dai calciatori per ragioni ancora oggi avvolte nel mistero. Massimo Cruciani e Alvaro Trinca (sodale del grossista ortofrutticolo) sono talmente rovinati da denunciare per truffa coloro che non erano stati corretti nel voler portare a compimento una truffa con loro concordata. Paradossi con un tasso di comicità involontaria possibili solo in Italia.
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Ma in questa sede è inutile ricordare tutta la vicenda giudiziaria (sia sportiva che penale), anche perché la Rete è piena di resoconti in cui si raccontano finanche i minimi particolari di una delle tragicommedie più gustose, e tristi, del secolo scorso. L’incipit delle partite vendute o aggiustate (dipende i casi e le persone) serve per capire uno degli storytelling molto cari al pubblico, forse perché inconsciamente spera di avere sempre una seconda possibilità rispetto ai guai in cui ci si fa coinvolgere, ovvero la possibilità di risorgere a nuova vita. È esattamente una resurrezione quella accaduta nell’estate del 1982 a Paolo Rossi, quando a partire dalla tripletta del 5 luglio 1982 allo “Stadio Sarrià” di Barcellona si tuffa a piene mani verso un nuovo destino di gloria e di affetto della gente.
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Niente di male, anzi, il riscatto è una cosa a cui tutti dovrebbero credere ogni giorno, considerato come il ritorno alla vita sia a prescindere qualcosa da festeggiare (Parabola “del Figlio Prodigo” docet). Ma il riscatto non dovrebbe mai prevedere l’azzeramento della memoria o una assoluzione a posteriori, specie se questa assoluzione viene portata avanti senza aver fatto venire alla luce prove di confutazione di una sentenza di condanna a quel punto discutibile. Presentando “E’ Stato Tutto Bello”, sua ultima fatica cinematografica sulla vita di Paolo Rossi, Walter Veltroni ha posto l’accento sull’ingiusta squalifica subita dall’attaccante di Prato nel 1980 perché coinvolto nelle vicende nel valzer di scommesse e partite truccate messo in piedi da Trinca e Cruciani.
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Secondo l’ex segretario e fondatore del Partito Democratico questa ingiustizia verrebbe fuori dalle testimonianze degli ex compagni di squadra del “Pablito” nazionale, corroborata a suo tempo da quel monumento italiano che fu Enzo Bearzot. Tutti pronti a giurare sull’assoluta incapacità di Rossi di potersi macchiare del più infamante dei peccati a cui un atleta possa indulgere. Non è la prima volta che scrivo di questa vicenda, ritenni doveroso anche farlo il giorno della scomparsa di Rossi, visto come nei momenti di grande gioia o di grande dolore la tendenza di questo Paese è sovente incline alla manipolazione dei fatti a proprio piacimento, declinati in “molto peggio” se la persona in questione ci è stata sul gozzo o in “molto meglio” se al contrario ci è stata amica, familiare o addirittura vissuta alla stessa stregua di un mito dell’Olimpo.
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Avevo messo in conto di ricevere molti insulti (e infatti ne arrivarono tanti), ma prevalse la necessità, in primo luogo a me stesso, di ribadire con i fatti perché un bel giorno la comunità umana ha deciso di dotarsi del giornalismo e dell’informazione. Mio malgrado, e con molta difficoltà data l’ammirazione e la simpatia provata per Paolo Rossi, tentai, nel mio piccolo, ad arginare le immancabili ricostruzioni assolutorie sulle vicende del 1980 presenti, in vari ordini di grandezza ed importanza, un po’ su tutta la stampa. L’ex icona Azzurra era stata certamente vittima di una ingiustizia, era stato il coro quasi unanime.
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Questo coro si era peritato a portare alla luce qualche nuova prova a confutazione della sentenza di condanna del Tribunale Federale? Ovviamente no, tutto era basato ancora una volta sulle testimonianze di chi a Rossi aveva voluto bene: lui non avrebbe mai potuto commettere quanto gli era stato contestato dalla Procura Federale. Veltroni, buttandosi con convinzione nella scia degli “assolutori” per “opinione” e non per “fatto”, rinverdisce il noto vizio nazionale del farsi “un concetto di giustizia da soli”, a prescindere da ogni spirito logico e sequenziale di cui ogni “Diritto” dovrebbe essere pervaso. La narrazione assolutoria ripresa dal potente ex politico (davvero ex?) della sinistra italiana è incurante nel far passare la giustizia sportiva per una banda di dilettanti (nella migliore delle ipotesi) o per una lunga mano di chissà quale sordido complotto ordito contro un bravo ragazzo toscano con il vizio del gol (nella peggiore delle ipotesi).
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Il figlio della classe più proletaria conosciuta non può essersi certo macchiato di una colpa così orribile, e se anche l’integerrimo Enzo Bearzot era disposto a metterci la mano sul fuoco (pipa compresa) allora il risultato non può essere che la risurrezione mondiale vista come un legittimo risarcimento del danno subito. Il “Conte di Montecristo” fugge eroicamente dalla cella del pubblico ludibrio attorno a lui artatamente costruita e si riprende la libertà con vendetta annessa. La tesi veltroniana pare non fare una grinza e sembra la sceneggiatura perfetta per mettere una pietra tombale sulla macchia di un personaggio da tutti gli italiani amato perché principale interprete protagonista di una delle favole più belle del nostro calcio. Un soccorso non avvenuto in egual modo, ad esempio, per Beppe Signori recentemente assolto, dopo una lunga battaglia giudiziaria, per una brutta storia di scommesse in cui era stato coinvolto. Assoluzione avvenuta, occorre sottolinearlo, attraverso le aule di giustizia e non mezzo stampa. A guardare bene la cosa esiste una sorta di “damnatio memoriae” sulle dichiarazioni di Rossi avvenute nel corso degli anni, in cui si evincono ripetute prove di omessa denuncia sui fatti del 1980, reale motivo per cui fu sanzionato con due anni di squalifica e non radiato a vita come altri calciatori chiamati in causa dal duo Cruciani/Trinca. Quindi risulta un po’ ridicola, da parte di alcuni giornalisti, richiamarsi, come prova della sua innocenza, all’assoluzione di Rossi da parte del Tribunale ordinario, per cui allora non era contemplato come reato l’omessa denuncia e la vendita delle partite di calcio.
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“Pablito” era un ragazzo poco più che ventenne nel 1980 e sarebbe stato ingeneroso e sadico far ricadere su di lui più del necessario il peso di un errore di gioventù, errore di cui invece Artemio Franchi, uno dei più grandi dirigenti sportivi che l’Italia abbia mai avuto, decise di pagare con le sue irrevocabili dimissioni: “non sarò mai più presidente federale, anche se mi rieleggessero. – disse al Segretario Generale della FGCI Dario Borgogno - È pure colpa mia quanto è accaduto”. Quindi, caro Veltroni, non “è stato tutto bello” ciò che accadde nella vita sportiva del più iconico tra gli attaccanti della storia del calcio italiano, è stato, semmai, quasi tutto bello, come provò a ricordargli con severità necessaria, in un drammatico colloquio, il magistrato napoletano Alfonso Vigorita, all’epoca Presidente Federale della Corte d’Appello: “Pablito, io la stimo molto come calciatore.
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Le dirò che mi ha fatto vivere momenti di felicità ai campionati del mondo in Argentina. Ma qui si discute di altra materia. Ha qualcosa da aggiungere”? Non ci fu niente di concreto da aggiungere, ecco perché il giocatore fu sospeso due anni dal calcio giocato. E mi si consenta di sottolineare come la vittoria mondiale del 1982 prima di essere stato un risarcimento per Paolo Rossi, fu un risarcimento per i tifosi italiani che al calcio, da generazioni, dedicano tempo, denaro, passione, sacrifici. Per loro in quel pomeriggio del 1980 con le automobili della polizia presenti negli stadi italiani ci fu poco di bello. Ogni tanto sarà bene che la classe dirigente del nostro povero Paese, a cui Walter Veltroni appartiene, se ne ricordi. Prima degli amici e delle icone viene la gente. Prima delle agiografie cinematografiche viene la verità. Manipolarla non conviene a nessuno, nemmeno all’onore di Paolo Rossi.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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