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Wimbledon e il genio italiano

Anthony Weatherill
Loquor / Torna l'appuntamento con la rubrica di Anthony Weatherill: "Oggi assistiamo all’elogio del presente e al tentativo ossessivo di abbattere ogni differenza, perché la differenza lascia sempre traccia di sé. Il risultato è che oggi non...

“E per rinascere che siamo nati.

                                                    Ogni giorno”.

Pablo Neruda

 

Il torneo di Wimbledon è uno di quegli avvenimenti che se non ci fossero andrebbero assolutamente inventati. Essere appassionati di tennis o meno è un fatto irrilevante, perché quel mondo fatto di prati verdi e fragole con panna che va avanti dal 1877 è una di quelle rappresentazioni pratiche di come importante sia la tradizione, con i suoi vari orpelli e tracce immutabili dal sapore ormai diventato mistico, per gente di ogni angolo di mondo. In quel territorio sacro per ogni tennista, il tempo immutabile ospita da più di un secolo ogni moda contemporanea, che in quella ospitalità trova giustificazione di ogni proprio carattere e segno. L’immortale ospita il mortale, e gli ricorda che grazie a lui anche l’incedere passeggero del transitorio troverà il senso. I tifosi di calcio, specie quelli del Torino e dello United, comprendono bene questo, anche se ci troviamo in un periodo storico in cui tutti sembriamo coinvolti nel far sparire l’immortale a favore del mortale, perché così parrebbe volere il “main stream” mondiale nell’operazione ormai acclarata di voler sancire quest’era come “l’Era del Consumatore”. E il consumatore non deve lasciare né tracce di sé, né senso di sé. Si aboliscano, quindi, tutti i segni del passato, tutte quelle cose che renderebbero un po’ più saggi nel futuro che verrà. Il consumatore non ha bisogno di memoria, perché lo renderebbe esitante di fronte al teorema del consumo a prescindere. Anche perché il tempo, per tutti questi ammalati di presente, bisogna consumarlo piuttosto che occuparlo. Allora si rimuovano tutte le tracce del tempo immutabile, perché la logica da popcorn abbia finalmente tutto lo spazio. E quando finiscono i popcorn? Già, bella e insidiosa domanda. C’e’ un noto intellettuale italiano(un po’ molto sopravvalutato, a mio modesto parere) che si è augurato un mondo dove non si possano lasciare tracce, giungendo addirittura a prefigurarsi il desiderio impossibile di poter andare sulla luna a cancellare con una scopa la traccia indelebile dello scarpone di Neil Armstrong lasciata nella prima passeggiata umana sul suolo del satellite terrestre.  Il noto intellettuale benedice la pioggia e il vento che cancellano i suoi passi, manifestando un’ ansia di distruzione un po’ annoiata e un po’ nichilista, che tanto fa sempre chic dalle parti di tanti radical tesi a farci sapere continuamente come la terra sia rotonda. Ma attenti a commettere l’errore di liquidare la questione come una banale teorizzazione esistenziale di una classe intellettuale, quella italiana, da decenni incapace di indicare orizzonti esistenziali credibili a un popolo, quello italiano, ormai sempre più smarrito e confuso sulla propria identità. Dobbiamo stare attenti perché il gioco di sottrazione di memoria ha diverse controindicazioni, e tutte negative o molto negative. Una di queste controindicazioni è l’inclinazione a far cadere nell’oblio la necessaria attenzione ai dettagli, che fanno sempre la differenza e possono dare anche coraggio su un’ attuale situazione momentanea difficile. Il dettaglio che mi è saltato agl’occhi nel corso di questo Wimbledon, è la presenza di numerose sponsorizzazioni tecniche di aziende italiane, che forniscono vestiario e scarpe ai tennisti in lotta per il più prestigioso dei titoli dello slam. Sono marchi che da decenni sfidano i colossi anglosassoni e franco/tedeschi, e che hanno contribuito a mantenere in alto l’onore del “Made in Italy”, anche in condizioni socio/economiche non proprio favorevoli. Dietro questi marchi ci sono storie di famiglie imprenditoriali, che con poco sono andati in giro per il mondo, per sfidarlo il mondo. Ogni volta che un tennista si muove leggiadro sul’erba del “Central Court”  più famoso del pianeta, accompagnato nei gesti sportivi da una scarpa o da un completo italiano, tracce del passato e presente genio imprenditoriale italiano ritornano prepotentemente in mente. Piccole e medie imprese tessili che hanno dato lavoro e idea di futuro a generazioni di operai, di creativi, di impiegati, che da questo incredibile dna italico hanno potuto ricavare il necessario per lasciare traccia di sé. Questi marchi sono il simbolo di un popolo in cammino, perché l’imprenditoria non è solo un mezzo per fare soldi, non è solo autoaffermazione di sé e delle proprie ambizioni, ma è soprattutto il segno indelebile al futuro che verrà. Quando Cristoforo Colombo solcò con le tre mitiche caravelle verso l’ignoto dell’Oceano Mare, disse a tutti i suoi posteri che le cose si possono fare. Basta avere la necessaria fantasia e audacia. Quando Belotti si alza in volo per provare a bucare la porta avversaria con una delle sue proverbiali mezze rovesciate, sa bene che sta rischiando il ridicolo. Sa che nove volte su dieci o mancherà la palla o la butterà molto in alto sopra la traversa o la “ciccherà”. Ma comunque ci prova, perché se riuscirà lascerà un segno nella memoria dei tifosi granata, segno  tramandato ai futuri tifosi che da questo ricaveranno il fondamentale insegnamento che le cose si possono fare. Quanta follia si potrebbe riscontrare in degli imprenditori trevigiani che un giorno decisero di sfidare sul mercato un colosso come l’Adidas? Non riesco proprio ad immaginarlo, ma vedendo un famoso tennista indossare a Wimbledon i capi prodotti da questi imprenditori trevigiani, almeno so che tale follia ha lasciato una traccia significativa. Una traccia significativa per un Paese che oggi appare spaventato, con il fiato corto persino nel suo concetto d’identità, confuso sulla sua idea di futuro. La platea mondiale in questi giorni occupata a godersi le gesta sportive del torneo di tennis più famoso del mondo, starà anche ammirando i capi d’abbigliamento e le scarpe indossate dai tennisti. E domani certamente sarà nei negozi per comprare alcuni di questi prodotti, e quindi a qualcuno ciò potrebbe apparire come un semplice atto di consumo. Ma quando il consumo, che per sua natura è transitorio, è spinto da qualcosa intrinsecamente immanente come Wimbledon, ecco come allora il consumo riesce a rimuovere la sua anomica perversione vorace, per diventare un azione fluttuante nel tempo. C’è stato un momento in cui la pubblicità aveva assunto il tempo, e le tracce lasciate, come un valore. Oggi assistiamo all’elogio del presente e al tentativo ossessivo di abbattere ogni differenza, perché la differenza lascia sempre traccia di sé. Il risultato è che oggi non conosciamo più nemmeno la vera natura di ciò che stiamo consumando. Sta succedendo anche nel calcio, dove a noi tifosi non sembra più importare come le cose si fanno, purché si facciano. Zygmunt Baumann ha detto che dobbiamo soffrire per arrivare ad avere una vera idea di cosa sia la felicità. Forse, e lo dico con enorme timore, dobbiamo soffrire nel perdere il calcio per come lo abbiamo sempre conosciuto, per poter un giorno provare a tornare a recuperarlo  nella sua identità originaria. Saremo veramente felici quel giorno? Io credo di sì.  La traccia rimasta di Armstrong lasciata sulla luna sta a lì a ricordare che sulla luna ci si può sempre ritornare, che niente è veramente perduto per sempre. Gli sponsor tecnici italiani oggi presenti sugli atleti di Wimbledon, sono la testimonianza resiliente che l’Italia è ancora viva. Danno speranza e sono traccia, per chiunque voglia scorgerla, del lavoro e della creatività italica, anche contro chi inopinatamente stia prefigurando l’Italia con un futuro da società di servizi o dedita al turismo. Quegli sponsor tecnici sono suprema traccia degli avi di tutti gli italiani, un invito alla follia e al coraggio. Un augurio perenne al “possiamo farcela”, ancora una volta. Bisogna solo tornare a condividerle queste tracce, e non cancellarle. C’è un marchio italiano che, tradotto dal greco, significa “condividere doni ed onori”. Animo, dunque, perché il mondo aspetta di ritrovare l’Italia e il suo genio. Ed io, vi assicuro, sarò lì ad ammirarlo. Con invidia e devozione.

Di Anthony Weatherill

(ha collaborato Carmelo Pennisi)

Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.