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columnist
Gira un fantastico meme che dice: “Se volevo lo scudetto del bilancio tifavo una banca”. A parte la sintassi che violenta allegramente la lingua italiana, il senso ironico, ma al tempo stesso crudo, è la miglior risposta alle esternazioni che il presidente Cairo ha fatto nel dibattito su Instagram con alcuni tifosi che lo accusavano di scarsa ambizione del “suo” Toro. Perché il punto è proprio quello: noi tutti tifiamo Toro e come tifosi del Toro tifiamo per la maglia e per ciò che essa rappresenta in campo e gioiamo e ci disperiamo per i risultati che il Toro ottiene sul campo. Non credo che nessuno di noi sia un accanito tifoso del Torino FC S.p.a. e gioisca per le performance di bilancio della compagine sociale...
È chiaro che siamo contenti che i conti siano a posto e la gestione finanziaria oculata perché nessuno di noi vorrebbe rivivere l'estate del fallimento di Cimminelli. Ma sono passati tredici lunghi anni da allora, più del 10% dell'intera storia del Torino, e lo spauracchio del fallimento non può più essere agitato come se fosse la vera minaccia, specialmente ora che stiamo inanellando scudetti di bilancio uno dietro l'altro.
Esiste, perciò, una terza via tra gestione iper virtuosa e sfrenata ambizione sportiva? Ovviamente si. Ed è qui che le parole di Cairo si infrangono sulla realtà come onde sulle scogliere di Dover. Nonostante, infatti, il Torino abbia un patrimonio immobiliare societario prossimo allo zero (il Fila è in affitto, il Robaldo in concessione e lungi dall'essere minimamente annoverato fra le struttura societarie e il Grande Torino è del Comune), sappiamo benissimo che se Cairo vendesse domani realizzerebbe una plusvalenza doppia, se non tripla, rispetto ai "famosi" 60 milioni che ha immesso nella società (rilevata quasi a zero, è bene ricordarlo…). Per non parlare, poi, dei vantaggi, economicamente difficili da quantificare, che l'essere presidente del Torino gli ha dato in questa dozzina d’anni: indubbi e consistenti.
Il problema, quindi, è che tra Cairo e noi tifosi esistono due piani di comunicazione estremamente differenti, al momento: lui ci parla come se fossimo degli azionisti o degli sponsor, magnificando i risultati economici (lo scudetto del bilancio) e la visibilità del marchio (la stabilità in serie A, la parte sinistra della classifica,ecc.), noi gli chiediamo invece conto della competitività sul campo e degli obbiettivi sportivi. Siamo su due binari paralleli che tendono a non incontrarsi. Il calcio sarà cambiato e Cairo ne incarna perfettamente il presidente manager moderno, ma a noi interessa sognare. E i sogni del tifoso granata non sono la Champions o lo scudetto: sono una squadra che lotta alla pari con tutti sebbene non vinca necessariamente contro tutti, una squadra che affronta i derby per vincerli, non per perderli nel miglior modo possibile (che tra l'altro non esiste!), una squadra che possa ambire ad un piazzamento Uefa o a far strada in Coppa Italia. Ecco, forse il presidente non si è accorto, vogliamo dargli il beneficio del dubbio, che la crescita in termini sportivi non va di pari passo con quella economica e che la politica delle plusvalenze, più elegantemente definita del “non tarpare le ali a nessuno”, crea invece che una squadra con dei valori ed una mentalità più che altro un gruppo di atleti attenti a scendere alla fermata giusta senza sentirsi davvero parte della causa comune.
Il presidente Cairo tira l'acqua al suo mulino: è giusto che lo faccia ed è giusto rendergli merito per ciò che di buono ha fatto in questi anni. Ma la cosa più grave resta il fatto che in tredici anni non abbia ancora capito davvero qual è l'essenza del Toro e dei suoi tifosi. Ci parla di vittorie della Primavera, che certamente ci inorgogliscono e ci fanno piacere, ma secondo voi ci si ricorda di Vatta per gli scudetti e le Coppe Italia o perchè portava in prima squadra i Cravero, i Lentini, i Fuser, i Dino Baggio e mille altri? Ci parla di aver trattenuto Belotti, ma non perchè ha rifiutato i cento milioni della clausola. E non ci dice invece che su Belotti si dovrebbe costruire il Toro che vogliono i tifosi, cioè con undici giocatori come Belotti: non campioni, ma forti e determinati come piacciono alla piazza. Ci parla della ricostruzione del Fila come se ne fosse stato il motore mentre a malapena ha contribuito e neppure in parti uguali agli altri attori come aveva promesso.
Magari sarebbe meglio smettere di parlare di cifre, di numeri, di posizioni e più di emozioni, di valori, di gesti, anche simbolici. Negli anni Ottanta capitava di arrivare a metà classifica o anche più in basso, però poi c'era sempre un derby vinto o una finale di coppa Italia o qualche giovane che entrava in pianta stabile in prima squadra a far pendere il giudizio del tifoso verso la positività dell'intera annata. Non è questione di essere nostalgici, ma è questione di essere del Toro con tutti i suoi tratti caratteristici. Ed è questo che ancora oggi mi stupisce di Cairo: come ha fatto dopo tutti questi anni a non essere ancora diventato davvero del Toro?
Da tempo opinionista di Toro News, dò voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finchè non è finita.
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