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Mai più bianconeri in un Toro stile Athletic Bilbao

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C'è una cosa che proprio non mi va giù ogni qual volta si apre una sessione di calciomercato, estiva o invernale che sia. Immancabilmente, tra le voci più o meno attendibili di giocatori trattati dal Torino, spunta sempre il...
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

C'è una cosa che proprio non mi va giù ogni qual volta si apre una sessione di calciomercato, estiva o invernale che sia. Immancabilmente, tra le voci più o meno attendibili di giocatori trattati dal Torino, spunta sempre il nome di uno o più ex juventini. Lo spunto arriva dalla notizia che nel mirino di Petrachi ci sarebbe Ruben Olivera, ora in forza alla Fiorentina, ma con un passato alla Juve, o anche, senza andare troppo indietro nel tempo, dal ricordo di tutto il can can che ci fu l'anno scorso per l'arrivo in prestito, direttamente da Vinovo benedetto da un “accordo tra gentiluomini” fra Marotta e Cairo, di Pasquato. Lasciando da parte l'aspetto personale dei giocatori in questione (Pasquato era ed è un bravissimo ragazzo) trovo profondamente ingiusto nei confronti dei tifosi che la società operi sul mercato facendo questo tipo di scelte. E' mai possibile che, con tutte le migliaia di giocatori che ci sono in Italia, in Europa e nel mondo, dobbiamo interessarci per forza a qualcuno che fa parte di quelle poche centinaia che hanno vestito nella loro carriera quella acromatica maglia a strisce? Per caso a presidenti, allenatori e direttori sportivi sfugge il piccolo “dettaglio” che ai tifosi granata non sono simpatici i gobbi tanto quanto gli ex gobbi? Nessuno ha mai sentito il coro che si alza dalla Maratona quando toccano la palla giocatori avversari con un passato bianconero? E si badi che il mio non vuol essere uno sproloquio da tifoso perennemente insoddisfatto pronto a criticare a priori questo o quel giocatore con la scusa del suo passato. Il mio ragionamento parte da più lontano e si appella a quel senso di appartenenza che accomuna tutti i tifosi granata e che in passato almeno fino agli anni '80 era fortemente sentito anche dai giocatori stessi. Certo c'era un settore giovanile che sfornava giovani di valore per la prima squadra e c'era il Filadelfia con la sua magica atmosfera che trasudava storia e leggenda e sapeva dare un imprinting unico a chi lì dentro si allenava e non solo a chi vi cresceva. Oggi, che finalmente si riparla concretamente di ricostruire fisicamente uno stadio Filadelfia, è forse più importante cominciare a ricostruire innanzitutto un Filadelfia “virtuale”, cioè un nuovo alone di vanto ed orgoglio per quei valori che la tradizione granata da sempre considera fondamentali e caratteristici del proprio dna. Ecco perchè, e quindi non per mero sfizio, vorrei iniziare a non vedere più nelle file del Toro giocatori che hanno militato nella Juve: se sin da bambino ho visto in quella squadra tutto ciò che non volevo nel mio amato Toro, perchè devo mandare giù il fatto che ad indossare la nostra maglia, e quindi di riflesso ad incarnare quei valori a me cari che essa rappresenta, sia un giocatore che ha militato sull'altra sponda? Si dirà che il mio è un pensiero anacronistico, che il calcio d'oggi è solo business, sponsor, tv, procuratori e via discorrendo. Ebbene, secondo me, esiste ancora un'isola felice che non si è piegata completamente alle logiche del calcio mercenario: è l'Athletic Bilbao ed è a quella squadra che noi granata dovremmo guardare come modello. L'Athletic, per tradizione e per storia, non tessera e non ha mai tesserato nessun giocatore che non sia nato nei Paesi Baschi. Una scelta forte e unica nel panorama calcistico mondiale che ha incredibilmente sempre dato buoni frutti visto che la compagine basca, con alti e bassi, oltre ad aver vinto scudetti, coppe nazionali ed internazionali, vanta il primato assieme al Real, di unica squadra spagnola a non essere mai retrocessa. Un autentico miracolo considerato il limitato bacino di utenza da cui attingono i dirigenti baschi per costruire la propria squadra! Il segreto, al di là di ogni delicata considerazione politica, è ovviamente un forte attaccamento dei giocatori alla maglia che indossano e una completa identificazione con la società per cui giocano. Credo che il Torino potrebbe creare in un certo senso un volano positivo simile a quello dell'Athletic se inserisse nel proprio statuto una regola che impedisca di tesserare qualsiasi giocatore che abbia militato tra le file della Juve: non sarebbe fondamentale per i risultati sportivi nel breve periodo, tutt'altro, ma costituirebbe un segnale forte di simbiosi tra società e tifosi, garantirebbe un tratto distintivo unico in Italia e accrescerebbe il senso di appartenenza dei giocatori, eliminando gli imbarazzanti casi “alla Pasquato”. Il rovescio della medaglia sarebbe l'impossibilità di ritrovare in futuro un nuovo Gabetto o un altro Pasquale Bruno, casi felici in una ben più vasta schiera di ex juventini che invece non hanno per nulla brillato nelle loro parentesi granata. Ma ce ne possiamo fare una ragione. Dirò di più: sogno un Torino così, più Athletic Bilbao che Udinese (altra società spesso citata a modello per la capacità di scovare talenti sconosciuti per rivenderli a cifre esorbitanti), più legato alle proprie peculiarità che non alle plusvalenze, alle bandiere piuttosto che a quelli che fanno collezione di maglie, ai tifosi veri invece che ai telespettatori delle pay-tv. Utopia? Rincitrullimento? Può darsi, ma credo che se ci fosse la volontà vera di ricostruire delle reali fondamenta granata, ad esempio, si farebbero i contratti ai capitani con una semplice stretta di mano, si userebbero i soldi degli ingaggi di tre terzini sinistri, al posto dei quali gioca un terzino destro, per raddoppiare la cifra destinata alla ricostruzione del Filadelfia e si parlerebbe di più di Diop titolare piuttosto che di Olivera nel centrocampo granata. Sono sicuro che un giorno ci arriveremo, ci vorrà del tempo, ma ci arriveremo. Perchè l'idea che abbiamo di Toro con la T maiuscola sarà sempre un faro al quale volgere lo sguardo per capire la rotta da seguire nei marosi del calcio moderno. Tutto sta a trovare un capitano della nave che condivida tale visione e sia all'altezza dell'impresa.    Alessandro Costantino    

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