columnist

Mauro Icardi e la Bentley di Wanda

Anthony Weatherill
Loquor / Torna la rubrica di Anthony Weatherill: “Ci troviamo di fronte ad una mutazione, e non in meglio, dell’immagine dell’uomo, che va sempre più strutturandosi come un resoconto riduzionistico di sé stesso"

“Un molo è un ponte deluso”.

Julian Barnes

C’è qualcosa di scioccamente anarchico nella decisione di Wanda Nara, moglie e procuratrice di Mauro Icardi, di esporre attraverso il suo profilo instagram la foto della “Bentley Bentayga” avuta in regalo dal centravanti dell’Inter, uno dei tanti “cresi”  affollanti il mondo pallonaro mondiale. Un regalo da duecentomila euro, ed esibito al mondo della rete con tanto di fiocco a ricoprire la costosa automobile, perché di un regalo di compleanno comunque si è trattato. E’ bene subito chiarire che qui nessuno vagheggia ad un ritorno ad una società pauperistica, né si tiene ad incoraggiare una qualsiasi forma di invidia sociale, ma l’ostentazione di tanta ricchezza, da parte di un calciatore, forse qualche riflessione la impone. Una riflessione che chiama in causa la filosofia dei diritti e dei doveri, e che ci pone davanti alla sterminata proliferazione di diritti usati come risposta a problemi inediti a partire dalla seconda metà del novecento. C’è da chiedersi se le infinite libertà di scelta, amplificatesi con l’avvento dei “social” nella storia umana, abbiano fatto perdere di vista l’importanza dei legami e delle relazioni, e anche i conseguenti doveri che questi comportano.

Ci troviamo di fronte ad una mutazione, e non in meglio, dell’immagine dell’uomo, che va sempre più strutturandosi come un resoconto riduzionistico di sé stesso. I diritti di libertà del singolo, in un’orgia di interpretazioni libertarie, hanno creato le basi di un relativismo morale sganciato ormai da qualsiasi tipo di valore. Dubito che la signora Nara e suo marito Mauro abbiano una vaga idea di cosa sia il nichilismo, che in altri ambiti potrebbe essere anche una legittima scelta esistenziale(ormai siamo abituati a tutto), ma che nel calcio assume l’aspetto di provocazione ad un mondo esistenziale tutt’altro che nichilista. Quando si parla di una maglia che “pesa”, perché contenitore virtuale di una storia e di quei valori da essa rappresentati, il volto dei tifosi viene attraversato da brividi di piacere provocati da sussulti di cuori condivisi, nella contemporaneità e nel tempo, da milioni di tifosi. Una maglia parla di valori che hanno fatto diventare “comunità” persone non omogenee per cultura, censo o posizione nella scala sociale; e nelle comunità le libertà individuali si fermano sempre, prima della deriva del libertarismo arbitrario, sulla soglia dei doveri che ogni relazione sociale comporta, rispetto al ruolo ad ognuno di noi affidato per talento o per destino. Quando si ha avuto in sorte il talento di far diventare un gioco, in questo caso il calcio, un mestiere, non bisognerebbe mai dimenticare la natura del gioco di cui si è improvvisamente diventati protagonisti. Il calcio è per sua natura lo sport della semplicità, dove bastano un spazio aperto e due sassi a delimitare una porta, e dare così inizio ad uno dei fenomeni agonistici più affascinanti del mondo. Questa semplicità e fattibilità intrinseca hanno portato dei bambini del piccolo villaggio thailandese di Koh Panyee, un villaggio che poggia interamente attraverso un percorso di palafitte, a costruirsi un rudimentale campo di legno(una zattera galleggiante) sull’acqua e a fondare la Paynee Football Club. E siccome siamo nel magico mondo della semplicità, al loro primo torneo arrivano terzi, scatenando l’entusiasmo di tutti gli abitanti del villaggio. Questo entusiasmo ha portato presto alla costruzione di un vero campo di calcio nel villaggio di Koh Paynee, e a far vincere al Paynee FC ben sette titoli giovanili nazionali thailandesi. Gli inizi del calcio, in ogni parte del globo, si assomigliano tutti, e hanno storie di condivisione e di identità di cui un giorno, inspiegabilmente qualcuno si innamora. L’amore, si sa, non è frutto di una tattica di convincimento o di una qualche  complessa strategia di marketing; l’amore un giorno bussa alla tua porta, ed è come se lo stessi attendendo da sempre. Da quel giorno non si può più fare a meno di lui, esattamente come l’aria respirata. Quell’amore ci rappresenta, ed ha il potere di regalarci attimi di emozioni controversi, ma mai banali. Sono emozioni così controverse che, per quanto ci si applichi, non si riesce mai a spiegarle appieno. Anzi, nel tentativo spesso maldestro di farlo, si finisce spesso per dare di esse una rappresentazione ridicola e un po’ fuori di testa. Ma, usando le parole di Borges, “ogni emozione nella nostra vita è unica. Sempre lascia un po’ di sé e si porta via un po’ di noi. Ci sarà quella che si sarà portata via molto, ma non ci sarà mai quella che non avrà lasciato nulla”.

Questo è il calcio, e quando una persona diventa un giocatore non dovrebbe mai dimenticare che sta entrando in un processo collettivo in cui lui è la luce più abbagliante. Nel momento in cui indossa una maglia, fosse anche quella bianco e azzurra del Paynee FC, deve sempre tener presente il ruolo ricoperto. Egli, il calciatore, è di certo un uomo libero, ma quella maglia che indossa è foriera sì di privilegi e onori ma anche di doveri ai quali costantemente attenersi. La sua libertà deve necessariamente contenersi davanti a quei doveri. Il mondo social(Facebook, Instagram, ecc…) ha dato la stura a equivoci sul significato “che con i miei soldi e il mio privato, nei limiti stabiliti dalla legge posso fare quel voglio”. Ai social, per il loro carattere intrinseco, non importa nulla della reale natura delle cose e gli importa ancora meno del loro valore; l’unica cosa per loro importante è esporle queste cose, ed esporle nel criterio individualista più sfrenato. Da Maradona in poi, spesso è capitato di sentire calciatori affermare di non voler essere modello per gli adolescenti che, adoranti, li osservano. Molti calciatori insistono sul fatto come l’unico modello educativo per i giovani debbano essere i genitori, e come loro non possano essere responsabili per le azioni dei loro tifosi. In pratica, affermano con decisione, rifiutano il loro ruolo di presunti simboli educatori. Il motivo di questo processo di de responsabilizzazione è di un cinico da rasentare l’imbarazzo, e rappresenta la fase finale del lungo processo di una società ormai più tesa ai diritti che ai doveri. Dimenticano, i calciatori, di godere di enormi mezzi finanziari grazie al fatto di essere dei modelli positivi e di felicità per le persone. Ed è triste rilevare questa smemoratezza per una mera questione di comodo. Qualcuno sosteneva, e non a torto, che diritti e doveri si riferiscono gli uni agl’altri, in un punto d’incontro rappresentato dalla legge morale naturale, che prescrive doveri e riconosce i diritti legati alla natura stessa dell’uomo. In quella foto pubblicata su Instagram dai coniugi Icardi, non c’è solo una volgare ostentazione di opulenza, ma anche un involontario manifesto del nichilismo in cui è caduto tutto il comune sentire del mondo occidentale. Un comune sentire che vieta alla legge morale naturale di entrare nelle nostre sfere private, che permettono ad altri di chiedere qualcosa solo sotto forma di scambio: io appartengo solo a me stesso, io sono mio e non instauro rapporti con altri se non contrattualmente. In parole povere siamo in una competizione fra soggetti separati intenti a promuovere noi stessi, e abbiamo posto il diritto sopra l’obbligazione. Ecco perché a Wanda Nara non solo è apparso naturale esporre la ricchezza smodata del suo compagno su Instagram, non solo lo ha fatto con parole di commento consigliabili a rimanere nel privato circoscritto degli affetti, ma gli è apparsa anche una conseguenza logica del suo status. Maradona e i suoi epigoni(e fa sorridere quando l’ex campione argentino prova a vestire i panni del guerrigliero rivoluzionario) sono stati e continuano ad essere docile e potente strumento di un cambiamento strutturale del nostro modo di concepire l’orizzonte esistenziale delle nostre vite. Spesso si dimentica quanto potenti siano lo sport e il cinema, quando influiscano subliminalmente sull’evolvere dei nostri comportamenti e giudizi relativi.

Che lo dimentichino giovani uomini improvvisamente diventati milionari e celebri è quasi comprensibile; meno comprensibile è una società di calcio che, in nome di sacrosanti doveri imposti dal ruolo ricoperto, avrebbe dovuto ricordare a Mauro Icardi come sicuramente i suoi lauti guadagni siano legittimi, ma anche come essi non siano sinonimo del “tutto si può”. Stia attento, il campione argentino, a non ritrovarsi in un giorno qualunque della sua vita a riconoscersi in una descrizione letteraria di Phelam Grenville Wodehouse: “avevo l’aspetto di uno che ha bevuto la coppa della vita e ha trovato uno scarafaggio morto in fondo”.

(ha collaborato Carmelo Pennisi)

Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.