Abbiamo cambiato direttore d’orchestra, Mazzarri è entrato al Grande Torino con la bacchetta in mano, pronto a dirigere il Toro del 2018. Non so se Cairo, prima di scegliere Mazzarri, abbia stilato i 10 nomi dei possibili candidati allenatori, come tanto va di moda ora, ma di certo, prima di formulare un’offerta da un milione e mezzo di euro a stagione, ha letto con attenzione il suo curriculum. Il nostro direttore d’orchestra nei dati anagrafici scrive di essere un toscanaccio – e qualcuno ancora si meraviglia se ha un cattivo carattere? E poi chi ha carattere, ce l’ha brutto, il suo compaesano Montanelli diceva così – anno 1961, con una carriera da centrocampista e da allenatore, che lo ha visto sedersi per più di 400 volte sulle panchine della A e della B. Urlando, fumando e inaugurando la saggia regola che parlare ai giocatori coprendo la bocca evita non pochi problemi di “ma perché ha detto quel che ha detto?” dopo.
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Mazzarri: musica maestro!
Alla voce “viaggi” si scopre un itinerario ricco di esperienze non propriamente esotiche ma interessanti. Parte da Acireale e viaggia verso la Pistoiese, il Livorno, la Reggina, Sampdoria, Napoli, Inter, Watford e approdo al Torino.
Alla voce “miracoli” il curriculum vitae cita quello celebrato con la Reggina, raccolta da un meno quindici, salvata con onore e portata nei pressi di chi gioca l’Intertoto. Si ricorda una Sampdoria portata alla sesta posizione in campionato, che si qualifica per la Coppa UEFA e che arriva a disputare la finale di Coppa Italia, perdendola ai rigori con la Lazio. Si legge poi di un Napoli che un anno arriva terzo in campionato e quello dopo secondo, che si qualifica gloriosamente per l’Europa League e poi pure per la Champions, che strappa di mano la Coppa Italia alla Juve, riportandola a Napoli dopo 25 anni dall’ultima volta. Insomma, non proprio la liquefazione del sangue di San Gennaro o la moltiplicazione delle reti di Maradona, ma pur sempre fenomeni straordinari che chiunque vorrebbe si verificassero a casa propria. Il prodigio di portare l’Inter al quinto posto in classifica non è stato riconosciuto da molti milanesi, ma sembra che il successivo messia, Mancini, non sia stato portatore di miglior verbo. L’ultimo miracolo in ordine di tempo è stato registrato a Watford, il miracolo della salvezza. Poco apprezzato pure quello.
La voce “Lingue conosciute” riporta il nobile fiorentino antico ma registra la scarsa padronanza dell’inglese, lacuna che sembra abbia favorito le incomprensioni con il presidente Thohir e i vertici internazionali della nuova Inter. Gli interpreti al seguito non bastano, Mazzarri lo ha capito, i manager nerazzurri parlarono così bene per lui che gli procurarono l’esonero. L’inglese maccheroni&fiorentina sembra poi abbia alimentato continui scherni da parte dei tabloid inglesi, sempre pronti ad arricciare il naso e declinare un ‘I don’t understand’. Comunque Mazzarri ha dichiarato che sposterà la voce ‘buona conoscenza dell’inglese’ nel settore “miracoli”, dunque i torinesi non dovranno stupirsi di incontrarlo in un bar di via Roma mentre scandisce, stentoreo, ‘I want a cappuccio’
La voce “strategie” è matematica, riporta il 3-5-2 o il 3-4-2-1. Mazzarri docet: “Chi vince gli scudetti ha sempre la miglior difesa. Il mio Napoli teneva 60-70 minuti nella metà campo avversaria, Si possono fare anche 4 gol e prenderne 3, ma questo atteggiamento non paga”. Aggiunge che, comunque, il modulo si cuce addosso ai giocatori e le loro peculiarità, inutile irrigidirsi come se si programmassero macchine. Ci aspetta un gioco più introspettivo e guardingo rispetto al modello ‘Attaccare, attaccare, attaccare come se non ci fosse un domani’ di Miha? Probabilmente sì, ma l’importante è realizzare, realizzare, realizzare, perché questa è l’ultima possibilità di andare in Europa!
Ma un grande direttore d’orchestra si sceglie per le motivazioni di cui è portatore e per il modo in cui le sa infondere negli strumenti a sua disposizione, alzando la bacchetta. Mazzarri dichiara: “Sono un allenatore navigato, ma mi è venuta la pelle d’oca a entrare al Filadelfia e poter guidare il Toro. Io ho bisogno di stimoli e devo sentire la causa: ora sono davvero carico. Penso di fare bene, ma non sono tipo da proclami. Un allenatore è come un artista: un creativo con il suo canovaccio. Sono preparato e conosco tutti i sistemi di gioco, ma il calcio non è una scienza esatta. Io sarò l’esempio per tutti: dormire 3 ore a notte per me è normale, voglio trasmettere la mia voglia di lavorare per far rendere tutti al meglio”.
Alla voce “collaboratori”, si leggono i nomi di Nicolò Frustalupi (vice), Giuseppe Pondrelli (preparatore) e Claudio Nitti (assistente). Bene, che il direttore dell’orchestra Toro alzi la bacchetta e la musica del nostro calcio abbia inizio. Vogliamo un concerto che, tra urla, spintoni e lacrime, ci faccia emozionare!
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
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