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Me grand Giovanni Arpino

Arpino
Nel segno del Toro / Torna la rubrica di Stefano Budicin, dedicata alle curiosità relative al mondo granata: "Giovanni Arpino nasce a Pola nel 1927, ma tutta la sua vita si consumerà nel capoluogo piemontese"
Stefano Budicin

Come mai Giovanni Arpino è importante per la storia del Torino? Sotto quale aspetto Arpino e i granata possono dirsi legati? Le ragioni per cui spesso si sente associare il suo nome a quello del Toro sono due. E una volta che le scoprirete vi verrà da assentire e sospirare un “oh” di meraviglia.

Giovanni Arpino nasce a Pola nel 1927, ma tutta la sua vita si consumerà nel capoluogo piemontese. Laureatosi in Lettere presso l'Università degli Studi di Torino, pubblica il suo primo romanzo il 10 dicembre del 1952. Ed è subito un trionfo. A carrettate arrivano proposte di collaborazione con i giornali e incarichi presso l’Einaudi da parte di figure intellettuali del calibro di Elio Vittorini. È del 1964 la sua partecipazione al Premio Strega, che Arpino conquista con il romanzo L’ombra delle colline.

https://www.toronews.net/columnist/che-cose-il-day-of-days-granata/

Spinto da un’instancabile passione per la scrittura, Arpino lavorò per quasi tutta la vita come giornalista sportivo sulle pagine del Guerin Sportivo e della Stampa, per poi passare alla Cronaca per il Giornale di Indro Montanelli.

Come mai il suo nome è spesso associato alla storia calcistica del Toro? Per due ragioni fondamentali. In primo luogo, Arpino è stato l’inventore del celebre termine “Tremendismo Granata”. Nell’immaginario torinista l’accezione è qualcosa di Per il poeta, tremendista è il club che dimostri di costituire una sfida per chiunque. E nello specifico, la definizione più calzante è la seguente:

Una squadra di orgoglio, di rabbie leali, di capacità aggressive, mai vinta, temibile in ogni occasione e soprattutto quando l’avversario è di rango: tutto questo significa “tremendismo” .

https://www.toronews.net/columnist/il-toro-e-la-scaramanzia-di-piazza-san-carlo/

Il supporto di Arpino alla filosofia granata non si ferma certo al conio di un nuovo termine. Sua è infatti la poesia Me grand Türin, anthem insuperato che suscita ancora oggi lacrime di commozione in qualsiasi tifoso che ne legga anche solo una strofa. Ve la ripropongo sia tradotta che in originale.

Me grand Turin

Ma ‘n fiur l’aviu

Russ cume ‘l sang

fort cume ‘l Barbera

veuj ricurdete adess, me grand Turin.

En cui ani ‘d sagrin

unica e sula la tua blessa jera.

Vnisìu dal gnente, da guera e da fam,

carri bestiame, tessere, galera,

fratej mort en Russia e partigian,

famìe spiantià, sperduva ogni bandiera.

A jeru pover, livid, sbaruvà,

gnanca ‘n sold ‘n sla pel e per ruschè

at duvavi suriè, brighè, preghè,

fina a l’ultima gusa del to fià.

Fumè a vurià dì na cica ‘n quat,

per divertise a duvìu rii ‘d poc,

per mangè a mangiavu fina i gat,

geru gnun: i furb cume i fabioc.

Ma ‘n fiur l’aviu e t’jeri ti, Turin,

taja ‘n tl’asel jera la tua bravura,

giuventù nosta, che tuti i sagrin

purtavi via cunt tua facia dura.

Tua facia d’uveriè, me Valentin!,

me Castian, Riga, Loik e cul pistin

‘d Gabett, ca fasia vni tuti fol

cunt vint dribbling e poi jera già gol.

Filadelfia! Ma chi sarà ‘l vilan

a ciamelu ‘n camp? Jera ne cuna

‘d speranse, ‘d vita, ‘d rinasensa,

jera sugnè, criè, jera la luna,

jera la strà dla nostra chersensa.

T’las vinciù ‘l Mund.

a vintani t’ses mort.

Me Turin grand

me Turin fort.

Traduzione

Ma avevamo un fiore

Rosso come il sangue

forte come il Barbera

voglio ricordarti adesso, mio grande Torino.

In quegli anni di affanni

unica e sola la tua bellezza era.

Venivamo dal niente, da guerra e da fame

Carri bestiame, tessere, galera,

fratelli morti in Russia e partigiani,

famiglie separate, perduta ogni bandiera.

Eravamo poveri, lividi, spaventati,

neanche un soldo sulla pelle e per lavorare

e dovevi sorridere, brigare, pregare

fino all’ultima goccia del tuo fiato.

Fumare voleva dire una cicca in quattro,

per divertirsi dovevamo ridere di poco,

per mangiare mangiavamo perfino i gatti,

non eravamo nessuno: i furbi come gli sciocchi.

Ma avevamo un fiore ed eri tu, Torino,

tagliata nell’acciaio era la tua bravura,

gioventù nostra che tutti i dispiaceri

portavi via con la tua faccia dura.

La tua faccia d’operaio, mio Valentino!

mio Castigliano, Riga, Loik, e quella peste

di Gabetto, che faceva venire tutti matti

con venti dribbling ed era già gol.

Filadelfia! Ma chi sarà il villano

a chiamarla un campo? Era una culla

di speranze, di vita, di rinascita,

era sognare, gridare, era la luna,

era la strada della nostra crescita.

Hai vinto il Mondo,

a vent’anni sei morto.

Mio Torino grande

Mio Torino forte.

I versi espongono in maniera lampante e cristallina tutto quello che il Toro ha rappresentato e continua a significare per la storia del capoluogo piemontese e per l’Italia intera. Una squadra che ha fatto sempre come le onde del mare quando scelgono di andare addosso agli scogli pur sapendo che l’urto le farà retrocedere di qualche passo, e tuttavia continuano, perseverano, si inerpicano tra le rocce e, comunque vada, riescono a lasciare traccia del loro passaggio. Così è per i granata, siano essi Invincibili o deludenti, non saranno mai dei semplici “mestieranti del pallone”, ma dei combattenti fieri, furiosi e impossibili da assoggettare.

 

Laureato in Lingue Straniere, scrivo dall’età di undici anni. Adoro viaggiare e ricercare l’eccellenza nelle cose di tutti i giorni. Capricorno ascendente Toro, calmo e paziente e orientato all’ottimismo, scrivo nel segno di una curiosità che non conosce confini.

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