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columnist
Nell’attesa che intercorre tra il decimo antipasto e l’arrivo delle lasagne, tra il 25 e il 31, uno ha tutto il tempo di scorrere i deprimenti video natalizi con gli auguri della serie A, e non solo.
I video parlano delle squadre più di quanto si possa pensare, anche quando non ci sono parole, trama o movimento. Anzi, meno esprimono e più raccontano di loro.
Ci sono le squadre molto finte, come il PSG, che hanno bisogno delle facce sbigottite dei bambini (Babbo Buffon? – si chiedono – Non era andato in pensione?), per avere una parvenza di umanità. Natale è, fingere di essere.
Alcune squadre si affidano al “One man show”: un tristissimo Ranieri fa gli auguri ai tifosi dell’ancora più triste Fulhman e un teutonico Rumenigge elenca gli obiettivi raggiunti nel 2018, preventivando un aumento delle quotazioni del Bayern Monaco nel 2019. Si registra più romanticheria e passione in un broker che elenca gli acquisti della giornata in borsa. Natale è, risultati. Gelidi, ma pur sempre risultati.
La Juve è un’altra squadra che il cuore non sa bene dove stia e per Natale gira uno spot a puntate che pubblicizza un video gioco che risucchia calciatori, che continuano a uscire e finirci dentro, che poi si perdono, che di nuovo si ritrovano, e che ti fa domandare: ma che diavolo c’entra col Natale? Natale è, il nulla. Auguri.
I calciatori non fanno il ritiro all’accademia di arte drammatica, chiaro, ma alcuni faticano a dire nella stessa frase “buon” e “Natale” in questi spot, forse si potrebbe pensare di dispensarli, incupiscono. Aspettavo di vedere quello dell’Inter di spot, l’altr’anno mi era piaciuto il coro che avevano ideato, un’idea armoniosa di squadra, ma nel 2018 perdono il ritmo, l’unico pessimo coro che sono riusciti a intonare è stato contro Koulibaly. Natale è, quello dell’anno passato.
I video che ho trovato più rappresentativi sono quelli che hanno coinvolto anche la Primavera, e i più piccoli ancora, la squadra femminile. La Roma prende a prestito una casa da film americano ma poi a tavola fa posto un po’ a tutti, restituisce l’idea che la squadra è una famiglia. Natale è, che magari non ci si ama alla follia ma un legame c’è. Anche l’Atalanta fa posto ai suoi ragazzi più giovani, pur nel massimo dell’austerità. Natale è, incolore.
E il Toro?
Sì, lo so, potrei non risultare molto oggettiva come critica di spot calcistici natalizi, tipo un arbitro quando sceglie se ricorrere o mano alla VAR, ma il nostro filmato mi è piaciuto, mi ci sono vista. Nulla di travolgente, però qualche idea va in scena. È girato a casa, non proprio intorno a una tavola imbandita, ma tra le mura che ci sono amiche. A Santo Stefano mio figlio mi chiedeva perché dovessimo partire prima della partita per andare al Filadelfia, mamma mica giocano lì! Ma una volta dentro non c’è stato bisogno di spiegare, è come quando vai a trovare i nonni e incontri i cugini, fai due chiacchiere, tutto lì. Nello spot del Toro il pacchetto portato da Babbo Natale è un pallone. E il pallone sa essere davvero un regalo per gli uomini, nonostante alcuni sedicenti tifosi, da nord a sud, in questi giorni ci abbiano ricordato che per loro il calcio è guerriglia, non è sostanziale che ci sia anche un pallone di mezzo. Proprio quel pallone che nel 1914 era riuscito a regalare un Natale ai ragazzi sepolti nelle trincee, tirarli fuori di lì per una tregua di qualche ora, nulla di più normale che una partita di pallone, il tempo di giocare una improbabile Inghilterra-Germania. Non c’è mai nulla di scontato nelle ore di vita rubate al tempo di morte di una guerra. Il calcio non so, ma il pallone è un anti guerra, sicuro. Questa è solo una delle tante storie rotolate dentro a un pallone tra Natale e Capodanno. Nel video del Toro, ci sono le storie che passano tra le mani che lo scambiano, dal Gallo a Izzo, attacco-centrocampo-difesa, ognuno lo firma per imprimergli una direzione, poi il pallone viene calciato per aria, rimane sospeso nel cielo del Filadelfia da 25 al 31, il tempo di vincere al freddo con l’Empoli e di pareggiare a una temperatura altissima con la Lazio. Quando il pallone ricasca a terra, lo afferrano le mani dei bambini del Toro, che ora possono inventare una storia tutta nuova. E speriamo che il 2019 sia un anno con meno calcio e più pallone a tutti.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
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