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La redazione di Toro News torna ad aprire le colonne della prima e più grande testata on-line dedicata al Torino FC ai suoi lettori, i quali da sempre meritano di avere spazio. Gli indirizzi di riferimento a cui mandare le vostre lettere sono le stesse: redazione@toronews.net o gianluca.sartori@toronews.net. Gli articoli su qualsiasi argomento legato al mondo Toro: i più meritevoli e significativi saranno settimanalmente pubblicati sul nostro sito. Oggi tocca a Luigi Alfonso, giornalista professionista di Cagliari, super tifoso granata da quando aveva 12 anni (oggi ne ha 55).
Mi sento un predestinato. Come la stragrande maggioranza dei tifosi granata. Sono nato a Cagliari, nel 1962, e sono cresciuto a pane e calcio. Ma sempre così lontano da Torino. Eppure, le nostre strade si sono inevitabilmente incrociate. Ho iniziato a frequentare lo stadio Amsicora (quello dell’unico scudetto conquistato dalla squadra sarda) quando avevo appena tre anni. Mio zio Carmelo, allora corrispondente della Gazzetta dello Sport e poi redattore della Rai, mi portava spesso con sé agli allenamenti del Cagliari. Custodisco gelosamente le foto scattate in quegli anni con i protagonisti dell’impresa firmata da Scopigno, in particolare gli scatti che mi immortalano con il mitico Gigi Riva. Un uomo dalla schiena dritta, l’unico che ebbe il coraggio di dire no a una montagna di soldi e di benefit, rinunciando alle proposte della Juventus che avrebbero fatto anche la fortuna del Cagliari. Lui preferì restare in Sardegna, accontentandosi di percepire molti soldi in meno pur di rappresentare un’intera isola. Lui, il Rombo di Tuono che non tirava indietro la gamba (e infatti se la ruppe due volte, prima del definitivo ritiro dal calcio), fece una scelta di vita che oggi probabilmente nessuno farebbe. Credo che sia questo uno dei principali motivi che, l’anno scorso, hanno mosso i responsabili del Museo del Grande Torino ad invitare Riva alla mostra fotografica dedicata a lui, unico campione non granata al quale sinora è stato dato questo onore.
A questo punto vi chiederete: ma perché questo qua viene a parlarci di Riva, proprio in un giornale dedicato a tutt’altra realtà? Beh, è presto detto. Fu proprio quell’esempio a farmi capire che la Juventus, società che aveva alle spalle un impero economico e uno stile discutibile, non faceva per me. Così, ad appena 12 anni, allungai lo sguardo sino a poggiarlo sulla Mole. Iniziai a studiare la storia del Torino e me ne innamorai. Perdutamente. Avendo così il privilegio di godere dell’ultimo scudetto granata: una gioia che ricordo come se fosse storia di questi giorni. Da allora non ho avuto dubbi.
Da giornalista, quando mi occupavo di sport, ho seguito quotidianamente il Cagliari. E ciò mi ha permesso di conoscere da vicino molti giocatori che poi sarebbero approdati al Toro: da Muzzi a Pusceddu, da Francescoli a Sanna, per citarne alcuni. L’amicizia che mi legava a loro mi ha dato il privilegio di ricevere in dono alcune maglie granata: doni avuti da gente seria, che ha lasciato un segno anche a Torino.
Ora che ho 55 anni e un figlio di 9 (anche lui tifosissimo granata, manco a dirlo), mi appresto a tornare da voi per assistere al derby del 18 febbraio. Negli ultimi anni ho portato fortuna in quasi tutte le partite cui ho assistito di persona, compreso il derby vinto 2-1 tre stagioni fa. Spero di ripetere l’esperienza del 26 aprile 2015, anche perché stavolta ci sarà il battesimo del derby di mio figlio Federico: per lui, quanto me, sarebbe una delusione troppo forte ritornare in Sardegna senza la soddisfazione di aver battuto “quella” squadra.
Che cosa spinge un sardo ad affrontare trasferte onerose, peraltro rischiando di assistere ai vergognosi epiloghi cui siamo purtroppo abituati, come quello del 3 gennaio scorso (per non parlare del bis in Cagliari-Juventus di tre giorni dopo…)? L’amore per il Toro, il desiderio di scrollarsi di dosso la sfiga una volta per tutte. E il piacere di vedere un bambino in trepidazione da giorni prima. Oppure, commosso a Superga.
Devo essere sincero: l’esonero di Mihajlovic, che a mio avviso è avvenuto in ritardo, mi ha restituito ottimismo ed entusiasmo. Ero tra quelli favorevoli al suo arrivo, lo confesso. Ma con lui in panchina, spiace dirlo, quasi certamente saremmo andati incontro ad un’altra figuraccia. Spero che Mazzarri abbia portato serenità e, allo stesso tempo, riscoperto lo spirito del Toro che non si vedeva da un pezzo.
Voglio combattere il fatalismo che spesso ci contraddistingue e guardare al futuro con il sorriso di mio figlio. Il quale spera di diventare un giorno un giocatore del Toro. Per ora si accontenta di imparare a muovere i primi calci. Naturalmente, alla Scuola calcio Gigi Riva. E dove, sennò?
Luigi Alfonso
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