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columnist
Make America great again" (facciamo di nuovo grande l'America): è stato questo lo slogan con cui Donald Trump è riuscito, a sorpresa, a farsi eleggere Presidente degli Stati Uniti. Sinisa Mihajlovic, che col magnate americano spartisce un grande amore verso la patria ed una certa propensione all'uso diretto e molto poco filtrato di espressioni decisamente ruvide per esprimere le proprie idee, non l'ha mai detto sotto forma di slogan, ma sin dalla sua prima conferenza stampa ha sempre fatto capire che il suo obbiettivo era ed è quello di "make Toro great again". A differenza di Trump, che ha dovuto dare tutto per farsi eleggere e non si sa cosa farà da adesso in poi, il tecnico serbo sta pian piano portando avanti il suo progetto e a giudicare dai primi risultati (settimo posto in classifica e settimo miglior attacco d'Europa nel gotha con Real, Barca, Liverpool, ecc.) pare che sia sulla buona strada per onorare le proprie "promesse elettorali".
Se quello che gli analisti politici riconoscono di più a Trump è stata la capacità di intercettare il disagio dell'americano medio e trasformarlo in un voto di rottura verso l'establishment ed il sistema politico più interessato a favorire le grandi lobby finanziarie che il benessere dei suoi cittadini, analogamente si può azzardare un parallelo con Mihajlovic che sin da subito ha saputo trovare la chiave di volta nella comunicazione coi tifosi tirando nuovamente in ballo concetti come grinta, cuore, pressing, intensità, atteggiamento, molto semplici, ma di grande impatto nell'immaginario del tifoso granata disorientato e anestetizzato da anni di gestione tecnica lontana anni luce dal dna storico di questa società. Sentire parlare un tecnico di risultati sportivi invece che di plusvalenze o conoscenze è stato come sentir nuovamente parlare la propria lingua dopo un lungo periodo all'estero: un vero e proprio sollievo. Mihajlovic è schietto, diretto, poco diplomatico, ma non sprovveduto. Non è un Sarri che si è fatto dal basso, né ha quell'imprinting: è stato calciatore di alto livello in club di alto livello, conosce il sistema, lo ha usato, ne ha fatto e ne fa parte, ma mantiene rispetto ad esso una sua peculiare posizione che si potrebbe definire da outsider. Non si è piegato a "padroni" ingombranti come Berlusconi e i Della Valle e ha pagato con l'esonero le sue rivendicate autonomie d'azione. Nel Toro il suo credo tattico e la sua ideologia sportiva hanno trovato terreno fertile dove attecchire. Ha rivoluzionato il Toro dal di dentro smantellando il ridondante apparato tecnico tattico del suo predecessore per provare ad attaccare il sistema calcio italiano: c'è l'egemonia della Juve, Roma e Napoli che si sentono "grandi" , le milanesi in stallo per lo spostamento ad Oriente delle loro proprietà, la Lazio dal rendimento odivago, in preda agli umori di Lotito e il nuovo che avanza (Sassuolo, Atalanta). Miha sa che c'è spazio per chi si dimostrerà convinto nell'andarsi a prendere un posto al sole. L'establishment del calcio rischia un effetto Trump, una sconfitta di quel sistema premiante sempre e solo i medesimi arcinoti soggetti: sarà Mihajlovic a guidare la voglia di guardare avanti per tornare, in realtà, ai fasti (granata) di un tempo? Qualcuno potrebbe tacciare Sinisa di restaurazione più che di vera rivoluzione e sarebbe una chiave di lettura altrettanto valida. Sia come sia, almeno nel calcio per noi granata si sta tornando a godere di un certo benessere. E la cosa non è affatto male…
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