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columnist
“Hanno cercato di seppellirmi, ma
non sapevano che io sono un seme”
Proverbio messicano
Quanto possono valere 500 dollari? Difficile rispondere ad una domanda simile, specie se la si volesse accostare al mondo del calcio, sempre più lanciato come uno dei più sfavillanti moltiplicatori di denaro del pianeta. 500 dollari per comprare un equipaggiamento di base e una bicicletta per le consegne, così, nel 1954, cominciò l’avventura imprenditoriale nel settore caseario del maestro casaro Giuseppe Saputo e di suo figlio Lino, che all’inizio degli anni 50 avevano lasciato il piccolo paese siciliano di Montelepre per trasferire sogni ed idee di futuro a Montreal, la città più popolosa ed importante del Quebec, provincia importantissima dal punto di vista economico di un Canada talmente multietnico da avere a volte qualche difficoltà a mostrare una omogenea identità culturale. Quella dei Saputo è una delle tante esperienze di migrazione riuscite, tanto che la “Saputo Inc” oggi, attraverso la gestione di vari marchi, è giunta ad avere un fatturato di 11 miliardi di dollari, 730 milioni di utile netto e quasi 13.000 persone occupate. Famiglia abituata a vincere e a convincere quella dei Saputo, che ha mantenuto solidi legami culturali con l’Italia, declinati con il parlare un buon italiano, un devoto rispetto della tradizione cattolica, un solido amore per il calcio. Questo entusiasmo per lo sport italiano per eccellenza mostrato dalla famiglia Saputo, ha portato uno dei rampolli di famiglia, Joey, a fondare prima la squadra dei “Montreal Impact”(oggi autorevole compagine della lega nord americana della MLS) e poi a rilevare nel 2014 il Bologna calcio. Ma perché parlare di Joey Saputo? Nella triste vicenda della terribile malattia che ha colpito Sinisa Mihajlovic, giustamente tutti i riflettori sono stati puntati sul coraggio e la tenacia mostrata dall’allenatore serbo durante la conferenza stampa in cui ha comunicato al mondo la sua condizione di malato di leucemia.
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Una conferenza stampa che ha emozionato l’Italia intera, a testimonianza come il dolore, anche quello più devastante, può dare, se affrontato nei modi giusti, delle grandissime occasioni di empatia collettiva. Lo sport e gli uomini di sport possono regalare ciò (e benedetto sia lo sport per questo). Un dettaglio di questa vicenda però mi ha particolarmente colpito, ed è stata la decisione della dirigenza del Bologna di confermare il “leone” Sinisa alla guida tecnica della squadra. Le parole di Walter Sabatini, attuale direttore sportivo della società rossoblu, sono state tempestive e decise, e sono state parole di fiducia incondizionata verso l’allenatore che nell’ultimo campionato ha condotto la società felsinea verso una salvezza insperata. Qui, a mio parere, siamo oltre la gratitudine, siamo nel territorio di quel che comunemente si direbbe “fare la cosa giusta”. Mark Twain inciterebbe a fare la cosa giusta perché, come ebbe a scrivere, “gratificherete alcuni, e stupirete gli altri”; in realtà, mi permetto modestamente di sottolinearlo, fare la cosa giusta ha degli aspetti leggermente più complessi rispetto a delle possibili reazioni empatiche di chi osserva il realizzarsi della cosa giusta. Nella nostra odiernità, mai come in passato, si avverte tra la gente il bisogno disperato di trovare una situazione, un ambito, qualche persona, che possa in qualche modo convincere come l’ingiustizia, la prevaricazione, il banale calcolo personale, non siano più le sole strade percorribili nelle fumose strade del mondo contemporaneo. Avere il coraggio di dire di no, avere il coraggio di affrontare la verità, fare la cosa giusta perché è giusta: queste possono essere delle chiavi per provare a ridisegnare un rinascimento, anche nel calcio.
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Riconfermando Mihajlovic, se ci si pensa bene, il Bologna ha fatto una scelta davvero scomoda per le logiche di un calcio sempre più polemico e ossessivamente legato ai risultati. Il Bologna si è messo in una posizione di estrema debolezza nel caso malaugurato di mancanza di risultati della squadra. Come si potrebbe, infatti, agire con l’allenatore serbo come si usa fare con allenatori che non riescono a trovare il filo logico di una stagione agonistica? Come si potrebbe minacciare di esonero una persona in evidente difficoltà fisica? Ogni comunicato, ogni parola dei dirigenti della società felsinea potrebbero essere non bene interpretati o oggetto di equivoco da parte della pubblica opinione. E sappiamo come il calcio, foriero di emozione esagerate e contraddittorie, possa essere un fattore di pressioni difficilmente gestibili. Ma il Bologna calcio ha deciso, con un coraggio davvero ammirevole, di andare controcorrente rispetto alla deriva mercantilistica e utilitaristica che il mondo pallonaro ha abbracciato da alcuni decenni, senza provarne rimorso alcuno. Mettersi nelle mani di un uomo reso debole da una sciagurata malattia, è stata una prova di forza morale ed etica che solo lo sport può mettere in scena in modo così esemplare e plateale. Nella grande strategia dei destini del mondo, forse non è un caso che sia il Bologna ad essere protagonista di una storia del genere, visto che sotto la “Torre di Maratona” dello stadio “Renato Dall’Ara” nel 2009 è stata apposta una targa commemorativa al più grande allenatore(ed uno dei più grandi mai esistiti) della storia rossoblu. Parliamo di Arpad Weizs, l’allenatore ebreo/ungherese che pose fine al dominio juventino nel campionato italiano e che finì i suoi giorni in una camera a gas del campo di sterminio di Auschwitz. Un allenatore geniale e innovatore, Arpad Weisz, che andò a sostituire nella panchina felsinea un altro allenatore a cui la storia del Bologna deve molto: Lajos Kovacs. Sembra un racconto infinito quello del Bologna con gli allenatori venuti dall’est Europa.
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Una storia affascinante, controversa, dolorosa. La vicenda Mihajlovic accade in un periodo dell’anno dove tutti i tifosi(me compreso) sono presi dagli abbacinanti sogni della campagna acquisti dei giocatori, desiderando fortemente come dei giocatori forti approdino ai lidi a noi cari. E’ la cosa è uno dei grandi paradossi non solo del calcio ma anche dell’esistere, perché come ebbe a teorizzare Aristotele “è nella natura del desiderio di non poter essere soddisfatto, e la maggior parte degli uomini vive solo per soddisfarlo”. E sovente, diciamoci la verità, i grandi desideri degni di un uomo rimangono inesaudibili. Ma bisogna prendere atto come ci siano questioni di fronte alle quali i desideri devono trovare uno stop, devono lasciare il passo a quelli che definiamo, a volte in modo un po’ retorico, i veri valori della vita. Questa è la lezione proveniente in questi giorni dal cuore dell’Emilia. Lasciamo il passo ma sempre pronti a riprendere un cammino quando Sinisa vincerà (perché la vincerà) la sua lotta con il male andatosi ad annidare nel suo sangue. E’ struggente la recente dichiarazione di Walter Sabatini: “Mihajlovic ha bisogno di un po’ di tempo, ma ce la farà. Il più grande rammarico è che avremmo voluto sfidare il mondo sin da subito”. In queste parole di Sabatini c’è tutto l’esistenzialismo del calcio, che ben comprende e accetta le avversità della vita, ma che è pronto a rialzarsi sempre, come un eterno Lazzaro, per dare speranza e gioia. Walter Sabatini e Sinisa Mihajlovic in questi giorni hanno dato splendida prova di quale pasta siano fatti i veri uomini di calcio, e di questo personalmente gli sono grato. Ma è doveroso non dimenticare come ciò sia stato possibile grazie alla presenza di un presidente illuminato e dal sorriso gentile come Joey Saputo. Il nipote del maestro casaro Giuseppe ha fatto un percorso inverso rispetto al nonno, ed è tornato in Italia per occuparsi di una delle cose più care agl’italiani: il calcio. Se ne sta occupando senza clamori ed eccessi, restituendo alla sua terra d’origine un po’ della fortuna ricevuta dalla vita. Quanto possono valere, quindi, 500 dollari? Nel caso di Joey Saputo tantissimo, perché grazie a quell’investimento oggi, nel bellissimo e intricato gioco dei destini della vita, il presidente canadese del Bologna ha permesso di ricordare a tutti noi che prima dei risultati vengono l’etica e i valori. Ha permesso a tutti noi, ancora una volta, di ricordarci cosa è lo sport. E fatemi dire che, personalmente, davanti a quei 500 dollari mi tolgo il cappello. Spero di ricordamene ogni volta che mi troverò a spendere una cifra simile. Spero ce se ne possa ricordare tutti. In bocca a lupo Sinisa.
Di Anthony Weatherill
(ha collaborati Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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