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Monza per noi
Monza è un vecchio torpedone che parte da Torino, oltre quaranta anni fa.
Qualche posa sfocata, la pioggia e l’emozione della prima gita.
I ricordi sono sbiaditi nel tempo. Un museo, cose dell’Impero romano d’Oriente, il sussidiario delle elementari, a distanza di anni ho ritrovato tutto nelle lezioni di storia di mio figlio.
Chi lo avrebbe mai detto che avrei re-incontrato gli Ostrogoti, la corona ferrea e la caduta dell’impero romano?
Per me, mezzo modenese, Monza significa velocità.
Auto che sfrecciano, il colore rosso, la curva parabolica.
La vittoria del 1988 dopo la morte del Drake, come un segno divino, con quella Ferrari che proprio non andava, nonostante fosse guidata da grandi piloti.
Monza è quella roba lì. La prima domenica di settembre, come una messa laica, con papà e nonno che non aspettano altro perché quello è il gran premio di casa.
Monza non è lontana da Milano, è la Brianza velenosa che canta Battisti e io l’attraverso in una giornata di dicembre di qualche anno fa.
La mia non carriera giornalistica mi porta a casa di un mito del calcio italiano e internazionale.
Uno che avrebbe fatto carte false per giocare nel Toro ma che per via di un cognome ingombrante, il Toro lo ha vissuto di riflesso.
Uno che è cresciuto respirando l’aria del Fila e mi viene da dire che è anche per quello che è diventato Sandro Mazzola.
Di fronte all’autodromo, in un bel palazzo signorile, una giornata assolata, mi ritrovo a chiacchierare amabilmente con un pezzo di storia del calcio italiano.
Il Toro che torna ogni ad ogni piè sospinto, le foto di Capitan Valentino, i racconti di un calcio che non c’è più, c’è spazio per la storica staffetta e per un autografo con tanto di dedica.
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Il Monza è più di un pezzo di Toro degli anni Settanta-Ottanta.
Operazioni di mercato, legami che esistono, che puoi sentire, che ricordi per via delle figurine Panini che collezionavi da bambino.
Uno Scudetto che parla brianzolo, quello del 1976, con tanti protagonisti che hanno scritto pagine importanti sulla sponda granata di Torino.
Monza è il Poeta, al secolo Claudio Sala e poco importa che prima di arrivare al Toro, sia passato da Napoli.
Assistman geniale, crossatore eccellente che completava un trio d’attacco a dir poco fenomenale con i Gemelli del gol.
La Brianza è anche Gigi Radice, il “mio” primo Mister, l’unico uomo capace di riportare lo Scudetto a Torino dopo Superga.
Ne sfiorò altri due e sarebbero stati un giusto premio.
Poi , Luciano Castellini, il Giaguaro, il portiere più iconico della storia del Toro, secondo solo a Bacigalupo per spettacolarità.
Pensi a Castellini e lo immagini in volo, immortalato in uno scatto fotografico, sospeso a mezz’aria, con la palla ben salda tra le mani.
La maglia di lana maniche lunghe, gialla, il Toro rampante, granata.
Un intervento fuori area, un inusuale (per l’epoca) cartellino rosso e la notte di Düsseldorf finisce con Castellini che cede la divisa a Ciccio Graziani.
Finiremo in otto la nostra ultima partita di Coppa Campioni, anche grazie all’arbitraggio del Sig.Delcourt.
Quando partì per Napoli, mio padre ne fece una malattia.
Sempre dal Monza, giunse il suo successore, Giuliano Terraneo.
Baffo anni Ottanta, taciturno, lontano dalla guasconeria tipica dei portieri.
Al Toro per sette anni, un portiere essenziale, efficace, poco plateale.
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Oltre a produrre portieri, il Monza ha sfornato mediani che hanno vestito la nostra maglia.
Pat Sala, protagonista dello scudetto del ‘76, prima, e Domenico Volpati, poi.
Il primo fu capace di imporsi da titolare, nonostante fosse stato scelto come riserva, completando il centrocampo composto da Pecci e Zaccarelli.
Il secondo, lo apprezzeremo qualche anno dopo, anche se lui, le soddisfazioni, se le tolse in quel di Verona, dove si laureò campione d’Italia.
Da Monza arrivò anche Antonino Asta, un altro che conosce a menadito il significato del termine Cuore Toro.
Garzone al bar di giorno, di sera in campo per allenarsi a diventare qualcuno. Motorino instancabile, dribblatore, la classe operaia che occupa un pezzetto di Paradiso, non per troppo tempo e sul finire di una carriera che avrebbe potuto essere diversa.
La grinta ne corpo di una ala destra. Se Garrincha era un uccellino, Asta somigliava di più ad uno sgarzo, tozzo e piccolino.
La corsa, lo spirito di sacrificio e lo spunto di un 7 rapido e sgusciante.
Mestierante della fascia, ha arato la linea laterale e qualche centinaio di avversari.
Figurine, immagini, momenti, velocità, storie, dal Monza al Toro.
Epoche diverse, calciatori e, soprattutto, uomini diversi che abbiamo saputo apprezzare fuori e dentro al campo.
Bei ricordi.
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Ad un anno campione d’Italia, cresciuto a pane e racconti di Invincibili e Tremendisti. Laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Ho vissuto Bilbao e Licata e così, su due piedi, rivivrei volentieri solo la prima. Se rinascessi vorrei la voleé di McEnroe, il cappotto di Bogart e la fantasia di Ljajic. Ché non si sa mai.
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