"Non interrompere mai il tuo nemico
columnist
Moratti e Agnelli: una volta nemici
mentre sta facendo un errore"
Napoleone Bonaparte
La notizia è di quelle che destano grande curiosità e impressione: Massimo Moratti è stato individuato da Andrea Agnelli, in quota Lega della Serie A, come prossimo presidente federale. Pare che in queste ore, non si sa se a pranzo o a cena(è bene lasciare sempre un alone di mistero, allorché dei lanzichenecchi si incontrano per parlare di future spartizioni), sia avvenuto un incontro tra Agnelli, Moratti e Miccichè a Milano. Pare, dicono sempre i retroscena, che Agnelli e Miccichè si siano dedicati ad un’opera di pressante convincimento verso l’ex presidente dell’Inter, che, manco fosse una bella donna corteggiata dall’universo mondo, avrebbe preteso l’unanimità più uno(paradosso che ci sta, vista la rapida santificazione del personaggio sancita dalla stampa italiana e dagli addetti ai lavori) per prendere in considerazione di andarsi a sedere sullo scranno più alto del movimento calcistico italiano. Una delle prime cose saltate immediatamente all’occhio, è stata l’assurgere di Andrea Agnelli a principale rappresentante, al cospetto di Moratti, dei desiderata dei club della Serie A, come se Gaetano Miccichè fosse poco più o poco meno di un soprammobile ogni tanto trasportato dal suo ufficio di presidente della Banca Imi all’ufficio di presidente della Lega Serie A. So abbastanza bene come questi fenomeni di tracotanza siano diventati da anni un’abitudine consolidata, visto che ormai in Italia sembrerebbe che la forma e il doveroso mantenimento di accettabili apparenze siano state derubricate ad inutili orpelli di un passato ormai remoto, ma sorprende(forse solo a me) il continuo spostamento in peggio del confine di pubblica decenza operato dalla classe dirigente calcistica italiana ogni qual volta decide di volere assolutamente qualcosa. E il fatto ancora più sorprendente(torno a ripetermi: forse solo a me) è il totale disinteresse generale in cui tali pratiche avvengono.
Qualcuno ha detto che il giornalismo dovrebbe essere il cane da guardia del potere, ma il silenzio della stampa italiana, su questa e altre vicende del calcio, ricordano più fenomeni di randagismo in cerca di padroni da soddisfare che di territori da proteggere. D’altronde il povero giornalista come fa a mettersi contro uno dei principali finanziatori dell’editoria italiana e della Juventus, gioiello pregiato della corona della vera “real casa” italiana(gli Agnelli)? Solidarietà, quindi, al giornalista lasciato solo di fronte ai molteplici conflitti d’interessi ogni giorno messi in scena in Italia; lasciato solo da una politica da tempo ormai poco conscia dell’importanza delle regole e del suo ruolo di garante di fronte alle prevaricazioni a cui i potenti sono naturalmente inclini. Meglio parlare solo del calcio giocato e delle sue polemiche da bar, visto che il bar, si sa, non ha mai fatto male a nessuno. In questo scenario è del tutto normale il mancato annotare, da parte di qualche osservatore, che forse c’è un vizio quantomeno etico(oh, che parolone) sul portare avanti il nome dell’ex proprietario dell’Inter. Per anni Massimo Moratti, e prima di lui suo padre Angelo, sono stati proprietari dell’Inter; sono cioè stati nel ruolo di “controllati” da parte del “controllore”, le Federcalcio. Sarebbe quantomeno strano che un atavico “controllato” possa improvvisamente vestire i panni del “controllore”. L’avvenimento porrebbe la questione annosa della trasversalità dei poteri, che ha il pregio(sic) di non essere mai al centro dell’attenzione dei nostri quotidiani pensieri. In fondo, pensiamo, il potere è stato inventato per i potenti dotati, appunto, “della capacità di poter fare qualcosa”. La parola “potere” è quasi sempre legata alla parola “arcano”, che è sinonimo di segreto e mistero. Chi ha potere, infatti, non rivela mai tutti i suoi piani, le sue ambizioni, i suoi legami. A noi appare solo l’espressione esteriore delle sue intenzioni, e solo la percezione del suo pugno di ferro.
E’ incredibile come, a dirla con le parole del filosofo Michel Focault, “il potere abbia cercato di eliminare il fenomeno della guerra, della lotta e della dominazione(fondamento concreto degli equilibri storici tra i poteri) attraverso una serie di finzioni concettuali”, questo perché le folle, come analizzato da Sigmund Freud, “danno sempre la preferenza al surreale rispetto al reale, e hanno un’evidente tendenza a non distinguere l’uno dall’altro”. Se Focault e Freud hanno ragione, non deve stupire se la proposta a Moratti sia venuta da uno dei suoi “nemici” storici, cioè da colui che continua a sostenere gli scudetti della Juventus essere 36 invece dei 34 riconosciuti dalla Federcalcio, che ha provveduto ad assegnare uno dei due scudetti revocati alla società bianconera proprio all’Inter(il famoso scudetto “conquistato in segreteria” di mourinhana memoria). E se Massimo Moratti fosse stata la bella e inarrivabile donna descritta dai media(cosa non si fa per costruire su una persona, il personaggio…), avrebbe rifiutato sdegnosamente l’invito a sedersi a tavola di Andrea Agnelli. Ma la vanità e il potere sono due poli di attrazione difficilmente evitabili per l’animo umano, specie per uno dalla sensibilità del figlio di Angelo Moratti. Come dimenticare quell’atteggiamento di finto fastidio, unita alla conseguente posa del “sì, va bene, vi parlo”, che Massimo Moratti aveva, ed ha, nei confronti dei giornalisti che lo attendevano, e lo attendono, sotto il suo ufficio milanese per avere un qualche suo commento sulle vicende calcistiche. Concedersi e non concedersi era ed è il mantra di questa Josephine Baker dei Navigli, niente di più banale come tecnica di comunicazione dall’inizio dei tempi, niente di più seduttivo nei confronti di chi cerca notizie per guadagnarsi il pane quotidiano. “Mantenersi giovani significa essere capaci di sognare e fare progetti per l’avvenire” , e Moratti deve aver preso molto sul serio questa frase della Baker, visto che sta considerando seriamente, a 73 anni, di lasciarsi nuovamente coinvolgere in un’avventura calcistica.
Ovviamente nessuno, a meno di non voler essere accusati di lesa maestà, verrà in mente di etichettarlo troppo vecchio e ormai fuori tempo come fecero sin da subito con Carlo Tavecchio. Ma si sa, non tutte sono affascinanti e misteriose come Josephine Baker. In un mondo perfetto(lo so, non esiste. Ma continuo a sperare sia perfettibile) questo signore rappresentante di una delle più note famiglie di quella che fu la ruggente borghesia industriale meneghina, avrebbe fermamente declinato l’invito del furbo Agnelli. Magari alzando un sopracciglio contrariato trovatosi solo davanti al giovane Andrea, mentre Miccichè era alla cassa del ristorante per pagare il conto. E lo avrebbe dovuto fare per due ragioni onorevoli e dignitose. La prima ragione è l’estrema vicinanza della data(22 ottobre) dell’elezione del presidente della Federcalcio; meno di venti giorni sono davvero pochi per formulare un qualsiasi manifesto di programma atto a convincere tutte le componenti del calcio a votarlo su ciò che vorrebbe e non vorrebbe fare una volta accomodatosi sulla prestigiosa poltrona di via Allegri. A meno di non voler essere relegato al ruolo di esecutore alla Gaetano Miccichè. Ma esecutore di chi? E qui viene la seconda ragione per cui Moratti a quel tavolo di ristorante proprio non si sarebbe dovuto sedere, visto il latore dell’invito. Andrea Agnelli è ambizioso, molto ambizioso, e non fa nulla per nasconderlo. E deve essere, questa, proprio un’epoca di evidente regressione del pensiero, se il figlio di Umberto deve aver pensato di mandare un messaggio di potere a tutto il calcio italiano, facendo uscire dal personale cilindro del suo cappello il nome del nemico storico, calcisticamente parlando, di Massimo Moratti. Se uno fa una mossa così spiazzante, specie agl’occhi dei tifosi juventini e interisti, è perché vuole sancire in modo definitivo la sua aurea di vero capo del calcio italiano. Ambizione a cui Massimo Moratti si sta evidentemente consegnando, perché non si può non obbedire alla ferrea legge della trasversalità del potere.
Nell’ultima relazione finanziaria annuale, che sarà presentata agl’azionisti nell’assemblea del 25 ottobre, il presidente della Juventus, pur snocciolando gli sfavillanti risultati sportivi ed economici raggiunti dalla società bianconera, non ha mancato di mettere il punto su ciò che veramente gli interessa, ossia la “l’evoluzione del calcio professionistico attraverso la polarizzazione di quei club, pochissimi, in grado di vincere ogni competizione. E’ la Juventus sarà tra questi”. Poi ha individuato che “i prossimi sei anni saranno cruciali per il calcio italiano”, un calcio che dovrà colmare il gap con gli altri campionati e che dovrà trattare con la politica le tante anomalie che l’attanagliano, come l’Irap e il pagamento di esagerati interessi. Poi ha parlato della nuova Serie C e delle necessarie riforme da fare, “perché il cammino è solo iniziato”. Questo sembra davvero un programma presidenziale. E Moratti? Per lui sembrano valere le parole di Al Pacino/Diavolo tratte dal film “L’avvocato del Diavolo”: “il peccato che più preferisco è la vanità”. Auguri a tutti, specie a noi che continuiamo a parlare per settimane di un rigore dato o non dato.
(Ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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