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columnist
E se avessimo vinto a Empoli, poi avremmo sconfitto la Lazio?
E se il VAR fosse stato fedele alla sua funzione?
E se Parma e Bologna e Cagliari fossero stati affrontati con la testa pensante usata contro l’Inter, la Roma e la Juve?
E se l’Atalanta avesse vinto la Coppa Italia?
E se avessimo, oltre alla tenacia, la fantasia?
E se invece…partissimo dalla fine, da quello che è certo: settimo posto.
Un settimo posto che di norma si trova al settimo cielo, quello dove si gioca di diritto l’EL, e invece no, quest’anno che il settimo posto è nostro, no, non basta per fare la gita in Europa.
Ma l’ultima partita ha regalato qualcosa di più del settimo posto, è andato in scena il Toro, ne è stato rappresentato lo spirito, la passione. L’orgoglio.
Una Lazio dimessa, una tifoseria per la maggior parte piccola di spirito e domenica anche lesinata numericamente.
C’era la Lazio? Sì, ma a giocare sono stati il Toro e…Emiliano Moretti.
Ha iniziato a giocare prima della partita Emiliano, salutando i tifosi, ha continuato quando era seduto in panchina, quando cinque minuti prima della fine finalmente si è infilato il 24 prendendo posizione davanti a Sirigu e infine ha giocato la partita più bella alla conclusione della gara, quando tutti i compagni hanno indossato la sua maglia e il giro del campo lo hanno fatto così, come scorta dell’amato, per l’acclamazione del suo popolo: Emiliano Moretti. Per un momento ho creduto che non sarebbe riuscito a compiere per intero il giro, abbracciava il figlio e allo stesso modo abbracciava lo stadio. Temevo inciampasse d’emozione.
Se De Rossi ha raccolto in una lettera e in dieci canzoni le vibrazioni dell’addio, Moretti le ha infilate nel riserbo che gli è proprio da sempre. La rivoluzione di vita della settimana non gli ha consentito di affrontare gli allenamenti supplementari che lui stesso si è imposto e allora no, ha preferito giocare solo gli ultimi cinque minuti, perché con il 24 addosso non avrebbe accettato di dare qualcosa di meno di tutto il suo essere. Come sempre.
Vabbè non è che fosse ‘sto fenomeno, ho sentito dire da un tizio. Non parlava a me, ma io gliel’ho dovuto chiedere: scusa, ma tu c’eri allo stadio? Tu l’hai mai provata l’esperienza di abbracciare una persona senza usare le mani, solo con la voce, gli occhi, l’energia? Ti si è mai asciugata la bocca davanti a una persona che stimi, una persona che con la sua intransigenza davanti alla porta racconta il tuo difendere le giornate dagli assalti dei problemi?
Il fatto stesso che Emiliano Moretti sia così amato pur non essendo un fenomeno, lo rende un fenomeno. Non è difficile essere acclamati quando si è straordinari nelle prestazioni, molto più difficile è guadagnarsi, con la serietà e l’abnegazione, il rispetto di una tifoseria estremamente esigente come quella del Toro. Tanto più se non nasci Toro, se approdi in squadra a fine carriera, se non hai l’indole dello show man.
E se domenica per cinquanta, cento volte è stato intonato il nome di Emiliano Moretti, per una volta ha avuto spazio anche quello di Walter Mazzarri. Io non lo avevo mai sentito quel coro, però mi sono unita, sinceramente mi andava. E mi ha fatto sorridere il mister quando ha detto che non se lo aspettava, glielo hanno fatto notare dalla panchina e lui è rimasto zitto ad ascoltare. Non è certo uno di primo pelo Mazzarri, eppure aveva una voce un pelo insicura quando lo diceva. Sembrava proprio emozione, quella.
E se fossimo speciali proprio perché capaci di abbracciare il Toro quando più ne ha bisogno, magari dopo una sconfitta sanguinante?
E se fossimo speciali perché capaci di abbracciare Belotti quando sbaglia un rigore più ancora di quando segna un eurogol?
E se fossimo capaci di arrabbiarci sempre un pelino meno di quanto siamo capaci di amare?
La cosa più lontana dall’essere Toro è la mediocrità.
Voglio essere speciale e tifare per una squadra speciale, il Toro.
Uscita dallo stadio, ancora avvolta dal vento dei cori della Maratona, ho visto Petrachi allontanarsi in macchina, tutto intorno c’era tanto da festeggiare, ma quella festa non era più per lui.
Peccato non abbia saputo essere come Moretti nell’addio, speciale.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
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