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columnist
Nessun dramma: abbiamo tutte le carte in regola per giocarci l’Europa fino all’ultima giornata. Stiamo uniti, non facciamoci del male da soli ed evitiamo di acuire le faide interne, arte in cui noi granata siamo maestri. La premessa è doverosa, ma cadere sul più bello, tradire nel momento della verità, è da oltre 25 anni un grande classico del mondo granata. Un vero e proprio “evergreen”, come “Via col vento” per il cinema o “Nel blu dipinto di blu” per la musica leggera italiana.
Puntuale e implacabile, il grande classico arriva a cadenze regolari, come lo scorrere delle stagioni e l’alba che succede al tramonto. Da quel 19 giugno 1993 in cui vincemmo l’ultima Coppa Italia, abbiamo infilato una serie di strazi che hanno reso il tifoso granata una via di mezzo tra un fachiro e un eroe romantico. Sabato sera c’erano tutte le condizioni per godere di due settimane di felicità approfittando della sosta per allungare l’ebbrezza: Roma sconfitta a Ferrara, in caso di vittoria quinto posto e zona Champions a tre punti per qualche ora. Avremmo potuto vivere uno dei momenti più esaltanti da due decenni a questa parte.
Come contro il Chievo, stadio pieno, entusiasmo alle stelle e ambiente elettrizzato: I tifosi del Toro muoiono dalla voglia di fare festa. E la partita si mette pure bene; prima viene annullato un gol al Bologna e subito dopo passiamo in vantaggio con un’autorete. Ecco, è quello il momento del grande classico, il momento in cui inizia la proiezione di “Via col vento”. Invece di avventarci sulla preda con la bava alla bocca, pensiamo che la partita sia in discesa, che il più sia fatto. Invece di andare a prenderci il sogno facciamo come tutti i monsù Travet di questo mondo: braccino, paura della propria ombra, spalle basse, mollezza generalizzata…. Il risultato è scontato: suicidio perfetto.
Dispiace dirlo dopo sette risultati utili e cinque vittorie consecutive in casa, ma sabato hanno fallito tutti. Prendiamone atto e ripartiamo: gli errori sono un tesoro, soltanto attraverso il riconoscimento di essi si può intraprendere la strada del miglioramento. Male Cairo, male in settimana e male dopo la partita. In settimana ha parlato della musichetta della Champions e ha affermato che difficilmente ci sarà posto per Cutrone perché in rosa abbiamo anche Niang. Dopo la partita, invece di trasmettere una feroce voglia di rivalsa e ordinare l’immediato riscatto, si è presentato alla stampa con il suo solito atteggiamento pacioso dicendo che sono cose che possono capitare. No presidente: non possono capitare, non bisogna farle capitare, non devono più capitare per nessuno motivo; se in 14 anni non siamo mai riusciti a centrare l’Europa (l’unica volta ci ha mandati il Parma) è perché nella psicologia collettiva granata si è insinuato il veleno del “sono cose che possono capitare”, del “riproveremo la prossima volta”, del “siamo stati sfortunati”, del “sono incidenti che fanno parte del processo di crescita”. Certo che può capitare di perdere una partita, ma dirlo dopo una debacle significa creare alibi e mostrarsi permissivi. Se tuo figlio ti porta a casa un quattro in matematica e gli dici che sono cose che possono capitare, stai pure certo che da quel momento in poi nella sua testa albergherà il pensiero che un’insufficienza è nella norma, che se anche ricapitasse non è una tragedia.
Male Cairo e male Mazzarri. Male sia durante la partita per aver schierato Dijdij in condizioni fisiche approssimative al posto di un Moretti in ottima forma, sia per insistere sull’ormai impresentabile Meité, sia per non aver saputo approntare le dovute contromosse all’assalto bolognese (era scontato che Sinisa ci assalisse, la partita del Bologna era prevedibile come il presepe a Natale), sia per le sue dichiarazioni post-partita. Dopo aver beccato in casa cinque gol (tre validi e due annullati) dai terzultimi in classifica, è riuscito a parlare di “partita stregata” e dire che “era scritto”. Ma quali streghe? Ma cos’era scritto? Siamo noi che scriviamo il nostro destino, le streghe lasciamole ai cartoni animati e alle case horror dei luna park.
Male Cairo, male Mazzarri e male i giocatori, scesi in campo con l’atteggiamento di chi ha capito ben poco di cosa significherebbe per il popolo granata un’annata di soddisfazioni dopo decenni di purghe.
Eccezion fatta per Izzo, male tutti. Ola Aina non si è ancora reso conto che giocare a calcio è anche una questione di disciplina mentale e tattica, non una baruffa tra amici con grigliata post-partita; Meité è talmente preoccupato del gel sui capelli da prendere la palla con le mani per non farsi colpire in faccia; Zaza e Baselli sono stati invisibili per tutta la partita. Male anche N’Koulou, RIncon e Belotti, i giocatori che nelle partite decisive dovrebbero fare la differenza. N’Koulou e Rincon sono sembrati stranamente inebetiti e il Gallo era sgonfio come non lo si vedeva da mesi. Non so se abbia patito l’esclusione di Mancini; se così fosse, si metta in testa che il campione vero reagisce triplicando gli sforzi. Si concentri su sé stesso e su ciò che dipende da lui come ha fatto fino ad oggi, e stia certo che tornerà azzurro.
Mancano dieci partite. Crediamoci. La posizione di classifica poteva essere eccellente ma è ancora buona, siamo a un punto dal sesto posto e ci sono cinque squadre in lizza per due o tre posti (dipende da chi vincerà la Coppa Italia). Però svegliamoci: fuori campo e in campo, in settimana e il giorno della partita. Giornate come sabato non devono più capitare; capitano soltanto a chi non ha ambizioni e fame sufficiente, capitano a chi si accontenta di galleggiare nella mediocrità. Petto in fuori, profilo basso, attenzione maniacale ai dettagli e spirito di gruppo. Vogliate l’Europa come la vogliamo noi: con l’anima e il cuore.
Marco Cassardo, esperto in psicologia dello sport e mental coach professionista. E’ l’autore di “Belli e dannati”, best seller della letteratura granata.
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