- Calciomercato
- Prima Squadra
- Giovanili
- TN Radio
- Interviste
- Mondo Granata
- Italia Granata
- Campionato
- Altre News
- Forum
- Redazione TORONEWS
columnist
Una cosa mi ha reso felice: leggere centinaia di fratelli uniti nel fare gli auguri al nostro amato Toro. E’ importante, è bello, è commuovente. Dimostra che, al di là delle divisioni, siamo sempre degli innamorati cui batte il cuore quando pensano alla loro amata.
Come scrivevo qualche settimana fa, una delle note più dolorose degli ultimi tempi è la divisione creatasi da qualche anno (dalla retrocessione in Serie B del 2009) tra “accontentisti” e “maicuntent”, i primi così riconoscenti a Cairo per la sopravvenuta solidità economica da essere diventati sordi a qualsiasi ambizione di primeggiare, i secondi così esausti da campionati anonimi e gestione societaria da essere diventati ostili a oltranza. Ci sono delle ragioni da entrambe le parti. Prendiamo l’annosa questione della scarsa frequentazione dello stadio. Ho amici granatissimi che non ci vanno più e sostengono l’assenza come il metodo più efficace per manifestare il proprio dissenso; altri, invece, che sono paladini della presenza “sempre e comunque”. E’ irrilevante segnalare che io appartengo al secondo gruppo, mentre mi sembra significativo osservare che uno stadio sempre pieno e ribollente di tifo creerebbe attorno al Toro maggiore interesse sia da parte dei media sia da parte dell’intero sistema (e alzerebbe la soglia di attenzione degli arbitri).
Inutile sottolineare la mia massima comprensione per coloro che faticano ad arrivare alla fine del mese e, giustamente, hanno ben altro cui pensare. Inutile, altresì, sottolineare che capisco le ragioni di chi è esausto di vedere partite come Torino-Parma o quella di ieri, ma essere la tredicesima tifoseria di Serie A per numero di spettatori paganti e non riuscire a staccare più di quattromila biglietti per una classica del calcio nazionale come Torino-Genoa è desolante per chi professa da sempre la propria unicità e diversità. La città metropolitana di Torino conta 2.282.000 abitanti (dati del 2016); ieri allo stadio eravamo in quindicimila. Possibile che soltanto lo 0,7% degli abitanti di Torino abbia voglia di andare a vedere i granata dal vivo?
Contro i rossoblù, il Toro ha vinto ma non ha assolutamente convinto. Così come è auspicabile un maggior equilibrio tra accontentisti e maicuntent (la ragione e i torti stanno da entrambe le parti, funziona così anche nelle coppie), è consigliabile una maggiore prudenza di giudizio alle testate giornalistiche che si occupano di Toro: annunciare Milan-Torino di domenica prossima come sfida Champions sconfina nel ridicolo. Non raccontiamoci palle: la squadra vista ieri può soltanto battere rivali come Spal, Frosinone, Chievo e le genovesi; la squadra che ieri ha sofferto le pene dell’inferno per sconfiggere un Genoa ridotto in dieci per un’ora di gioco, non può fare altro che vivacchiare a metà classifica. Però ammettiamolo: qualche dubbio viene se pensiamo che per essere quarti in solitaria sarebbe bastato che contro Roma e Udinese non ci avessero rubato tre punti e contro il Bologna non ci fossimo suicidati. Il sospetto che sia giusto concedere alla squadra un’ulteriore, piccola, apertura di credito, perlomeno per la curiosità di vedere come andrà a finire, viene se pensiamo che siamo sesti nonostante i furti arbitrali e il rendimento negativo dei due acquisti più pregiati del mercato estivo (Soriano e Zaza). Sono il primo a dire che la storia dei “se” e dei “ma” non porta da nessuna parte e che, anzi, alibi e vittimismo sono nemici giurati del Toro, ma non possiamo negare che stiamo vivendo una stagione strana. Da qui al termine del girone di andata siamo attesi da tre partite di fuoco (Milan, Juventus, Lazio), una difficile trasferta sul campo del Sassuolo e una partita sulla carta abbordabile contro l’Empoli; per ambire al sesto-settimo posto bisogna “girare” con almeno 27-28 punti e poi centrare un ritorno da supereroi. Le parole le porta via il vento; i numeri rimangono scolpiti nella pietra.
Vedremo, l’unica cosa su cui non ci sono dubbi è che il Toro delle ultime tre partite (quello pietoso visto contro il Parma, quello imbelle di Cagliari e quello tremolante e confusionario di ieri) non può fare altro che replicare per l’ennesima volta il “piazzamento Cairo”: nono posto.
Vedremo, l’unica cosa veramente importante è che oggi sono 112 anni, molte squadre sono grandi, ma solo una è leggenda: il Toro.
Marco Cassardo, esperto in psicologia dello sport e mental coach professionista. E’ l’autore di “Belli e dannati”, best seller della letteratura granata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA