Ad Udine è successo quello che sistematicamente accade al Torino FC degli ultimi tempi: non appena c'è una prestazione che sembrerebbe rilanciare convinzioni, morale ed entusiasmo (in questo caso il pareggio contro il Napoli prima della sosta) arriva la prestazione che non ti aspetti, o che forse in fondo in fondo si sarebbero aspettati tutti quanti. Primo tempo di un Toro mai sceso in campo e secondo tempo poco migliore, in cui Musso è stato impegnato solo con la rovesciata del Gallo. Se questa è la strada intrapresa del Toro, quest'anno ci sarà da soffrire molto di più degli altri anni. Con la squadra più forte delle ultime stagioni, il Toro rischia di sprofondare in una crisi.
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Presidente, a quando un mea culpa?
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Si è detto ampiamente come questo sia il risultato di una gestione disorganizzata della società. Che Petrachi mordesse il freno per andare via era cosa risaputa dall'inizio del 2019 e il presidente Cairo non ha fatto nulla per cautelarsi: non ha sondato disponibilità di altri professionisti, vagliando così profili che facessero dello scouting nazionale e internazionale (vera arma per le società che devono competere con club più dotati economicamente), l'essenza del lavoro da DS. Ci si è ridotti all'ultimo a promuovere il bravissimo Responsabile del settore giovanile, Massimo Bava, che per la prima squadra non ha potuto fare granché. Chiaramente Bava ha tutte le attenuanti del caso, essendo stato deciso da Cairo il cambio di mansioni solo a fine stagione scorsa. C'è chi dice che molti nomi in realtà non sono usciti alla ribalta e forse sarà pure vero, ma risponde a verità anche il fatto che sono arrivati due giocatori esclusivamente dal mercato italiano e un altro, non ce ne voglia Ujkani, dal “mercatino dell'usato” dove solitamente si trovano occasioni a bassissimo costo.
Il presidente Cairo in estate ha detto che era difficile migliorare questo Torino utilizzando l'iperbole della difficoltà nel comprare Messi. Con questa affermazione delle due, l'una: o era un’affermazione non veritiera, oppure di calcio capisce poco e quindi occorrerebbe che parlasse un po' meno. Per questo riterrei giusto che anche il presidente si prendesse la sua fetta di responsabilità se le cose vanno male. Era sotto gli occhi di tutti la lacuna granata a centrocampo e domenica affronteremo una squadra costruita da questo punto di vista al meglio. Il Cagliari ha preso Nainggolan non reputandolo certo un “colpo mediatico”, parafrasando Cairo che aveva così definito il francese Ribery passato alla Fiorentina.
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Adesso il presidente granata trova nel ritiro estivo, anticipato per via dell'Europa League, la causa dei mali di questa stagione. Quindi se anche a fine anno prossimo il Toro dovesse essere qualificato per i preliminari, dovrebbe essere considerata una iattura e non un'occasione da cogliere? Ma perché ho l'impressione che nel Torino i ragionamenti siano fatti tutti al contrario? Un presidente che avesse avuto realmente a cuore il passaggio del turno in EL, secondo me avrebbe investito per migliorare la squadra per aiutarla alla qualificazione. Ma lui no, non voleva urtare la sensibilità dei calciatori, andando a comprare elementi titolari che favorissero il gioco del Toro.
Niente, quando il Toro va male, è sempre per colpa di qualcosa di esterno o per colpa dell'allenatore, ma non è mai colpa del presidente che prima fa le sue scelte e poi non se ne assume le responsabilità. Cercare le scuse è il modo di fare dei perdenti ed infatti il Toro sotto la sua presidenza non è riuscito nemmeno ad arrivare primo al campionato di Serie B. Mai un'autocritica, mai un accenno ad ammettere le cose che non vanno in ambito societario. Ritengo che nel club granata ci sia troppa disorganizzazione e un presidente accentra tutti i poteri decisionali e usa alcune figure come il DG o DS che non sono così influenti. Magari da oggi in poi le cose cambieranno (e me lo auguro), ma per ora purtroppo ne dubito. Il Filadelfia sempre chiuso. Sono più di tre mesi che i tifosi non possono accedere al Filadelfia, ma allora a che è servito rifarlo? L'identità del Toro era data proprio dalla simbiosi tra tifosi e squadra e dal contatto quotidiano che c'era tra essi. A volte sembra quasi che si stia facendo di tutto per distaccare il tifoso dalla squadra.
Parlando con un tifoso del Toro di Torino, mi ha fatto riflettere un paragone che porto in queste righe con un azzardo che rende l'idea. L'antagonista cittadina ha una mentalità, che è ovviamente diversa (e meno male) da quella che ha contraddistinto la storia del Toro, ma è comunque ben definita. Questa viene mantenuta e la perseguono. Per loro vincere è l'unica cosa che conta. A me questa mentalità fa schifo, ma loro la perseguono e la portano avanti con convinzione, tanto che ogni volta che in questo club arriva un nuovo calciatore, quest'ultimo si adatta e si ritrova ad essere un calciatore vincente per mille motivi. Al Toro invece, a mio parere, stiamo lentamente assistendo all'uccisione della nostra identità e della nostra mentalità. Il non mollare mai, come detto prima, nasceva dal connubio tra tifo e squadra. I tempi sono cambiati? Sì ma il Filadelfia non va usato come un fortino per tenere lontani i tifosi. Si è avuta l'iniziativa dell'acquisto dei seggiolini da parte dei tifosi, ma poi non li si fa entrare? A questo punto chiedo al nostro presidente: qual è la visione del Toro? Quali sono i suoi valori? E come intende trasmettere questi valori alla gente?
Vincenzo Chiarizia, giornalista di fede granata, collabora con diverse testate abruzzesi che trattano il calcio dilettantistico, per le quali scrive e svolge telecronache. Quinto di sei figli maschi (quasi tutti granata), lavora e vive a L’Aquila con una compagna per metà granata.
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