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Ogni tanto anche noi vorremmo godere

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Il Toro nella Testa / Torna la rubrica di Marco Cassardo: "Ogni tanto, anche noi tifosi del Toro vorremmo godere. Chiediamo troppo?"
Marco Cassardo

Apro questo nuovo anno con un augurio che formulo a me stesso e a tutti gli amici granata. Ogni tanto, anche noi tifosi del Toro vorremmo godere. Chiediamo troppo?

L’ultima, gagliarda partita contro la Lazio ha concluso un girone d’andata che è una summa di occasioni perse, maledizioni e post partita trascorsi a base di tristezza e Ansiolin. In tutto il 2018 abbiamo goduto una sola volta: lo scorso novembre a Genova battendo la Sampdoria 4-1. Godimento contenuto, si badi bene; non è che siamo andati a sbancare il San Paolo o San Siro o il Venaria Stadium, abbiamo battuto una pari grado. L’altra vittoria di rilievo l’abbiamo ottenuta la scorsa primavera in casa contro l’Inter, ma fu una vittoria di Pirro, eravamo già fuori da tutto e contava poco o niente. Ogni tanto, anche noi tifosi del Toro vorremmo godere. Vorrebbero godere gli anziani che si chiedono se avranno ancora la fortuna di vivere qualche lunedì da leoni; vorrebbero godere quelli della mia generazione che, dopo i fuochi d’artificio dell’infanzia e della prima giovinezza, si chiedono come sia possibile che negli ultimi 25 anni abbiamo partecipato una sola volta alle coppe europee e grazie alle disgrazie del Parma. Soprattutto, vorrebbero godere i ragazzi che tifano Toro, giovani eroi, novelli donchisciotte, splendide creature che credono che Bilbao sia il giardino dell’Eden e hanno dovuto sobbarcarsi anni di Scarchilli, Pratali e Statella. Lo scorso campionato chiudemmo il girone d’andata al decimo posto con 25 punti per concludere noni a maggio. Quest’anno, al giro di boa, siamo sempre lì: noni con 27 punti.

Volete farci godere una buona volta? Non dico tanto, davvero, dico qualche grande partita, qualche impresa che ci permetta il mattino dopo di girare per i bar a testa alta raccontando a tutti che il Toro è tornato. Volete, una volta ogni tanto, permettere ai bambini che tifano Toro di essere cosi esaltati da non riuscire a dormire la notte dalla voglia di andare a scuola il giorno dopo a professare la loro fede granata? Ottima cosa essere imbattuti in trasferta, ma sette trasferte su nove sono state fonti di rimpianto, preludio a giorni trascorsi a dire se, ma, se, ma. A Milano contro l’Inter abbiamo fatto un grande secondo tempo ma quando era ora di mordere e completare la rimonta (ecco cosa intendo per godimento!!! Perdi due a zero a San Siro dopo il primo tempo e vai a vincere tre a due… Ecco cosa non farebbe dormire dalla gioia un bambino granata… ) ci siamo fermati, quasi terrorizzati di essere felici. Contro un Milan derelitto abbiamo tenuto palla per settanta minuti senza combinare nulla. Idem contro il Cagliari. Idem contro l’Udinese, dove, a parte lo scandaloso gol annullato a Berenguer, non abbiamo mai tirato in porta. Contro il Bologna ci siamo suicidati in modo così plateale da fare impallidire un samurai giapponese. Contro il Sassuolo siamo riusciti a regalare il pareggio nei minuti di recupero. Contro la Lazio l’apoteosi: ti concedono un rigore all’ultimo secondo del primo tempo, il momento perfetto per spezzare le gambe agli avversari. Lo segni, torni in campo, hai un’occasione gigantesca per chiudere la partita, ma a tre metri dalla porta e con il portiere a terra riesci a sbagliare. Sul cambiamento di fronte prendi il gol. Non basta; hai la possibilità di disputare gli ultimi dieci minuti in superiorità numerica, ma niente, anche uno dei tuoi si fa espellere e trascorri il recupero con la salivazione azzerata e la paura di perdere. Al netto della vergogna Var, perché non vinciamo mai? Ognuno ha la propria opinione. Vi dico la mia; io credo che dipenda da due motivi: uno tecnico e l’altro psicologico.

In ordine alla motivazione psicologica, ho già scritto in passato e scriverò in futuro. In estrema sintesi, credo che nel nostro DNA si sia insinuata una mentalità perdente che non riusciamo più a scrollarci di dosso e che società e staff tecnico non stanno facendo nulla per combattere, anzi, per certi versi alimentano. In ordine all’aspetto tecnico, Cairo deve decidersi una volta per tutte a investire pesantemente sul centrocampo. E’ il quattordicesimo anno consecutivo che il centrocampo è l’anello debole della squadra. Quest’anno la difesa è eccezionale: il quartetto Sirigu, Dijdij, Izzo, N’koulou è da top team. L’attacco sta faticando, ma sono certo che Belotti, Iago e lo stesso Zaza, quando Mazzarri troverà i giusti schemi offensivi ed eviterà al Gallo di fare anche il mediano (e magari la società si deciderà di sostituire Soriano con un giocatore capace di saltare l’uomo e inventare giocate), farà il suo dovere. Il centrocampo no: manca di qualità. Le partite si vincono quando, in vantaggio, hai giocatori capaci di sfruttare le ripartenze; se nella linea mediana hai gente con piedi buoni, dinamismo e fisicità tali da consentirti di tenere palla e addormentare le partite. Noi abbiamo uno splendido mastino come Rincon a cui possiamo chiedere tutto meno che la capacità di palleggio; Baselli che, seppure in crescita, dopo 70 minuti boccheggia ed è oggettivamente “leggero”; Meité che, dopo un inizio promettente, è sempre più lento e apatico e dista anni luce dal tipo di giocatore capace di farci compiere il salto di qualità. Se sulla linea mediana aggiungiamo i piedi proletari di Lollo De Silvestri, la frenesia ancora acerba di Ola Aina e l’atletismo ridotto di Ansaldi, la frittata è fatta, i pareggi fioccano e le vittorie latitano.

La classifica è corta, difficile immaginare che anche nel girone di ritorno gli arbitri ci tartassino come all’andata. La squadra è buona e ha senz’altro qualcosa in più che gli anni scorsi. A essere ottimisti, il bicchiere è mezzo pieno, ma vi chiediamo un favore: ogni tanto, fateci godere.

 

Marco Cassardo, esperto in psicologia dello sport e mental coach professionista. E’ l’autore di “Belli e dannati”, best seller della letteratura granata.

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