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columnist
“Il prezzo della grandezza è la responsabilità”
Winston Churchill
Nove arresti per il nuovo stadio della Roma, il nuotatore Filippo Magnini e la tennista Sara Errani accusati di essersi dopati, la querelle confusa e inquietante della vendita diritti del campionato italiano di Serie A, diversi club di Serie A e serie B sull’orlo del collasso economico: questo è il riassunto del quadro delle vicende del mondo dello sport solo nella settimana appena trascorsa.
Mentre il governo Conte giurava e si presentava in parlamento per chiedere la fiducia, non una sola parola è stata riservata ai problemi, di ogni ordine e grado, che attanagliano lo sport italiano. Qualcuno potrebbe rispondere che l’Italia ha problemi più seri dello sport, relegando superficialmente questo mondo tra le cose voluttuarie e quindi non di primaria importanza.
Un rapporto del 2015 sul giro d’affari del calcio italiano, stilato dalla Fgci in collaborazione con Deloitte, stima i ricavi dell’intero movimento, che comprende anche Calcio a 5 e Beach Soccer, ricavi per 3,7 miliardi di euro. Il settore offre lavoro a 40.000 persone(dietro molte delle quali ci sono famiglie), e assicura al Fisco un miliardo l’anno. Tutto ciò, non volendo considerare gli altri sport e l’industria sportiva italiana che conta oltre 750 aziende, occupando più di 30.000 addetti e con un fatturato di 10 miliardi di euro l’anno. Inoltre, con 95.000 punti dislocati sul territorio, lo sport italiano gode della più ampia rete sociale del Bel Paese(superiore al sistema sanitario e quello scolastico, alle parrocchie e alle tabaccherie), più delle spese delle famiglie per 8 miliardi di euro, più delle 2,4milioni di copie di giornali sportivi venduti ogni giorno, più di 5,5milioni di utenti abbonati a canali tv sportivi, più di 22.000 ore di trasmissione dedicate. Un movimento che genera 3 punti di prodotto interno lordo e che conta 11.000 associazioni sul territorio nazionale.
Da questi dati, tratti da varie autorevoli ricerche condotte negli ultimi cinque anni, si può facilmente evincere il carattere per nulla voluttuario dello sport. E allora perché il governo ostentatamente se ne disinteressa? E ancora: perché chi si occupa dello sport a livello professionale, cioè la curva apicale di tutto il movimento, non sente la responsabilità del ruolo occupato? Perché di fronte allo scempio reiterato che si fa dello sport italiano non si vede un politico, sportivo e non, ergersi a dire, usando le parole di Winston Churchill, che “l’era dei rinvii, delle mezze misure, degli espedienti ingannevolmente consolatori, dei ritardi e da considerarsi chiusa. Ora inizia il periodo delle azioni che producono delle conseguenze.”? Domande a cui gente come Gaetano Miccichè e Giovanni Malagò non risponderanno mai, presi come sono dallo stare attenti, molto attenti, a non cadere mai dal carro dei vincitori. Mercoledì sera, dopo l’assegnazione dei diritti tv del campionato di calcio di Serie A, l’unica cosa auspicata dal presidente della Lega A è che “Sky e Perform(i detentori dei diritti del calcio fino al 2021)facciano di tutto per evitare il doppio abbonamento”.
Quindi, la difesa dei fedeli, viene affidata dal prode Miccichè ai mercanti del tempio, piuttosto che ai gestori del tempio stesso. Fedeli, ai quali io stesso mi ascrivo, che non avranno nemmeno la possibilità, perdonate l’ironia, di esseri difesi dall’art.643 del codice penale, studiato per punire chi pratica la circonvenzione di persone incapaci. Perché ormai così noi tifosi siamo trattati, come persone pervase da uno stato d’infermità o deficienza psichica. Essendo il calcio un bisogno della fantasia, e non un bisogno dello stomaco, la classe politica(e qui mi riferisco a quella non sportiva) probabilmente ritiene di non dover intervenire, lasciando a gente come Malagò il compito di risolvere ogni problema, anche in nome (sic) dell’indipendenza pretesa da sempre dal mondo dello sport. Soltanto che il presidente del Coni, sprovvisto di una visione universale come quasi tutti gli appartenenti al “Generone Romano”(il jet-set della capitale), sta gestendo le sorti dello sport italiano come se fosse una sorta di prolungamento dei fasti del “Circolo Canottieri Aniene”, di cui da anni è presidente e animatore. Di fronte all’ennesimo atto corruttivo (le vicende dello stadio della Roma) e alla minaccia di James Pallotta (presidente della Roma) di mollare tutto e tornarsene nella sua Boston, l’unica cosa eclatante fatta registrare dal Malagò e dal commissario straordinario della Fgci Roberto Fabbricini è stato il loro silenzio assordante. “Quousque tandem abutere, Malagò, patientia nostra”?
Già, fino a quando Malagò abuserà della pazienza degli sportivi italiani? Queste parole furono usate da Cicerone contro Catilina, accusato dal grande retore romano di progetti eversivi. Ovviamente non sto accusando il presidente del Coni di un qualche progetto eversivo, ma lo invito a ricordarsi che se a volte è molto facile eludere le nostre responsabilità, di certo non potremo sfuggire alle conseguenze dell’aver eluso le nostre responsabilità.
Sono almeno dieci anni che il calcio dalla Serie B in giù vive in una profonda depressione economica, provocando fallimenti di club addirittura dal passato glorioso. Se di soldi in Italia, dal 2008, ne girano sempre meno non è certo colpa di Giovanni Malagò, ma è proprio nei momenti di crisi che un gestore di cose dovrebbe mostrare abilità nell’individuare nuovi orizzonti e nel tracciare nuovi sentieri percorribili. Un leader non può lasciare tutto al caso e agli appetiti dei potenti, perché in poco tempo i vizi privati finirebbero per diventare pubbliche virtù. Lo dico senza mezzi termini: da tempo il Coni avrebbe dovuto avere un piano per aiutare i club di provincia a risollevarsi dalle loro cicliche gravissime crisi economiche.
E non solo per i club di calcio. Non se ne parla molto, ma la pallacanestro e la pallavolo italiana sono state distrutte dalla crisi economica italiana senza precedenti iniziata nel 2008. La classe dirigente italiana ha assistito, e sta assistendo, in modo colpevolmente omissivo al franare di un intero sistema sportivo. L’importante presenza cestistica a Siena, per fare un esempio, ha cessato di esistere inglobata nelle nefaste conseguenze della gestione para criminale del Monte dei Paschi di Siena. Ma da ieri, i nostri dirigenti, sono contenti per aver spuntato qualche milione in più sulla cessione dei diritti tv del calcio della massima serie, contenti per dei soldi che non andranno a migliorare il prodotto offerto dal calcio italiano, ma solo ad aumentare le transazioni sul mercato dei calciatori, spesso fonte di manovre finanziarie poco chiare. Mercato che eccita la fantasia di noi tifosi, facendoci dimenticare il contesto in cui viviamo. Lo dico a costo di essere paternalista: non può esserci godimento di un attimo di felicità, se non si recupera un minimo di senso della decenza e del limite.
Gli atleti che continuano a doparsi, nonostante il bisogno di esempi positivi di pubblica rilevanza da parte di una società sempre più nichilista, stanno abiurando all’unico onere a cui dovrebbero ottemperare tra il fruire di tanti onori: l’onere dell’onestà e della responsabilità. Gli atleti hanno dei doveri verso la nazione d’appartenenza, appunto perché sono persone estremamente fortunate. Il loro talento spesso illumina le nostre giornate più oscure, ci rende orgogliosi il fatto di sentire che essi, in qualche modo, ci appartengono. Spesso le loro vittorie, sono le nostre vittorie.
Quando vedo la “Union Jack” salire dietro un atleta inglese, accompagnata dalle note di “God Save the Queen”, mi commuove pensare come la mia terra abbia potuto generare tanto talento e renderlo visibile. Questo aiuta un po’ le fatiche delle mie giornate, e sono sicuro questo sia uno stato d’animo condiviso dalla maggioranza delle persone. Chi si dopa, chi si vende una gara, distrugge questa emozione ed è, ai miei occhi, imperdonabile. Perché doparsi o vendersi una gara è un qualcosa da cui non si può tornare indietro, determinando uno stato di fatto terribile. Non riponendo nessuna speranza(per manifesta incapacità) nell’attuale classe dirigente sportiva italiana, esorto, a prescindere dalle mie convinzioni politiche, il governo Conte a porre la questione sullo stato di salute dello sport in Italia. Il “bisogno della fantasia” ha urgenza di essere difeso, e non può essere lasciato agl’anarchici appetiti di pochi.
A quel qualcuno del governo che sentirà il bisogno di occuparsene, vorrei ricordare, in tutta umiltà, alcune parole di Tommaso Moro:”che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, che io possa avere soprattutto l’intelligenza di saperle distinguere”.
Di Anthony Weatherill
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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