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Onore al Benevento e onere al Torino

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Sotto le Granate / Torna la rubrica della nostra Maria Grazia Nemour
Maria Grazia Nemour

Con quella pioggia e con quel vento siamo andati a Benevento. E abbiamo vinto. Facciamocene una ragione. Non è stata una vittoria determinata da costante e indiscutibile superiorità, chiaro, ma comunque abbiamo vinto. Dobbiamo lavorare su noi stessi e accettare che per la legge dei grandi numeri ogni tanto ci capita di essere fortunati. E non vivere la fortuna come una colpa.

Il Benevento – triplo salto mortale dalla Lega Pro alla B alla A in tre anni, grandioso Benevento! – meritava di pareggiare perché non si è risparmiato in quanto a energia e organizzazione del gioco, ma è successo che noi abbiamo vinto lo stesso. Al 93esimo abbiamo vinto. Già.

E la fortuna è la prima a riconoscere il merito di chi bacia: al 93esimo ancora ci credevamo perché il pareggio fuori casa non ci bastava; Iago e Ljaijc potevano fare di meglio, ma alla fine hanno fatto l’unica cosa importante, gol; dopo dieci minuti abbiamo visto Obi abbandonare il campo e ci siamo portati tutti la mano alla gamba, ormai avvertiamo il suo dannato dolore, quello che ti ferma nel bel mezzo dell’azione, mentre stai dando il meglio. Puoi solo uscire, impotente. E poi Acquah, nella ripresa anche l’indistruttibile Acquah abbandona dolorante il campo. Segno che nella vita e nelle partite alcune sfortune le puoi immaginare, altre no, ma il risultato è lo stesso: tocca sapersi reiventare.

Riconosciamo al Benevento la sana e produttiva voglia di esserci, e al Toro, di avere montato l’ossatura lungamente agognata che fa funzionare il gioco anche in assenza di prestazioni eccelse.

Abbiamo tante cose. Abbiamo un portiere che almeno in tre situazioni ha dimostrato di essere protagonista.  Abbiamo una difesa – tra tradizione e novità – che lavora di intesa, di fisicità e testa.  Abbiamo un centrocampo che dal piede delicato all’incontro violento copre ogni profilo. Rincon incontra e scontra con lo sguardo prima ancora che con le spalle e le gambe. Incenerisce già con l’intenzione. In coppia con Acquah è un imporsi, con Obi (forza Obi, forza!) e Baselli (bentornato Baselli! Affrettato dagli eventi, ma pur sempre bentornato!) è una costruzione sapiente di equilibri verticali.  Abbiamo Edera, che non è entrato, ma ce l’abbiamo. Abbiamo un tridente dal delicato meccanismo ma sicuramente di qualità, che sa risolvere la partita.

E poi abbiamo il Gallo. Che ha le partite della Nazionale nelle gambe, che non ha brillato come Immobile che aveva anche lui quelle partite nelle gambe. Che è il Capitano e ci rappresenta. Che è da sostenere quando accusa stanchezza e difficolta, perché quando è in splendida forma non ne ha bisogno.

Abbiamo Zappacosta. Ah no, Zappa non ce l’abbiamo più, ma il suo Champions-gol fa sorridere tutti.

Abbiamo tante cose ma soprattutto abbiamo 7 punti, e due delle tre partite le abbiamo giocate fuori dal covo granata. E se proprio dobbiamo soffrire di questa timida fortuna beneventana, pensiamo di averla già pagata a Bologna, con due punti fischiati via così, perché erano di troppo.

Onore al Benevento, onere al Toro di ripetersi, e vincere ancora.

Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.

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