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Gran Torino

Ovosodo

Torna l'appuntamento con "Gran Torino" la rubrica di Danilo Baccarani

Agli occhi di un tifoso granata, il peccato orignale dell’Hellas Verona è uno solo: aver vinto lo scudetto dei miracoli nella stagione 1984/85, annientando il sogno del Toro di poter agguantare il tricolore a distanza di quasi dieci anni dal primo titolo post Superga.

Bella la favola della squadra operaia, della Cenerentola, dell’underdog che sbaraglia il campo: bello tutto, tranne il fatto che al secondo posto, ci finimmo noi.

A distanza di quasi trent’anni, quel secondo posto è ancora qualcosa che non va né su, né giù, come l’Ovosodo di Paolo Virzì.

Chissà come sarebbe stata la nostra storia se avessimo vinto quello scudetto, chissà se il corso degli eventi sarebbe cambiato.

Toro-Verona del 1984/85 è stato un turning point, una di quelle partite che restano indelebili nella memoria collettiva di una intera tifoseria.

Nella nostra storia, post Superga, dopo Amsterdam e Toro-Tirol, credo che il posto sul podio sia necessariamente di quel Toro-Verona.

Ed è da quel Toro-Verona, che questa non è una partita come le altre.

Certo, il tempo è passato, le ambizioni di entrambe le società sono diverse, ci sono stati tanti campionati di B per entrambe, tante difficoltà e poche soddisfazioni.

Raramente ho serbato rancore verso una squadra, come lo feci per quel Verona.

Per questo, per il peso che ha ancora quel match, ho deciso di non raccontarvi di quella sconfitta maturata al Comunale, il 25 novembre 1984.

Un match stregato, condito da due pali, uno, di Junior su punizione, e l’altro di Sclosa che arrivo a dire, sono tuttora più inspiegabili di Toninelli ministro delle infrastrutture.

Oggi a Gran Torino si racconta una vittoria tanto bella quanto sonante. Certo, nulla ci potrà mai ripagare dalla delusione per quel secondo posto, ma quel pomeriggio di diciassette anni dopo, al Delle Alpi, mi riconciliò con il termine vendetta.

Un piatto da gustare freddo, si dice, lasciando che il tempo faccia il suo corso.

Stagione 2001/02, eravamo appena ritornati in serie A grazie alla cavalcata trionfante della squadra allenata da Giancarlo Camolese, un signore prima, un allenatore poi, un tifoso granata sempre.

Uno a cui, ancora oggi, qualcuno dovrebbe delle scuse.

Camolese fu la pozione rivitalizzante di un gruppo che stava annaspando, ancora una volta, nelle acque stagnanti della serie B.

Fu giusto confermarlo sulla nostra panchina, vuoi per un senso di continuità e anche per riconoscenza.

Il suo Toro aveva giocatori di discreta qualità (soprattutto dalla cintola in su) ma era, prima di tutto, una squadra che rifletteva valori cari ai nostri colori.

La grinta aveva la faccia e la corsa di Antonino Asta, il gregario sprint, una specie di tiramolla, uno slalomista dal dribbling non elegante, un uomo in più, l’atout in grado di spiazzare anche le difese più arcigne.

E poi c’era una delle coppie gol meno assortite e più discusse della nostra storia recente: Cristiano Lucarelli e Marco Ferrante.

Entrambi centravanti, entrambi portati a giocare verso la porta e non per la squadra, si diceva, egoisti come solo può essere un bomber.

Eppure, alla fine del campionato, seppero coesistere, contribuendo alla causa con 19 reti in due, sempre grazie Mister Camolese.

A centrocampo avevamo Vergassola, lo sfortunato Scarchilli e il piede fatato di Riccardo Maspero, uno che se solo avesse voluto avrebbe fatto un’altra carriera.

Quando, alla dodicesima giornata, arriva il Verona, il cammino del Toro è altalenante: due vittorie, quattro pareggi, quattro sconfitte e una partita rinviata a data da destinarsi.

Poche soddisfazioni ma, tra queste, trovano posto il derby pareggiato in rimonta (Lucarelli-Ferrante-Maspero) senza dimenticare il terra-aria di Salas su buca di Maspero e le vittorie su Perugia e Milan, targate Ferrante e Lucarelli.

Oramai Ferrante è stato sdoganato ed è titolare fisso, con buona pace del presidente Cimminelli che non lo vorrebbe vedere nemmeno dipinto.

Camolese impone Ferrante e la strana coppia con Lucarelli, funziona.

È il 25 novembre 2001 e se non ci credete questa è la stessa data di quel maledetto Torino-Verona di cui sopra.

I gialloblù annoverano giocatori niente male: Adrian Mutu, un altro che avrebbe potuto fare una carriera diversa, Oddo, Camoranesi e Gilardino che diventeranno campioni del Mondo, il bomber dei Banchieri, il liechtensteiniano Mario Frick e una serie infinita di sergenti e portatori d’acqua quali Italiano, Mazzola, Colucci, Filippini e Dossena.

Il Verona viaggia alla grande. Malesani ha appena battuto nel primo derby della storia della serie A i cugini del Chievo primo in classifica, con un clamorosa rimonta.

Di quella vittoria rimase scolpita l’esultanza del mister veronese, (ex Chievo) sotto la curva sud.

È il mondo alla rovescia.

Verona capitale del calcio è Las Vegas patria della sobrietà.

Quando dopo dieci minuti, Mutu recupera un pallone sballato di Delli Carri e beffa Bucci con un rasoterra, Verona sogna.

Se il Chievo è primo, il Verona è a ridosso delle prime posizioni.

Cado in depressione, considerando che qualche settimana prima, contro il Chievo abbiamo beccato un fragoroso 3-0.

La partita è in totale comando degli ospiti fino a quando un’entrata scellerata del veronese Gonella su Asta, costringe l’arbitro Tombolini ad estrarre il cartellino rosso.

Il primo tempo è agli sgoccioli.

Quando escono dagli spogliatoi le squadre sono diverse.

Il Toro cambia faccia. Camolese inserisce piedi educati (Maspero e Scarchilli), il Verona toglie una punta e infittisce il centrocampo.

Si fa male Ferron ed entra Pegolo, al suo esordio in serie A.

In b4, Pegolo è ancora in attività e gioca al Sassuolo.

Maciniamo gioco ma non sfondiamo.

Siamo un temporale pronto ad esplodere, i tuoni sono ancora lontani, qualche lampo si palesa.

Cross di Castellini, Lucarelli di testa, Pegolo respinge.

Galante alto sulla traversa su cross di Maspero e, infine, Ferrante in bella rovesciata prova l’Eurogol, Zanchi respinge con la mano e Tombolini lascia correre.

Adesso ci siamo, complice un calo del Verona che non ne ha più.

Il Toro si scatena.

Minuto 71.

Asta è indemoniato e crossa da destra. Oddo respinge sulla testa di Vergassola che scavalca Pegolo. Cannavaro sulla linea salva di mano, irrompe Ferrante che scaraventa il pallone in rete. Pareggio.

Il Verona è in balia degli eventi e il povero Pegolo vede arrivare i granata da ogni parte.

Tre minuti dopo arriva il raddoppio. Asta in versione assistman centra morbido sempre da destra, tuffo a volo d’angelo di Vergassola, che di testa trova la deviazione di Italiano che inganna Pegolo e finisce in rete.

Due minuti dopo il Toro fa tris.

Corner di Maspero, la difesa veronese respinge sui piedi non educatissimi di Delli Carri che sforna un assist al bacio per Galante.

Il playboy granata, ancora di testa, batte Pegolo per il momentaneo 3-1.

Ci può essere qualcosa di più incredibile di un gol confezionato dai due difensori centrali della tua squadra?

Il Verona non c’è più e se il temporale di prima era un leggero acquazzone, adesso sulla testa dei veronesi cadono grossi e pesanti chicchi di grandine.

Dossena sbaglia il retro passaggio e lancia Lucarelli.

Il panzer livornese entra in area e batte imparabilmente il portiere gialloblù con una gran bordata a fil di traversa. 4-1.

Raramente ho visto un Toro così indemoniato e così determinato a infierire sugli avversari.

Allo scadere dei novanta, su delizioso cross di Maspero, Ferrante fa il bis con un colpo di testa arcuato come un arcobaleno.

Il temporale è finito, tutti i cinque gol son stati segnati sotto la Maratona per un roboante 5-1.

I tifosi granata sbeffeggiano Malesani, invitandolo sotto la curva.

Il Toro aveva segnato tre gol in ventisei minuti nel derby di un mese prima e ne segnò altrettanti in tre minuti e venti secondi in quello del marzo 1983, ma cinque in diciotto minuti assomigliano molto da vicino ad un record.

Non vincevamo 5-1, in serie A, dall’ultima giornata del campionato 1976/77, quello dei cinquanta punti e del Toro con lo scudetto sul petto.

 


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