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columnist
di Guido Regis*
Siamo agli sgoccioli. Il trenta Agosto si chiuderà quella brutta parola: il mercato. Purtroppo anche quest’anno si riaprirà a gennaio e, mi risulta, durerà ancora troppo a lungo come negli ultimi anni. Le voci, male informate o maligne, scegliete voi, ci vedevano privati di Ogbonna e Bianchi già da una ventina di mesi circa. Sono ancora qui entrambe, cresciuti in età, esperienza e tecnica. Uno è finito addirittura in nazionale e nelle poche uscite granata con squadre di livello ha dimostrato di meritarla, a breve anche come titolare. L’altro, in queste settimane di ritiro con un tecnico d’esperienza ha imparato a non sentire il peso e la tensione di essere il capitano, ad accettare la panchina, ma soprattutto ad apprendere movimenti di gioco a lui mai stati consoni fino ad ora. Non è bene che questi due ragazzi vadano via dal Toro, ne quest’anno ne l’anno prossimo, mi spingo a dire, ne mai. Pensare di salire in serie A significa programmare per restarci a lungo. Quest’anno forse, anche grazie a questo allenatore, si è pensato finalmente a guardare veramente oltre. Non è immaginabile che un tecnico esperto non sappia che il suo modulo base deve trovare anche alternative, in alcuni periodi del campionato se non delle singole partite, per non trovarsi ad un certo punto nella condizione di una tale prevedibilità tattica da essere annullato già in partenza dal contro-modulo avversario. Queste alternative possono essergli offerte soprattutto dal gioco che meglio si addice a Rolando e Ventura lo sa. Su Angelone c’è poco da dire. Il Toro vuole tornare ad essere almeno quello di trent’anni fa? Non può privarsi di giocatori da nazionale, ma acquisirli; comportarsi ancora una volta da provinciale sarebbe un eresia. Ma c’è un’altro aspetto che deve una volta per tutte essere maturato con convinzione da tutti coloro che amano veramente il gioco del calcio e soprattutto il Toro, che va oltre la crescita tecnica e mentale di Ogbonna e la costanza realizzativa dimostrata da Bianchi in questi anni granata. E’ necessario che si compia una drastica operazione chirurgica nel mondo del calcio, dai suoi vertici sino ai fruitori più umili. Si deve tornare al passato per sopravvivere, devono progressivamente diminuire gli ingaggi faraonici ed essere progressivamente allontanati gli speculatori che sui calciatori “lucrano”. I giovani devono essere educati sempre di più al legame forte con una maglia e con la società nella quale militano. Da qui nascerà anche una loro vera integrazione con il tessuto sociale dal quale oggi sono sempre più avulsi e del quale non comprendono più le reali e cogenti problematiche, se non per immagine. Il Toro è la prima squadra a dover dimostrare ed insegnare questo, come nel passato. Deve è può essere antesignano di un nuovo modo di concepire questo sport mediando dal passato una delle poche cose per le quali non è sbagliato guardarsi in dietro, in quanto indispensabile per il futuro. La storia, se studiata e letta nel modo consono, avrebbe dovuto insegnarlo. Oggi la cronaca quotidiana del chiaro sfascio economico e sociale mondiale lo esplicita senza mezze parole. Basta sprechi, maggiore rigore in tutti e soprattutto un bel bagno di sani antichi valori. E’ dal digerire questo ragionamento e farlo proprio, se già non lo è, che si misura il termometro dell’attaccamento vero alla storia unica del Toro nonché dell’intelligenza di ciascuno di noi. Non possiamo costruire un Toro vero se non consolidiamo nella sua struttura gli uomini che lo vivono come una famiglia, non leghiamo a vita i giovani migliori che crescono con addosso la sua maglia e quelli che, una volta indossata, la onorano come ha fatto Rolando in questi anni. Non ci sono ragionamenti che tengano per nessuno, questa è la strada, indipendentemente dal fatto che l’uno o l’altro possa confermare, accrescere o ridurre il suo rendimento sul campo, risultare più o meno utile alla causa puramente tecnica della prima squadra. Se questi due ragazzi verranno coltivati nel loro legame al Toro, sapranno al momento opportuno anche accontentarsi di non guadagnare cifre faraoniche, pur di continuare a crescere come atleti e come uomini, in una vera, sana e solida grande famiglia, ma soprattutto potranno insegnare questo legame ad altri. Non possiamo continuare a cambiare uomini ogni anno e lamentarci poi se si comportano da “mercenari”. Le bandiere contano per il Toro, per il calcio e per la cultura di ciascuno di noi, anche in questo mondo globalizzato. Cittadini del mondo si, ma legati alle proprie radici. Se questo non avverrà vorrà dire il Toro non esiste più davvero e ne saremo tutti, chi più chi meno, responsabili. So che Comi, Ferri, Benedetti, Asta, Longo, Misischi, e tanti altri uomini e donne granata oggi presenti nello staff del Toro FC la pensano in sostanza allo stesso modo. Spero sia così per tanti altri. SE VOGLIAMO POSSIAMOGuido Regis *Presidente Torino Club C.T.O. Claudio Sala
Foto M. Dreosti
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