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columnist
Il Torino nella stagione 2002-2003 retrocesse in Serie B arrivando ultimo in classifica con soli 21 punti. Sabato 3 maggio 2003, prima della conclusione della stagione, sul neutro di Reggio Emilia il Toro incassò l’ennesima sconfitta di quella stagione e purtroppo non sarebbe stata l’ultima di quel campionato. Tuttavia in quel weekend accadde la quintessenza di cosa vuol dire essere del Toro: puoi perdere e puoi anche retrocedere, puoi contestare società e calciatori, ma niente di niente potrebbe mai scalfire l’amore per i colori granata. Ed infatti mentre quel sabato il Torino perdeva e retrocedeva aritmeticamente in Serie B, il giorno dopo i tifosi compatti marciavano in centro a Torino in una manifestazione assolutamente pacifica che servì ai supporters granata per ritrovarsi, per riconoscersi e per lanciare un messaggio a società, giocatori e mondo intero: Il Toro siamo noi.
Quella giornata è stampata nella mente di tutti i tifosi granata come una delle più importanti del nuovo millennio, una manifestazione che sarebbe poi passata alla storia come la marcia dell’orgoglio granata.
Cosa è successo in questi quindici anni? Dov’è finito lo spirito che all’epoca spinse i tifosi del Toro ad innalzare bandiere e sciarpe e a gridare al mondo intero di essere orgogliosi di far parte di questa fantastica comunità? Credo che l’ultima gestione societaria iniziata ormai da quasi 13 anni abbia nel tempo sfinito questo orgoglio e la mediocrità delle annate ha portato i tifosi ad accontentarsi di vincere un derby solo, ad arrivare in Europa grazie a colpe altrui, a vivere a Bilbao una delle poche e vere partite da Toro, come non se ne vedevano da tempo. L’aria che si respira oggi è di disorientamento e sfiducia. Anche alcuni media adesso si scagliano oltremodo contro il presidente, magari anche con giuste prese di posizioni, anche se forse sono dettate da secondi fini. Oltre ai tifosi però, ad essere sfiniti sembrano esserlo anche i calciatori. Non parlo di preparazione atletica o addirittura di “pressione ambientale che non farebbe rendere i giocatori” come sosteneva Ventura. Parlo della piattezza in cui tutto l’apparato Toro sta sprofondando e che, pur non rischiando la Serie B come nel 2003, toglie ogni stimolo e motivazione ai giocatori. Infatti oggi Andrea Belotti sembra essere riuscito far spazientire i tifosi con i suoi atteggiamenti, le sue prestazioni opache, la sua poca voglia di metterci la faccia (con relativa presunta fuga dopo il ko interno contro la Fiorentina). Tutte cose che, ammetto, possano dare fastidio, ma possibile che non c’è nessuno che si chieda come mai Darmian, Peres, Immobile, Zappacosta, D’Ambrosio e Belotti abbiano deciso di lasciare il Toro e, se non a parole, non si siano minimamente legati a questa maglia? Io potrei capire che qualcuno possa avere mille motivi per andare via, ma qualcuno che voglia restare per affetto della maglia potrebbe pure esserci. Ciò che non concepisco è che noi tifosi del Toro non possiamo affidare il nostro cuore granata ad un beniamino, che subito questo deve abbandonarci perché la società vuole vincere lo scudetto delle plusvalenze.
Insomma tutti noi tifosi siamo stati contagiati dalla mediocrità di questi dodici anni e soltanto una marcia come quella del 2003 potrebbe darci quei “due ceffoni” che ci potrebbero far svegliare da un sonno indotto da una sorta di sonnifero che ormai respiriamo quotidianamente.
Che bello sarebbe vedere la città di Torino invasa da una marea umana granata come quindici anni fa! Servirebbe a recuperarci tutti, servirebbe a dare un messaggio al mondo intero proprio come allora, servirebbe a Belotti e compagni per far capire loro dove sono e che dovrebbero baciare l’erba che calpestano, servirebbe alla società ad avere più rispetto per l’onore che ha nel guidare una società così gloriosa e ricca di valori.
Nella speranza che il Toro che batte dentro il cuore di ognuno di noi torni a vedere rosso, non ci resta che attendere la fine di questa stagione balorda, tra i campionati più strazianti dell’era Cairo, aggrappandoci ancora una volta alla maglia, all’identità e all’orgoglio di essere del Toro, cosa che ci ha sempre contraddistinto magari manifestando anche oggi come quindici anni fa. Il Toro è dentro di noi, perché non ci ritroviamo?
Vincenzo Chiarizia, giornalista di fede granata, collabora con diverse testate abruzzesi che trattano il calcio dilettantistico, per le quali scrive e svolge telecronache. Quinto di sei figli maschi (quasi tutti granata), lavora e vive a L’Aquila con una compagna per metà granata.
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