columnist

Perdere per 4 dubbi e 1 certezza

Maria Grazia Nemour
Sotto le Granate / Torna la rubrica di Maria Grazia Nemour che analizza la sconfitta di Roma

Vabbe’, che avessimo discrete possibilità di perdere con la Roma, era chiaro.

Ma 4 a 1 è una disfatta.

Innanzitutto grazie a Maxi per quell’1. Ma Maxi continua a rimanere in debito, perché con tutto l’entusiasmo che da sempre il Toro gli tributa, di soddisfazioni ce ne deve ancora parecchie. Mantenere un peso forma ottimale, è il minimo. Segnare, è il massimo. Entrare in campo, indispensabile.

1-0, 2-0, 3-0, 3-1, 4-1. Roma, partita eterna.

Certo, i giocatori e le loro qualità sono i pilastri di una squadra, sulla solidità di alcuni puoi edificare un condominio, sopra altri, ti limiti a una casetta. Ma va bene, perché c’è qualcosa di più, intorno: i dettagli, il gusto, l’armonia. Il progetto. Io credo che questo, sia fondamentale in una squadra: il progetto. E che tutti si sentano una parte unica, di quel progetto.

Se il Toro ha investito poco in cemento, dovrebbe almeno puntare sull’originalità del progetto.

Mi fa sorridere il nostro Galletto, quando rasserena gli animi dicendo che nello spogliatoio si sta tutti insieme, si parla, anche con quelli di nazionalità diverse. Mi fa sorridere perché nella mia mente la condivisione di uno spogliatoio è colla a presa rapida, da cui non ti vuoi e puoi, staccare. Il calciatore non può fare il solitario perché non scende in campo con una racchetta in mano o un paio di sci ai piedi, ma con dieci compagni intorno, e con questi, scambia un pallone. Più del virtuosismo personale, può l’armonia del movimento di un corpo collettivo, l’altruismo finalizzato al risultato comune. È la coesione a essere vincente, e amalgamare le persone non è affatto semplice, ci vogliono tempo e stimoli. Un progetto-Toro di medio periodo potrebbe essere più vincente di uno immediato, ma raffazzonato. Basta capirsi. Il nostro progetto-Toro, com’è fatto?

Non ho mai apprezzato il mister come persona, ma gli ho dato fiducia come allenatore. Una delle prime cose che ha fatto è stata andare a Superga, buono. Nelle tante interviste che ha rilasciato, ho trovato fuori posto i toni boriosi, ma ho anche pensato che forse è quello, il suo modo di essere Toro, un altro non ce l’ha. L’importante è che sia autentico.

Il mister, fa la differenza?

Guardando il Pescara, si direbbe di sì.

Davvero tre allenamenti possono cambiare una squadra reduce da un 3 a 5 (col Toro) e da un 2 a 6 (con la Lazio), al punto da guadagnare una vittoria 5 a 0 (col povero Genoa)?

Certo parliamo di Zeman, un allenatore non comune. E prima che un allenatore, un uomo, non comune, capace di sovvertire il sistema Moggi dell’era Lippi-doping e pronto a pagarne il prezzo: smettere di allenare in Italia.

Mi è sorto un dubbio: i giocatori del Pescara giocavano contro Oddo?

E poi un secondo: Oddo li schierava con un modulo talmente avverso alle loro caratteristiche che è bastato cambiare tattica di gioco, per migliorare?

E subito il terzo: entrare nel paese di Zemanlandia è così galvanizzante, è così progetto-calcio, che lo stesso giocatore, a parità di condizioni, rende di più?

Ed infine il quarto dubbio: il 5 a 0, in realtà, è solo merito del Genoa che boom!, è scoppiato?

Chissà se Miha si gratta la testa con gli stessi dubbi a stuzzicare la mente. Chissà se lui delle risposte ce le ha. Risposte adatte a controbattere le domande che ci porranno la Fiorentina, il Napoli, l’Inter e l’altro pezzo, quello minuscolo, di Torino.

Risposte inserite in un discorso di ampio respiro: il progetto-Toro.

La mia unica certezza è quella di avere dubbi. Almeno quattro, dubbi, i gol beccati a Roma.