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columnist
Il successo nella pratica sportiva non consiste tanto nell’avere poche frustrazioni o nel non averne affatto, quanto nel superarle vittoriosamente. Ogni guaio e ogni dolore sono una prova per il nostro corpo, per la nostra personalità e per la nostra capacità di risvegliare le energie sopite dentro di noi.
Il termine “frustrazione” viene definito dal dizionario di psicologia di Galimberti (1994) come “una situazione interna o esterna che non consente di conseguire un soddisfacimento o di raggiungere uno scopo”. La frustrazione può provocare due effetti: un aumento del livello generale di motivazione, o una reazione di fuga e di allontanamento (ciò che ha fatto ieri Mazzarri dopo l’espulsione di Zaza dando alla squadra un segnale di resa).
E’ evidente che gli sportivi di successo utilizzano la frustrazione per migliorare, alzando il livello della motivazione e, quindi, dell’impegno, in termini sia quantitativi sia qualitativi. Al contrario, gli sportivi che hanno tendenze verso l’insuccesso la utilizzano per stare male, crollare o addirittura fuggire; più prosaicamente, si dice di queste persone che hanno tendenze masochistiche.
Un famoso proverbio cinese recita: “Sette volte cadere, otto volte rialzarsi: questa è la via del successo”. I fallimenti obbligano a creare qualcosa di nuovo, stimolano la creatività a cercare nuove soluzioni. Tutte le volte che un atleta è sconfitto - se è un atleta vincente -, analizza sistematicamente l’allenamento che ha svolto, la dieta che ha seguito, il tipo di pensieri, “credenze” e strategie che aveva in mente quando è sceso in campo. L’atleta vincente quando trova delle carenze cerca nuove soluzioni; a dispetto di ogni contrarietà il campione sa tenere duro e anche nei momenti più neri resta fedele a sé stesso, conserva la fiducia nella vittoria e nelle sue capacità di superare limiti e ostacoli (Avete presente un certo Pantani? O Messi liquidato come nano dai medici che lo visitarono quando aveva dieci anni? O Tiger Woods tornato ieri al trionfo dopo un decennio di operazioni alla schiena?)
Il nostro amato Toro non è né un atleta vincente né un atleta capace di trasformare la frustrazione in voglia cieca di vincere. Gli fanno da grancassa i media, tutti uniti nel fornirgli alibi per potersi nascondere dietro le celeberrime foglie di fico degli arbitraggi negativi, del destino avverso e del complotto del Nuovo ordine mondiale.
Proviamo ad analizzare la situazione a 360 gradi: ieri l’arbitraggio di Irrati è stato scandaloso dal primo all’ultimo secondo. Non è la prima volta che accade; quest’anno siamo stati gravemente danneggiati dalla classe arbitrale sin dalla prima giornata. Con un andamento regolare del campionato, a quest’ora, saremmo in piena corsa per la Champions League. E’ giusto dichiararlo a gran voce, sia per rispetto a noi stessi sia per dare a Cesare (società e mister) quel che è di Cesare. Tutto chiaro, tutto giusto, ma piangere non serve a nulla e non fa altro che rinviare ulteriormente quell’agognato salto di qualità che invochiamo da più di dieci anni e continua a non arrivare. Occorre focalizzarsi sui nostri limiti e chiedersi cosa fare di nuovo e di diverso per intraprendere una strada che, finalmente, ci possa dare qualche soddisfazione. Occorre un realismo ai limiti con la spietatezza per far sì che non si ripetano sempre gli stessi errori. Il grande problema della giornata di ieri è che il vergognoso Irrati, con la complicità post partita dei media, ha fatto passare in secondo piano il fatto che, dopo la partita soporifera di Parma, abbiamo nuovamente giocato un primo tempo caratterizzato da paura e mancanza di idee in cui l’unica grande occasione l’ha avuta il Cagliari con la traversa di Ionita (tra Parma e Cagliari abbiamo disputato due partite decisive con una mollezza inspiegabile vista l’importanza della posta in palio); Irrati ha fatto dimenticare che dopo il gol del vantaggio ci siamo fatti prendere dal panico, abbiamo abbassato il baricentro di trenta metri come avessimo segnato al Barcellona e invece di gestire il risultato e cercare il raddoppio abbiamo dimostrato tutta la nostra inadeguatezza (le reazioni di Zaza e Mazzarri sono da Borgorosso Football Club); ha fatto passare in secondo piano il fatto che se contro tre squadre mediocri come Bologna, Parma e Cagliari fai 4 punti su 18 è giusto che durante la settimana stai a casa a guardare la tivù invece di andare in giro per l’Europa; ha fatto passare in secondo piano i quindici minuti finali giocati in parità numerica (gli ultimi due in superiorità); ha fatto passare in secondo piano che è molto difficile raggiungere gli obiettivi se non allestisci una rosa adeguata in estate e a gennaio rinunci addirittura a fare mercato e a sostituire i partenti.
Un’ultima cosa; la vergogna Irrati ha fatto sì che nessuno abbia notato come il Toro non sia mai in grado di risolvere una partita all’ultimo respiro; anche su questo dobbiamo interrogarci, saper vincere all’ultimo minuto è una qualità da vincenti (a noi capita spesso il contrario, il gol lo subiamo). Vincere all’ultimo secondo richiede cuore e testa connessi, richiede ferocia agonistica e lucidità, richiede una voglia famelica di portare a casa lo scalpo dell’avversario. Insomma, tutte qualità che non hanno nulla a che fare con la pavidità messa in campo ieri prima e dopo il gol, con l’esempio di un mister che prende e se ne va dopo un errore arbitrale, con l’incapacità di controllare lo stato d’animo manifestata dai giocatori (ieri è toccato a Zaza, ma non dimentichiamo che in un recente passato Ola Aina e Meité hanno avuto lo stesso comportamento).
Le possibilità di andare in Europa non sono ancora tramontate; giochiamoci al meglio quelle che ci restano, protestiamo pure contro gli arbitri, ma società e mister non dimentichino di fare la cosa più importante: mettere il mirino su se stessi e cercare soluzioni in vista della prossima stagione. Come dicevamo la scorsa settimana, la rosa snella è una sciocchezza colossale, alla squadra manca qualità, la conduzione tecnica è intrisa di paura e, sul piano della mentalità vincente e della psicologia di gruppo, non si sta facendo alcun passo avanti.
Marco Cassardo, esperto in psicologia dello sport e mental coach professionista. E’ l’autore di “Belli e dannati”, best seller della letteratura granata.
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