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“I miti devono essere sempre e costantemente alimentati. I miti si alimentano con altre storie, non bastano le cerimonie, bisogna sempre raccontare ciò che è successo con varianti che fanno percepire il passato come attualità”.
Aldo Grasso
Un vecchio ritaglio di giornale rimasto a lungo ad ingiallire nel libro in dono con l’abbonamento per il campionato ‘82-83, quello del derby dei 3 goal ai gobbi in tre minuti. La foto di un calciatore nell’atto di crossare, snello, cioè magro com’erano i giocatori di una volta, in bello stile, il volto teso, la lingua tra i denti, all’Arena di Milano. Ambrosiana-Juventus.
L’articolo, firmato da Gian Paolo Ormezzano, parla di Pietro (o Piero) Ferraris II, “Il Lupo”, “nato ala come un altro nasce cinese”. Nato a Vercelli nel 1912, a nove anni giocava nella squadra dell’Istituto Tecnico Cavour, con Silvio Piola e Teobaldo Depetrini. Col primo sarebbero stati Campioni del Mondo a Parigi nel 1938; il secondo, in maglia bianconera, sarebbe stato capitano e terribile francobollatore di Capitan Valentino nei derby del Secondo Dopoguerra. Nel 1925, a tredici anni, tutti e tre insieme nella Veloces del Signor Bernasconi. Il neonato club raggiunse al debutto la finale del campionato nazionale “Boys”, persa per 3-1 contro i pari età della Roma. Per il campionato 1928, la Veloces fu inglobata dal Settore giovanile della Pro Vercelli e Ferraris II vinse il campionato Allievi al fianco di Piola, Depetrini, Ermes Borsetti e Luigi Caligaris.
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I suoi concittadini e primi tifosi vercellesi lo chiamano “Saetta”.
Esordiente a diciassette anni nella Pro Vercelli. Dopo tre stagioni, nell’estate del 1932 il presidente dell’Ambrosiana Pozzani lo richiede; ma il primo dirigente della Pro Vercelli, Ressia, viste le difficoltà economiche del club, chiede per Ferraris 220 mila lire, “con quella cifra ci si sarebbe potuti comprare un palazzo”, ricorderà anni dopo lo stesso Pietro. Off-limits. Risultato? Il suo cartellino diventa di proprietà del Napoli dell’ingegner Savarese.
Ferraris II giocò al Sud tre campionati. Tornò a casa per la morte del padre e non se la sentì più di stare lontano da Vercelli. In seguito al provvedimento della Federazione, dovette rimanere fermo un anno, quindi passò a vestire la casacca dell’Ambrosiana Inter con cui vinse due volte il tricolore e una Coppa Italia (1938, 2-1 in finale sul Novara con un suo goal) al fianco di Giuseppe Meazza e di Giovanni Ferrari. Furono i tifosi dell’Ambrosiana all’Arena di Milano a dargli il soprannome di “Lupo”, esaltati dalle discese sulla fascia, dai dribbling secchi, dalle geometrie essenziali di quell’ala famelica, “svelta e altruista”, con in più“nei piedi la castagna da rete. Non appena l’ attacco è alimentato da palloni rasoterra, si mette in luce la guizzante tecnica di palleggio e la prontezza di scatto e di tiro che fa dell’eccelso Ferraris e compagni un’ autentica macchina da rete” (M. Zappa, Gazzetta dello Sport, gennaio 1940). Era stato l’allenatore Armando Castellazzi, all’inizio del campionato 1937-1938, ad avanzarne il raggio d’azione di una decina di metri, facendone un’ala micidiale.
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All’inizio di quel campionato, in particolare, è sempre lui a segnare la rete che sblocca i risultati: a Lucca, nel derby, contro la Juventus, contro il Liguria (doppietta) e contro le romane. E i goal del successo esterno 1-3 a Firenze, 6 febbraio 1938, sono tutti suoi!
Per dare ancora un’idea più precisa di ciò che Ferraris II portò in dote al Torino, in termini di blasone, esperienza, maturità, carisma, al momento del suo ingaggio, alcuni dati e qualche considerazione in più. Campione del Mondo 1938, due volte Campione d’Italia con l’Ambrosiana-Inter; nel campionato 1937-38, con 14 goal, risulta il secondo cannoniere della squadra dietro a Meazza (!) che ne segna 20, su 57 segnature totali della compagine meneghina.
Gioca da ala pura (quelli che oggi parlano di “esterno alto”, che non sa dribblare, mi fanno ridere), è veloce, e a sostenerlo nei contrasti è un fisico armonico e robusto. Se i cross dal fondo sono la specialità della casa, è un giocatore che comunque, se c’è d’andare al tiro, non si fa pregare. In più possiede una caratteristica che in quegli anni è assai preziosa: bada all’ essenziale. Non si trastulla con il pallone tra i piedi, non cede alla vanità del colpo ad effetto. È bravo a smarcarsi, a dettare il passaggio al compagno, a scattare sulla fascia, deciso e lineare.
Al termine della stagione 1940-41 passa al Torino, che contribuisce perentoriamente a rendere Grande; titolare all’ala sinistra per tre scudetti e un’altra Coppa Italia, alternandosi con Menti e con Ossola, che giocò una partita appena più di lui nel quarto scudetto granata, 1947-48, l’apoteosi di quell’attacco che arrivò a segnare 125 reti! Pensa te che squadra. Maroso aveva tredici anni meno di Ferraris II, una proiezione nel futuro supportata da un’esperienza di classe mondiale.
Forse il ricordo più coinvolgente, colmo di ammirazione, è stato quello di un allora quindicenne tifoso avversario, il futuro economista Piero Barucci, fiorentino doc: “Ma ho un’immagine…vidi il Torino un anno prima di Superga (in effetti due anni prima, si tratta del 25 maggio 1947, tra l’altro Ferraris II segnò il primo goal). Vennero questi giocatori e non ci dettero una lezione, ma suonarono una sinfonia. Vinsero 4-0. Mi apparvero camminare su questo terreno come se fossero degli arcangeli, non dei giocatori. Ferraris II, che dopo pochi mesi passò dal Torino al Novara, che a trentasei anni pensava di lasciare il football, sembrava un olimpionico dello sprint. Non so perché giocasse quella sera a destra, forse perché Menti (idolo anche dei fiorentini) non giocò quel giorno. Ricordo però che giocava a destra e che ci andava sempre via”.
Scambio, fuga, cross…alto e lungo per l’arrivo del mediano Grezar da metà campo, teso a mezza altezza per Gabetto, diagonale rasoterra all’indietro per le mezzali.
“Le sue galoppate lungo la linea del fallo laterale erano veramente qualcosa d’impressionante”, raccontava Silvio Piola.
Prendendo a prestito il titolo di un film del 1972 diretto da Claude Chabrol, con Jean-Paul Belmondo, Mia Farrow e Laura Antonelli, “Trappola per un lupo”, possiamo ben dire che non c’era trappola in grado di fermare “Il Lupo” Ferraris II. Una tempra d’acciaio, da buon vercellese, non le mandava a dire. Mio zio Ezio, che poté assistere ad una partita di Quelli Là proprio a bordo campo, ricordava come Piero Ferraris II avesse duramente apostrofato Valentino Mazzola che tardava a servirlo su un suo scatto perentorio all’ala.
Roberto Copernico, commerciante in abbigliamento di alta classe e fine tecnico per vocazione, raccontava: “Una volta Ferraris II aveva bisogno di ripartire da Genova, dove il Torino andava ad affrontare i rossoblu con un certo treno del primo pomeriggio, per tornare a Vercelli. Si presenta a Erbstein -Se io segno due goal nel primo tempo, lei mi lascia andar via nell’intervallo?-, allora non c’erano sostituzioni. Erbstein accetta. Il Torino, a Marassi, stringe il Genoa nella sua area di rigore, Loik, Mazzola, Ossola, Gabetto cercano soltanto Ferraris II per il tiro e, anche se solo davanti al portiere, non battono a rete. Fino a che Ferraris segna. Se ne va prima della fine dell’incontro. Il Torino, in dieci, vince 3-0 anche con goal di Gabetto…”.
Il passaggio al Novara lo salvò da Superga. Custodì con rispetto e riserbo (giocò la partita nel Torino Simbolo per commemorarli) il ricordo dei suoi compagni impareggiabili, con i quali l’11 maggio 1947, in azzurro, aveva battuto l’Ungheria con la fascia di capitano, con 10 granata in campo.
Campione del Mondo al Mondiale di Parigi nel 1938, in azzurro aveva giocato il 5 giugno di quell’anno al Vélodrome di Marsiglia in una difficilissima partita contro la Norvegia. Suo il suo primo goal azzurro dopo 2’. Il tabellino recita 2-1 per l’Italia (la seconda rete dell’altro grande vercellese Piola), ma non parla dell’enorme merito del portiere Aldo Olivieri che salvò letteralmente l’Italia.
Nel 1950 chiuse la carriera a Novara in Serie A, a 38 anni, dopo 533 match , segnando all’ultima partita al Palermo il goal della permanenza nella massima divisione.
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Curiosità: Ferraris II, con quel numero ordinale a distinguerlo da altri Ferraris, Mario I, manco suo parente agli esordi nella Pro Vercelli, e il romanista Attilio IV mediano azzurro nel 1934.
La voce di mio zio, che aveva visto giocare Quelli Là, assumeva una vibrazione diversa, infine s’incrinava, quando mi raccontava di Ferraris II.
A mia volta, penso di avere assistito ad un’azione analoga, a distanza di trent’anni, quando vidi Paolino Pulici scattare per 50 metri sull’out sinistro, in prossimità della linea bianca. Al “Dino Manuzzi” di Cesena, dritto per dritto, da centometrista. Arrivò sulla linea di fondo, centrò basso rasoterra per il terzo goal di Graziani. Ah, Paolin! Ah, le vene granata!
Gianni Ponta, chimico, ha lavorato in una multinazionale, vissuto molti anni all’estero. Tuttavia, non ha mai mancato di seguire il “suo” Torino, squadra del cuore, fondativa del calcio italiano. Tra l’altro, ha scoperto che Ezio Loik, mezzala del Grande Torino, aveva avviato un’attività proprio nell’ambito dell’azienda in cui Gianni molti anni dopo sarebbe stato assunto.
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