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columnist
Domenica sera, sul primo quarto d’ora granata si annuvola una pioggia battuta giù a martellate, buona per riempire una piscina al Grande Torino. Rincon calcia un pallone che non si sposta e l’arbitro si fa lo scrupolo che qualche giocatore possa non saper nuotare – sospende.
E passano cinque, poi dieci, venti minuti, ma niente, i riflettori continuano a far brillare la cascata d’acqua che, a pieno regime, annega il campo. L’arbitro fissa l’ora della verità: ci si rivede alle 21.35.
E nel frattempo che si fa?
Si sta accampati sugli spalti così, belli fradici. Qualcuno se ne va. La temperatura che scende, l’ora a cui devi timbrare la cartolina domani mattina che si avvicina, e la Maratona che canta. Canta sempre, tanto che quando l’arbitro e i capitani fanno rimbalzare il pallone e dicono ok si gioca, la Maratona non ha bisogno di un secondo riscaldamento come i giocatori, è ancora bella calda.
Ma sì, in fondo anche il campo tiene bene, gli è caduta dentro l’acqua per farne una risaia, ma la bonifica è immediata. Cairo, conosce e cura le sue zolle, che i suoi detrattori glielo riconoscano. E si ricomincia!
Sì…si ricomincia, ma non proprio col passo di corsa – soprattutto mentale – di prima.
La Spal mette la sua ottima forma fisica al servizio dell’ambizione di rimanere lassù, tra i primi in classifica.
Il Toro…be’, iniziamo col dire che il Toro vince.
Poi si può aggiungere che la vittoria è stata opaca, non ha abbagliato di bellezza nessuno, si è visto solo il bel fulmine lanciato da N’Koulou, che usa alla perfezione la capoccia, prima e durante il gol.
Ma si può dire che pure il Parma ha alitato sulla partita e opacizzato un po’ la vittoria della grande (di budget e risultati, grande). È che noi la vittoria opaca la viviamo subito col senso di colpa granata: e se la prossima volta non finisse così? Eh, ci attrezzeremo.
Si può dire che se Quagliarella ha segnato di tacco, anche Iago l’ha usato bene, il tacco.
Si può dire che la Spal ha giocato in undici perché affrontava il Toro, ma Schiattarella, che è cresciuto nelle nostre giovanili, avrebbe dovuto salutare tutti con la manina e tornarsene negli spogliatoi, a meditare su cosa si possa o meno fare a gioco fermo.
Si può dire che il cuore Toro a centrocampo perde ancora qualche colpo con quei passaggi in più, che servono solo ad aspettare l’avversario, e a ripartire insieme. Non è il caso di volersi così bene.
Si può dire che è vero, un gol vale uno, sia che il pallone arrivi da una corsa in contropiede che da un calcio piazzato, o da una manovra organizzata della mediana. Ma è quest’ultimo che ti fa andare in fibrillazione, e la scossa elettrica di quel gol non te la togli più di dosso, continui a tremare. Avremmo potuto alimentare i contatori elettrici di San Siro, nel secondo tempo contro l’Inter.
Prendiamo atto che – come direbbe Boskov – è meglio lamentarsi per una vittoria, che per una sconfitta.
Domenica sera posso dire di essermi inzuppata, di aver beccato il raffreddore e il mal di gola, ma ne è valsa la pena, sapevo perché andavo a Torino sotto il nubifragio: andavo a veder vincere il Toro, eravamo d’accordo che andasse così.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
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