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Platini, la VAR e la verità

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Loquor / Torna la rubrica di Anthony Weatherill: "C’è qualcosa che è sempre risultata indecifrabile della personalità di Michel Platini"
Anthony Weatherill

“Aveva la coscienza pulita. Mai usata”.

Stanislaw Jerzy Lec

Nell’intervista rilasciata all’Equipe qualche giorno orsono, Michel Platini si è scagliato contro il Var reo, a suo dire, di “non aver portato maggiore giustizia nel mondo del calcio. Il Var è un video bricolage: la tecnologia ucciderà il calcio”. L’icona del calcio transalpino non è nuovo ad attacchi furenti alla tecnologia e alla strenua difesa della purezza del gioco del calcio, ma ai più non deve essere sfuggito questo suo riaffacciarsi all’opinione pubblica dopo essere stato prosciolto dalle accuse di corruzione dalla magistratura svizzera. Accuse per cui sta scontando una squalifica di quattro anni dal mondo del calcio. Dalle parole ricavate dall’intervista al quotidiano sportivo francese, non esce un quadro di grande fiducia verso il mondo dei dirigenti arbitrali, descritto come favorevole al Var “perché si proteggono le spalle e perché stanno sempre dalla parte di chi li foraggia”.

C’è qualcosa che è sempre risultata indecifrabile della personalità di Michel Platini, qualcosa che si perde nei meandri di un carattere altezzoso, malinconico, ironico e ai limiti di una classe cristallina sovente declinante in spocchia. A Tratti l’ex eroe di Francia appare più uscito dalla penna e dai demoni di Baudelaire, più che dall’amore di una coppia di emigranti italiani di seconda generazione. Ma poi, quando lo si sente parlare dei suoi genitori e quando ti soffermi sulle origini italiane della donna con cui ha condiviso vita e figli, si capisce come ampi tratti del dna italiano abbiano vinto contro l’educazione culturale francese. Platini è il classico esempio di come sia diventato molto difficile, nel mondo contemporaneo, mettere a fuoco la verità. Te lo ritrovi indagato e condannato per corruzione, in combutta con il suo ex amico poi diventato acerrimo nemico Joseph Blatter, dopo essere stato paladino delle Federazioni europee minori e fautore del “Fairplay Finanziario”, a tutela di quel gioco del calcio che, a suo dire, è “sempre stato tutta la sua vita”. Roba da far girare la testa persino ai suoi fans più accaniti, prostrati anche da dichiarazioni del tipo “abbiamo truccato i sorteggi del Campionato del Mondo del 1998, per favorire una finale tra Francia e Germania, l’epilogo sognato da tutti. Ed è inutile che vi stupiate, perché ogni comitato organizzatore fa così”.

Sovente sembrano sfuggirgli le gravità di alcune sue dichiarazioni e di alcune sue azioni, come quando esultò come un folletto impazzito dopo il rigore decisivo segnato al Liverpool nella tragica finale di Coppa dei Campioni dell’Heysel. “Ma così fan tutti”, pare rispondere alle giuste rimostranze, con quel suo sguardo aristocratico scampato alla ghigliottina della Rivoluzione Francese. Continuando nella filosofia del “così fan tutti”, al ex calciatore francese non deve essere apparso molto strano sistemare suo figlio Laurent alla Qatar Sports Investiment, proprio mentre i potenti signori del calcio, e Platini fra questi, decidevano di assegnare i mondiali del 2022 al piccolo e ricchissimo paese affacciato sul Golfo Persico. C’è sempre una smodata ricerca dell’impunità nell’azioni di un uomo che, ad un avvocato Agnelli stupito nel vederlo fumare nell’intervallo di una partita, rispose fermo che a correre doveva pensarci Bonini, “io sono Platini”.  E deve aver pensato a questo, quando ricevette l’accusa di corruzione per aver intascato dei soldi in nero da Blatter; deve aver ritenuto che lui, il grande Platini, non sarebbe mai stato toccato dalla giustizia degli uomini. Nell’apprendere la squalifica di quattro anni  comminatagli, il suo sguardo aristocratico deve aver assunto gli stessi contorni di incredulità che avevano accompagnato l’ascesa della regina Maria Antonietta sulla ghigliottina.

Ma poi succede sempre qualcosa in questo figlio della regione del Grand Est, che lo riporta a far ribaltare qualsiasi convincimento noi si sia fatto su di lui. In un trionfo quasi ossimorico, improvvisamente ricorda al suo interlocutore che “se Dio non mi avesse dato il pallone, sarei un salariato di basso livello”, e allora stai lì a chiederti cosa davvero passi per la testa ad un uomo che un giorno dichiara di dovere tutto alla Juventus, all’Avvocato Agnelli e a Boniperti, e un altro prende letteralmente a schiaffi metaforici uno dei più illustri eredi della casata Fiat:”l’esposto presentato all’Uefa per Calciopoli?Beh, Andrea Agnelli avrebbe fatto meglio a risparmiare i soldi del francobollo”. Non è mai stato prodigo di dichiarazioni, il figlio del ristoratore di origini piemontesi, ma quando si espone riesce ad offrire il destro persino a chi avrebbe tutti i motivi per tenerlo nel cuore. Dice di amare la Francia, ma nella sua lunga militanza nella nazionale transalpina era noto per non voler cantare “La Marsigliese”(“è un inno guerriero che non ha niente a che vedere con il gioco, con la gioia del calcio”). Di sicuro si sarebbe aspettato più appoggio dalla Francia nelle vicende dell’accusa per corruzione, ma quando la magistratura svizzera ha archiviato il procedimento che lo riguardava, è ai genitori che è andato il suo primo pensiero: “hanno sempre avuto fiducia in me erano convinti di trovarsi di fronte ad  un complotto”.

Certe sottigliezze affettive le trovi solo nella cultura italiana, ecco perché non deve sorprendere il ringraziamento ai genitori  fatti da Roberto Mancini  nella sua prima conferenza stampa da tecnico della nazionale italiana di calcio. Nel dna italiano di Michel Platini queste sottigliezze ci sono tutte ed è visibile la forza che gli conferiscono, con il concetto di famiglia assurto a certezza esistenziale. Ecco perché la voce di Wikipedia  associante  il suo nome ad un grave caso di corruzione, lo ferisce più per l’idea che se ne possono fare i suoi nipoti, che per le opinioni di tutto il mondo circostante, di cui  sembra non essersi curato mai tanto se non per farne oggetto della sua tagliente ironia. La famiglia che ha sempre creduto nelle sue capacità, anche quando tutti ritenevano il giovane Michel troppo basso e gracile per ritagliarsi una strada nel calcio. L’amore per la famiglia forse lo rende credibile quando dice che “le banche non possono continuare a prestare soldi al calcio milionario quando la gente muore di fame”, ma anche qui il tratto ossimorico incombe allorché ha favorito(in buona compagnia, per carità) la penetrazione ingiustificata della forza economica del Qatar nel mondo del calcio.

Qui esce fuori il suo tratto alla Baudelaire e della corrente letteraria dei “Parnassiani”, in un sorprendente(per chi ha fortissimamente voluto il fairplay finanziario) rigurgito verso l’impegno sociale e politico. Non esistono più l’utilità e la virtù, ma solo il fine a cui è piegata tutta la sua strategia di uomo e di sportivo. La figura di Platini fa riflettere su come oggi, in piena epoca massmediologica, sia sempre più difficile formarsi un’opinione vera sui fatti a cui assistiamo. Ogni cosa sembra essere tutto e il contrario di tutto, e ciò nello sport assume dei caratteri davvero dannosi. Lo sport, per sua stessa natura, ha bisogno di essere una rappresentazione della verità, scevro da qualsiasi ombra che possa corromperne il messaggio etico di cui è portatore. Lo sport, al contrario di quello che pensa Platini, non deve regalare solo gioia, ma dovrebbe sedimentare anche valori. Immersi come siamo in valanghe di notizie ormai siamo diventati incapaci di distinguere il vero dal falso. L’accettabile dal non accettabile. E’ impossibile sapere se le accuse di corruzione verso Platini siano giustificate o no(e temo che questa cosa non potrà mai essere accertata), ma  comportamenti opachi del dirigente francese ci sono stati.

Ciò, in un mondo perfetto, renderebbe impossibile una riammissione nel mondo della dirigenza del calcio mondiale. In un mondo perfetto non si “aggiustano” sorteggi al fine di preordinare una finale desiderata. In un mondo perfetto si sta attenti ai conflitti d’interessi e ai soldi che si ricevono. In un mondo perfetto la responsabilità è responsabilità. Caro Platini, in un mondo perfetto non si può dire, come tu hai detto, “che la gente ama il calcio perché non ha nessuna verità, nessuna legge”. In un mondo perfetto non è la tecnologia a rovinare il calcio, ma la mancanza di coscienza. E se non c’è la coscienza, cose ce ne facciamo della bellezza?

(ha collaborato Carmelo Pennisi)

 

Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.

 

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