“Il sogno è il gradino su cui salgo
Loquor
Qatar, Sampdoria e soft power
per avvicinarmi alle mie speranze”
Gabriele D’Annunzio
Crepuscolo dell’inverno del 2013, ad un anno da una nevicata da venti centimetri su Roma. In un tavolo nemmeno tanto appartato di un noto ristorante, Anthony Weatherill sta conversando amabilmente con due persone, una dai tratti mediorientali, l’altro dai connotati indiani che più indiani non si può. Sono passati pochi anni da quando l’uomo di affari di origini inglesi ha presentato il suo progetto della “Carta del Tifoso” al Ministero degli Interni, poi proseguita con una storia ancora oggi tormentata, anche se rimossa dal dibattito pubblico.
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Weatherill è alla ricerca di un modo per ristrutturare la sua idea della “Carta” e dare seguito al suo sogno di coinvolgere i tifosi nella vita dei club. Per fare questo ha bisogno di fondi e ha bisogno di appoggi importanti nel mondo dello sport internazionale. Ecco perché quel giorno del 2013 si trova seduto davanti a Tamim bin Hamad Al Thani, destinato a diventare l’ottavo emiro del Qatar. Tamim, da quando aveva poco più di vent’anni, ha ricevuto il mandato dalla sua famiglia di occuparsi di sport, al fine di farne un hub mondiale nel piccolo emirato. E il giovane Tamim comincia a darsi da fare, sotto l’ala protettiva di Sheika Mozah bin Nasser, sua madre, che sull’arte e la formazione culturale ha puntato molte fiches dell’immenso patrimonio del fondo sovrano qatarino; e nella formazione culturale a buon diritto appartiene anche lo sport: ma ha bisogno di un uomo per portare avanti anche questo aspetto della sua visione, e quell’uomo è Tamim, il figlio prediletto, colui che farà mettere, in modo del tutto inaspettato, sul trono del Qatar al posto del marito Hamad.
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Sheika Mozah è laureata in sociologia, e più di ogni altro è in grado di capire cosa conterà in futuro nella vita delle classi sociali nel suo complesso, a prescindere dal loro reddito e dal loro ruolo politico: si sta andando verso una società globale dell’intrattenimento, sempre più immersa nella disintermediazione e sempre più passiva (si è davanti ad un vero ossimoro). L’indiano guarda insistentemente l’orologio da polso, ha una fila di rappresentanti delle più grandi e importanti aziende italiane ad attenderlo in qualche parte del pianeta capitolino; l’Italia è ancora stordita e traumatizzata dall’inizio di una delle più gravi economiche e finanziarie della sua storia, e i suoi asset sono alla ricerca disperata di risorse per continuare a sperare in un futuro. L’indiano rappresenta la personificazione della sostituzione dello “zio d’America” con lo “zio d’Arabia”, ed è più desiderato di una star di Hollywood e di una top model.
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Ma gli italiani si illudono (è capitato spesso nella nostra storia), vedono i soldi ma non percepiscono nemmeno lontanamente cosa hanno davanti, non riescono ad afferrarne il disegno, e per questo sono impossibilitati nell’entrare nella testa di un arabo e di un mussulmano. Dovrebbero studiare la figura di Thomas Edward Lawrence, la presa di Aqaba, e il sogno di Feysal di una nazione araba unita. Ma è troppo complicato per delle menti convinte come il mondo assomigli all’Italia stanca e svogliata, abituata a confondere questo stato catatonico con una sopravvenuta modernità. È l’algoritmo dell’italiano contemporaneo: non si preoccupa di conoscere i mediorientali, ma vorrebbe da loro essere finanziato o farci affari.
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Mentre l’indiano si congeda, Tamim sbuffa, si capisce come la mente si sia persa nel turbinio di qualche pensiero che lo tormenta. Ci vogliono pochi attimi per capirne il motivo, anche perché davanti ha il nipote acquisito di Sir Matt Busby, considerato a buon diritto fondatore del mito del Manchester United. Non c’è arabo senza un sogno onirico dentro di sé, e nemmeno l’Islam è riuscito a rompere il labirinto esistenziale da “Le Mille e una Notte” con cui ogni fanciullo dall’altra parte del Mediterraneo cresce. In questo contesto di sinapsi dell’anima eternamente insoddisfatte, Tamim confida a Weatherill come abbia dovuto accettare, per ragion di Stato, l’acquisizione del Paris Saint Germain, ma che è prendere possesso del Manchester United, la squadra per cui tifa sin da bambino, il vero sogno sportivo della sua vita. Ma poi quell’incontro all’Eliseo con Nicolas Sarkozy (ancora oggi coperto dal segreto di Stato), la necessità di avere i voti utili per ottenere l’organizzazione dei mondiali di calcio del 2022, l’ambizione transalpina di avere un respiro in medio oriente che si incastra con il ruolo centrale desiderato dal Qatar nel mondo mussulmano, il “dare” e “avere” che ottunde quasi tutte le azioni della vita e il Presidente francese che, tra le varie postille del mega accordo raggiunto nel famoso pranzo all’Eliseo del 2010, ci mette anche la voglia di grandeur per il Paris Saint Germain: l’emirato se lo deve comprare, è parte del “pacchetto” mondiali.
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Il sogno di acquistare lo United svanisce. Concluso l’accordo, a Tamim è come se avessero sfilato improvvisamente la sedia da sotto il sedere. Per il figlio di Sheika Mozah un periodo strano questo inverno 2013, dove ha dovuto ingoiare la burla della rivista satirica “Chaiers du Football”, abile nell’inventarsi di sana pianta l’idea di una SuperLeague(sarà la prima di una lunga serie) e di appiopparla a lui, facendogli fare anche un po’ la figura del ricco scemo. Non ha tempo di replicare, Tamim, perché Oliver Kay, autorevole editorialista di “The Times”, casca in pieno della trappola dei perfidi francesi e verga un editoriale dal titolo: “gli sceicchi sconvolgono il mondo del calcio”. I giornali spesso cadono nella rete delle suggestioni, seguiti a ruota anche da alcuni studi di ricercatori universitari, in fondo bisogna pur sempre giustificare i propri stipendi e i propri ruoli.
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Allora capita di confondere lo “sport washing” e il “nation branding” con il “soft power”, dimenticando di farsi una domanda fondamentale: qui prodest? Già, a cosa gioverebbe, al Qatar, inseguire il “soft power” nel mondo occidentale, nella spasmodica ricerca di fiducia, reputazione, credibilità? Risposta logica: non servirebbe a niente. Con lo sport, se non si sono fatti bene i compiti a casa, si ottiene esattamente l’effetto contrario: dalla grande esposizione alla luce del sole che ne deriverebbe, l’effetto sarebbe da boomerang, altro che “soft power”. Ma Marco Bellinazzo del “Sole24ore” non ci sta, e si inerpica in una analisi degna dei migliori romanzi di Robert Ludlum (quelli con trame leste a far partire una pallottola dal Canada, sparata da un killer dalla Cina. Dite che è impossibile? Lo penso anch’io), dove Aqaba diventa improvvisamente la Sampdoria: “il City Group ha preso il Palermo e il Qatar può rispondere con la Sampdoria… sarebbe il primo approdo nel nostro calcio”. Insomma si sta parlando di beghe tra cugini (lo sceicco Mansur, proprietario del City Group, è il cugino del nostro Tamim), e giustamente meglio risolverle nel campetto sotto casa affettuosamente chiamato “Italia”, in una sfida tra Palermo e Sampdoria che tremare il mondo fa.
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La cosa al giornalista del “Sole” non sembra paradossale nemmeno un po’, anche perché munito di un codazzo di pubblicazioni apocalittiche in curriculum da far invidia a Noè alla vigilia del noto “Diluvio”. Si scorra un suo anatema: “il calcio si è tramutato in una sorta di faglia democratica messa in pericolo da una deriva oligarchica”. Prendo questa frase (a mio parere condivisibile) e la sovrappongo ad una analisi del giornalista napoletano, in relazione alla Samp, fatta qualche giorno fa: “L’ingresso della Qatar Sports Investment nella Sampdoria sarebbe una buona notizia per i suoi tifosi, una garanzia di solidità: si volta pagina in maniera radicale”. E la “la faglia democratica messa in pericolo da una deriva democratica” che fine ha fatto? Mistero. Niente in confronto, bisogna ammetterlo, al “Messaggero” che nel 2016, in occasione di una visita ufficiale in Italia di Tamim ormai diventato Emiro, che riuscì a mettere un virgolettato in cui il regnate qatarino asseriva di essere tifoso della Lazio. Le suggestioni dello “Zio d’Arabia” hanno i loro risvolti comici. Le cose in realtà sono molto più serie di un improbabile Tamim tifoso laziale, e passano anche da quell’Egitto a cui da sempre è legato l’attuale emiro qatarino, e dove probabilmente le idee della “Fratellanza Mussulmana” devono averlo contaminato non poco, tanto da dare rifugio ai suoi leader nell’emirato.
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“La comunità mussulmana deve essere riportata alla sua forma originaria”, è l’aforisma più importante e significativo scritto da Sayyd Qutb, fondatore del movimento tra i più radicali dell’Islam, e allora un legittimo sospetto viene. Forse siamo allo strumento di distrazione di massa, forse il finanziare lo sport, l’arte, la cultura, il cinema occidentale è solo un modo di non farci notare sul serio quanto sta accadendo nel mondo arabo. In battaglia si chiamerebbe “diversivo”. Significative sono alcune parole di una delle rare interviste concesse da Sheika Mozah: “i miei modelli sono mio padre, mio marito e il presidente egiziano Nasser”. Se i primi due riferimenti sono un dovere per una donna immersa in un contesto islamico, il terzo è una scelta, perché Nasser è stato colui che ha realizzato la nazionalizzazione del “Canale di Suez”, emblema come nessuna altra cosa dell’anticolonialismo e del revanscismo arabo. Barclays, Wolkswagen, Lagardere. HSBC, Stock Exchange, Credit Suisse, Airbus Group, Walt Disney, queste sono alcune delle società detenute in quota parte dalla Qatar Investment Authority.
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Davvero si può credere che Tamim abbia bisogno di Braga e Sampdoria per ottenere del “soft power”? Ci sono ragioni inconfessabili per cui ciò sta avvenendo (si pensi anche al City Group), e l’occidente non è la festa alla quale gli arabi vogliono partecipare, anche se stanno facendo di tutto per farcelo credere. La geopolitica si gioca in tempi lunghi, e i tempi di Allah non sono i tempi degli uomini. Non sarà lo “Zio d’Arabia” a risolvere i problemi del calcio italiano, il Qatar sta cantando una canzone che non riusciamo a capire, e Tamim è solo una voce del coro. Potrebbe essere tardi quando dalle nostre parti ne prenderemo atto.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino. Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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