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columnist
C’è chi almeno una volta nella vita va alla Mecca.
E poi c’è chi va a Superga. Magari più di una volta, magari ogni anno a maggio, magari tutte le volte che può.
Perché? Perché da Superga si vede il mondo. O almeno uno scorcio bello, di mondo.
Devi avere almeno 68 anni, oggi, per aver vissuto quel momento, nel ’49. E per ricordartelo devi averne almeno 5 o 6 di più. Allora sì, puoi raccontare come ha fatto, tuo padre, a spiegarti che la notte era stata la più buia di sempre e se lo era portato via, il Grande Torino. E magari sei stato ai funerali, hai visto passare i muri di fiori e ti sei chiesto se non sarebbe stato meglio riempirle di palloni, le bare, così tutti i bambini avrebbero potuto prenderli a calci e farli rimbalzare in cielo. E la domenica dopo hai visto quelle maglie dall’uno all’undici degli Invincibili indossate dalla Primavera, nessun cognome sulle spalle, un’eredità di macigni da far correre. Da accettare.
Perché se hai quell’età lì, allora il Grande Torino lo hai visto fare magie al Filadelfia. L’imponente portone rosso col Toro in rilievo, lo hai visto spalancarsi quando non aveva ruggine. Hai visto con i tuoi occhi, e non con quelli degli altri, la più grande squadra italiana di sempre. Che a guardarli oggi nei filmati di repertorio, il Capitano e i suoi ragazzi, non sembrano neanche poi così giovani, perché il Grande Torino ha sempre avuto poco a che spartire col tempo. Lo ha superato, il tempo.
“Non credevamo di amarli tanto” titolava un giornale in quei giorni di maggio del ‘49. Perché forse è così, ti devi allontanare dalle cose per vederne davvero le dimensioni e inserirle in un contesto più ampio, che le sappia spiegare. La guerra, la fame, l’umiliazione e, nonostante tutto, il Grande Torino.
Il Capitano Valentino Mazzola e i suoi ragazzi. Tra noi e Loro si sono ammassati anni e poi decenni, è cambiato il secolo, ma siamo sempre più consapevoli di amarli tanto. Ogni 4 maggio, un po’ di più.
Nel Filadelfia giocava un Toro divertente e sorprendente, quello del quarto d’ora granata.
E a chi ci accusa di vivere nel passato possiamo sorridergli in faccia, neanche il caso di rispondere. Non capirebbe mai quanto sia attuale e spendibile solo nel presente, il quarto d’ora granata. Te lo puoi giocare per conquistare una ragazza, per proporre una soluzione in ufficio, per vincere la partita di calcetto.
E se porti tuo figlio a Superga non è perché sei un nostalgico, ma perché sai di potergli fare un formidabile regalo: intensificargli la vita di un quarto d’ora, ogni volta che ne avrà bisogno. Il quarto d’ora granata.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
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