“Il calcio è dubbio costante”
columnist
Ritroviamo il calcio
Osvaldo Soriano
Anni fa un amico che fungeva da consulente di Halil Turgut Ozal, amato Primo Ministro turco nel corso dei primi anni ‘90, guidò un’importante società italiana nell’aggiudicarsi un appalto governativo interessante e gravido di prospettive. Sembravano tutti felici e contenti di quella operazione, che però all’improvviso si bloccò e deflagrò. Cosa era successo? L’importante società italiana, di cui per ovvie ragioni non farò il nome, si era tirata indietro e aveva rinunciato all’appalto. L’amico consulente del governo turco non aveva mai visto niente del genere; incredibilmente una società aveva rinunciato ad un lavoro dal valore economico e politico considerevole. Incuriosito e un po’ indispettito, chiese delucidazioni ufficiose, quindi in genere le più veritiere, ai vertici dell’importante società italiana. La risposta ufficiosa fu sorprendente e scioccante: “Non abbiamo trovato un membro del governo da corrompere, e quindi da portare come arbitro parziale dalla parte nostra. Questo non ci ha fatto sentire sicuri, e abbiamo stabilito come fosse meglio rinunciare. Ci dispiace molto, ma noi preferiamo lavorare in totale sicurezza”.
Lascio alla fantasia del lettore il definire tutti i contorni e i contenuti di questa sicurezza prefigurata, perché altro in questa sede mi interessa sottolineare, ovverossia il monito ricevuto da tale vicenda. Il mondo, è quasi banale sottolinearlo, è realtà complessa, la quale gran parte della sua complessità sovente rimane nascosta allo sguardo e al giudizio della pubblica opinione. Il metodo utilizzato dall’ufficialità, ovvero dal mondo visibile, generalmente è quello della “Finestra di Overton”, un sistema di comunicazione per stravolgere, in modo occulto, la percezione della pubblica opinione verso un determinato argomento. Non si tratta di lavaggio del cervello puro e semplice, ma di tecniche sottili, efficaci e coerenti atte a portare il dibattito su quel determinato argomento fino al cuore della società, per fare sì che il cittadino comune si appropri di una certa idea e la faccia sua. Ovviamente nel dibattito si creeranno idee contrapposte, ma ciò non fa che rafforzare lo scopo di chi usa la “Finestra di Overton”, ovvero quello di fare passare interessi particolari all’origine inaccettabili finanche come idea dalla maggioranza della gente. Basti pensare all’idea della “SuperLega” europea per club, partita all’origine come un’idea eretica da collocare in futuro molto remoto, e che sta invece proseguendo spedita nelle stanze apicali del continente, e si andrà presto a concretizzarsi nella reale forma prefigurata dall’inizio dai suoi ideatori. Siamo, nel calcio continentale, nella quarta fase della “Finestra di Overton”, la fase dell’idea “Sensata”. In questa “fase sensata” si sono raggiunti alcuni obiettivi evidentemente fondamentali, come aver convinto i tifosi della necessità di un approccio industrial/finanziario da parte dei club, e aver stabilito il digitale come totem sul quale far confluire la testa di ponte dello sport più amato e seguito al mondo.
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Da molto, tantissimo, tempo si parla di riformare il mondo del calcio, operando su problematiche e potenzialità di uno sport ormai assurto a vera “agenda” della quotidianità mondiale. In Italia, al solito, si ha la sensazione di un incedere un po’ alla cieca, dove con molta difficoltà si riescono a distinguere gli interessi generali da quelli particolari. Di fronte ai cambiamenti strutturali innervatisi nel contesto socio/culturale/economico del “BelPaese”, ben poco si è fatto per intervenire sulle criticità generate dai suddetti cambiamenti. Un tempo la politica italiana riusciva, pur in tutte le sue contraddizioni, a “vedere” e a “regolare” il futuro, condizioni smarrite negli ultimi decenni. Il tempo passava e nessuno ad accorgersi, ad esempio, come il calcio si fosse perso nel cammin di nostra vita sia la “strada”,sia l’oratorio. Quei contesti, nella formazione di un giovane calciatore, avevano il pregio di essere “veri”, adatti ad esprimere, senza la “Spada di Damocle” della differenza tra “ufficialità” e “ufficiosità”, la vera sostanza di miseria e nobiltà calcistica di un adolescente. Ora tutto ha il marchio di scuole calcio rigidamente organizzate nel nome di club e sponsor illustri, dove l’effimero ha preso il posto della verità.
Il termine “strada”, nella lingua italiana, è polivalente. Può avere un senso molto concreto (la strada che percorriamo con un’automobile), può avere un senso metaforico (perdere tutte le sicurezze materiali e “ritrovarsi in mezzo ad una strada”), o può avere un significato esistenziale (riferirsi ad un’impostazione di vita). Nel film Premio Oscar di Federico Fellini, la strada è la storia di un saltimbanco (Anthony Queen) che ripete sempre lo stesso rituale, annunciato, con l’ausilio di tromba o tamburo, dalla sua assistente (Giulietta Masina). I due, pur partecipando alla stessa attività, la interpretano in modo differente. Gelsomina (Giulietta Masina) vede l’invisibile e il magico nella strada che percorre, Zampanò (Anthony Queen) è l’uomo delle cose tangibili: mangiare, bere, sesso. Sembra non esserci convergenza in questo modo di percorrere parallelamente una strada, con Fellini ad indicarci, con il suo sguardo cinematografico, una via senza salvezza. Ma in realtà il grande regista romagnolo invita tutti a fare uno sforzo di sentimento e di logica, provando trovare una via mezzo tra cielo e terra. Non possiamo più recuperare, per i nostri ragazzi, quella possibilità di affascinante anarchia tecnica con un pallone, che la strada e il campetto di oratorio potevano donare; ma abbiamo il dovere di porre il problema se il fiume carsico del calcio passi attraverso delle accademie del pallone, dove l’effimero ha sostituito lo spirito del gioco.
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L’ufficialità recita come una scuola calcio, dotata di volenterosi e prodighi tecnici, può far nascere un campione. L’ufficiosità, ovvero il verosimile più simile al vero, racconta di campioni che continuano a nascere tra la “favelas” brasiliane, tra i “Barrios Olvidados” argentini, nelle “Banlieue” francesi. Ma, come detto, non si può tornare indietro, e l’Italia dovrebbe seriamente porsi il problema di come trovare una vera via per far tornare la sua scuola calcistica nei piani alti del mondo. Le istituzioni e tutti gli apparati calcistici, dovrebbero trovare una chiave per riattivare un feeling con la gente, in modo da ritrovare una loro partecipazione. Il calcio è della gente, che non sono un sinonimo di “consumatori”. E voglio fare, anzi, gridare alcune domande: è ancora possibile seguire il calcio senza essere consumatori? C’è spazio per seguire le meraviglie del mondo senza qualcuno lì a chiedere di mettere prima mani al portafoglio? Possibile come non sia più rimasta una possibilità di scelta? Bisogna per forza “trovare l’uomo da corrompere”, altrimenti non ci si sente sicuri? Per qualcuno queste saranno domande eccessivamente retoriche, ed è comprensibile. In una contemporaneità dove ormai si è confusa l’utilità con il bisogno, l’affermazione personale con l’affermazione di un contesto generale, tutto ormai è così meccanicistico da essere diventato estraneo, se non nel momento effimero del soddisfacimento di un bisogno.
L’attaccamento alla “maglia”, il vecchio stadio dove giocavano i campioni sopravvissuti per anni nei racconti orali, la squadra avversaria a cui mostrare la propria diversità, sono orpelli ingoiati dalla fascinazione di qualche “logo” planetario, avido più di fatturato che di storia. E forse erano orpelli da sostituire, ma non certo con un logo. A distanza di anni riesco quasi a comprendere l’amoralità di quella importante azienda italiana che cercava l’uomo da corrompere. In fondo ciò che non si vede, si potrebbe pensare, a chi male può fare? Meglio far funzionare le cose, che vederle arrancare nella fatica di voler cercare a tutti i costi armonia. Meglio la funzionalità certa della soddisfazione di un bisogno, che l’incerto percorso di provare a fare le cose per bene, per poi vedere se si riesce a vincere. Forse andare oltre l’ufficialità potrebbe far riscoprire il senso delle cose e riscoprire antichi profumi, rischiando anche di trovarsi di fronte a sgradite sorprese. Ma almeno sarebbe vita vera, smettendo di confondere il bisogno con l’utilità. Per comprendere questa differenza, potrebbero venire in soccorso le parole felliniane del “Matto” a “Gelsomina”: “tutto è utile, anche questo sasso. Se questo sasso è inutile, allora tutto è inutile. Anche le stelle”. Le splendide note di Ennio Morricone suonate prima dell’inizio delle partite dell’ultima giornata di campionato, dicono come le stelle stiano sempre lì a nostra disposizione. Basta alzare gli occhi al cielo e guardarle.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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