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columnist
La “crisi” può rappresentare un momento importante di cambiamento, di crescita. Sarà per questo che il Toro, per la seconda volta, allarga le braccia e accoglie senza troppe domande un portiere in crisi. Il 2016 aveva visto l’arrivo a Torino di sir Charles Joseph John Hart in conflitto con Guardiola. Un Joe Hart che aveva scelto di allontanarsi dal City e dalla terra d’Inghilterra, piuttosto che non giocare. Un Hart che a giugno ci ha salutati da innamorato granata, da tifoso del Toro. Kammooon!
Il 2017 è l’anno di Sirigu, che atterra a Caselle coi crampi dell’amarezza masticata nell’ultimo anno da giocatore del PSG in prestito un po’ qua un po’ là, ma determinato anche lui a fare l’unica cosa che ritiene importante: giocare.
Che l’aria al PSG non tirasse dalla parte migliore era chiaro da tempo. La prima volta che si è parlato della possibilità di un Sirigu-Toro è stato ad agosto del 2016. Ma a far telefonate e passi nella sua direzione c’erano anche la Fiorentina, la Roma, il Palermo, quel Palermo che se lo era cresciuto, prima di vederlo puntare Parigi e partire. Si parlava addirittura di uno scambio tra Inter e PSG – se tu dai un portiere e me, io poi ne do uno a te – Handanovic a Parigi, Sirigu a Milano.
D’altra parte, Sirigu a gennaio del 2016 era stato molto chiaro nei confronti del PSG: "Io valuterò tutte le proposte, anche perché non mi nascondo, non mi piace non giocare, lo accetto, sto zitto e non ho detto mai una parola fuori posto, perché è il mio lavoro e non ho voglia di lamentarmi perché non serve a niente, quindi mi comporterò nella maniera più professionale possibile. Poi è normale che se durante il mercato arriva una squadra per parlare con il mio procuratore o con il club vedremo. La parte economica è l'ultima cosa che m'interessa in questo momento, anche perché sono altri i dettagli da analizzare: io ho ancora due anni e mezzo di contratto qua, ma se sono un peso, vado via”
E non erano parole cariche di aria. Il PSG non crede più in lui dopo cinque anni di successi? Bene, Sirigu fa le valigie e va a giocare in prestito nel Siviglia. Ma non basta, dopo qualche mese accetta un secondo prestito all’Osasuna, l’ultima, ultima, squadra della Liga. Nulla di disonorevole, anzi. Per un giocatore che arriva dai vertici del calcio mondiale – compagno di squadra dei grandi, da Ibra a Silva, titolare in Ligue 1 e in Champions - è stata sicuramente una prova di carattere che non è alla portata di tutti gli uomini.
Ecco perché quando vedo Sirigu corrucciato tra i nostri pali, impegnato a spostare compagni per falsare il mirino degli avversari, penso: ragazzo mio, sei arrivato al posto giusto, tra quelli che non mollano e, se è il caso, ricominciano tutto daccapo. Un pensiero già pensato per Hart l’anno scorso, ma che quel sardo di Sirigu impersona fino all’osso.
È un portiere che nel curriculum non si fa mancare nulla: al PSG stabilisce il record di minuti di imbattibilità, vince il campionato, risulta per due volte “Miglior portiere della Ligue 1”; è suo, il settimo posto tra i dieci migliori portieri dell’anno nella classifica dell’IFFHS. Ma anche la presenza nell’umile Osasuna impreziosisce il suoi successi: nella partita contro l’Atletico Madrid para due calci di rigore in due minuti. Il primo della sua carriera in serie A, di rigore, lo aveva parato al piede fatato di Ljajic.
Uomo saldo, oltre che sardo. Rispettoso dei ruoli ma orgoglioso, costi quel costi. Costi anche la differenza di ingaggio tra il PSG – 3,4 milioni – e il Toro – 1,2 milioni. Che sono comunque sempre moltissimi, degni di un grande professionista. E poi si sa, i portieri meritano sempre un discorso a parte. Portano il numero uno sulla maglia anche se sono gli ultimi, parlano in continuazione ai compagni ma sono soli tra i pali, possono non sfiorare palla per tutta la partita oppure farla da soli, con un tuffo, la partita. Non possono che essere originali per carattere e ambizione, i portieri. Mondonico nel 2007 disse: «Sirigu sarà il portiere dei prossimi dieci-quindici anni». E oggi, Sirigu, è al Toro. Buffon ha pianto e se ne è andato, anche la Nazionale ha bisogno di un portiere. Magari qualcuno che lo è già stato. Magari quello del Toro, di portiere.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
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