Nel 399 a.C., Socrate fu condannato a morte, nonostante il geniale filosofo ateniese avesse dimostrato l’infondatezza della accuse contestategli in un processo pubblico tenutosi nell’Areopago di Atene, sostanzialmente per sacrilegio(empietà) e corruzione di giovani. Subito dopo la sentenza accade qualcosa che a noi individui del terzo millennio apparirebbe quasi contro natura: Socrate, che potrebbe tranquillamente fuggire da Atene e per questo fortemente incitato dai suoi discepoli, decide di sottoporsi alla sua condanna. “La legge è giusta, e ad essa devo tutto ciò che sono; quindi, anche se gli uomini la hanno applicata male, è sbagliato infrangerla…”, giustificò Socrate la sua scelta di fronte agli affranti discepoli e amici più stretti.
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Sono 35: la legge non conta
Questo passaggio storico importante(per la filosofia del diritto, per l’etica, per il concetto di democrazia), mi è ritornato in mente quando, trovandomi di fronte all’ingresso principale dello Juventus Stadium (oggi Allianz Stadium, in “onore” all’epoca caratterizzata dagli sponsor globali), ho visto un numero 35 in campo bandiera tricolore posto sulla vetrata incastrata tra tubi innocenti, partorita dall’ingegno e dalla matita di Giorgetto Giugiaro.
Quel numero 35, che ricorda agli avventori dello Stadium il numero di campionati vinti dalla squadra bianconera, contrasta in modo evidente con la sentenza emessa dal processo di “Calciopoli”, che stabilì la revoca degli scudetti vinti dalla Juventus nei campionati 2004/2005 e 2005/2006. Oltre alla revoca dei due scudetti, la sentenza portò anche alla radiazione sportiva di Luciano Moggi e Antonio Giraudo, i due più influenti componenti di quella passata alla storia come la “Triade” a capo della Juventus(il terzo componente era Roberto Bettega). Solo la prescrizione, nel 2015, salvò Moggi e Giraudo dalle condanne penali, comunque già ricevute. Da allora fu prima Serie B, seguita poi da una poderosa rinascita che ha portato la società bianconera ad essere indiscutibilmente la più potente e ricca d’Italia e d’Europa. Il lavoro di Andrea Agnelli alla Juventus è stato eccezionale(e forse genera qualche rammarico che sia stato Jaki Elkann e non lui ad essere designato in rappresentanza della famiglia Agnelli nel consiglio d’amministrazione Fiat), ma quel numero 35 pone un qualche interrogativo etico e di forma, che evidentemente non deve aver sfiorato la mente dell’erede di Umberto Agnelli.
C’è di che parlare di potere esibito con stimmate tentacolari, e di conflitti d’interesse giganteschi. E non ha fatto nemmeno molta notizia il prestito di 50 milioni di euro al tasso d’interesse di mercato, fatto alla Juventus dal suo azionista di riferimento(cioè la famiglia Agnelli) qualche tempo fa. Ormai i proprietari di molte squadre di calcio non mettono più soldi loro nei club che presiedono, semplicemente glieli prestano. La cosa farebbe sorridere ironicamente, se le conseguenze non fossero un aggravio dell’indebitamento delle squadre di calcio. E’ tutto legale, certo, ma lo è perché non c’è un quadro normativo sportivo ad impedire operazioni finanziarie dall’ aspetto, sia detto con franchezza, di una rapina. E qui ritorniamo all’annoso problema della totale ignavia degli organi dirigenti federali, da anni totalmente assenti sul fronte della tutela del fairplay sportivo. Al libero mercato, alla bravura o meno dei suoi operatori, non dovrebbe essere consentita la libertà di rapina (se agli uomini non dai delle regole, finiscono, anche involontariamente, di portare avanti pratiche da rapina). Ma questo sembra un concetto difficile da far passare, in un Paese dove non si riesce a pretendere il rispetto di sentenze a cui gli stessi imputati trasgressori avevano giurato di uniformarsi.
Non è importante, in questa sede, stabilire se la Juventus fosse colpevole o meno dalle accuse rivoltegli(anche se le dimissioni della “triade, furono solertemente accolte dalla proprietà, con un Roberto Bettega, totalmente estraneo al sistema Moggi/Giraudo, marginalizzato per sempre dalla società bianconera. E se non siamo di fronte ad un’ammissione di dolo…), ma piuttosto se una realtà evidentemente molto potente(la Juventus) possa infischiarsene allegramente di una sentenza di un tribunale federale.
A memoria non mi viene in mente nessun esempio analogo avvenuto nel mondo dello sport. E per mondo dello sport non intendo solo quello del calcio. Una federazione forte, un politica forte, sarebbe intervenuta su un fatto di una gravità inaudita. Perché, se è vero che ad Andrea Agnelli non può essere contestato il reato d’opinione di due scudetti che a suo dire non dovevano essere revocati, c’è una forma, nella vita, assolutamente da rispettare. Uno può anche considerare Benito Mussolini lo statista del secolo, ma c’è una legge che vieta sia i simboli, sia la ricostituzione del partito fascista. Potrà piacere o non piacere, ma il rispetto della legge e il suo apparire uguale per tutti è il fondamento cardine di ogni democrazia e di ogni stare insieme tutelando interessi e obiettivi diversi.
Quando il 2 aprile del 1982 scoppiò la “Guerra delle Falkland”, il principe Andrea di York era imbarcato come ufficiale di marina sulla portaerei “Invincible” subito inviata nel cuore delle operazioni di guerra. Il governo della corona avrebbe voluto far sbarcare dalla Invincible il principe Andrea, per evitare l’ipotesi di un membro della famiglia reale caduto in battaglia. Ma Elisabetta II di Windsor impose che il figlio rimanesse al suo posto. Il messaggio fu chiaro: tutti, di fronte al dovere e alle regole, dobbiamo non solo essere uguali, ma anche apparire uguali. Se consideriamo questo concetto vitale (e spero davvero che nessuno di noi si senta inferiore ad Elisabetta II), allora dobbiamo pretendere dal futuro presidente federale una rimozione immediata di quel 35 troneggiante sull’ingresso principale dello Juventus Stadium. Se ciò non avverrà, allora sarà sancito il prevalere degli interessi dei pochi sugli interessi dei molti. E la notte scenderà ancora più scura sulle vicende del calcio italiano. Ad Andrea Agnelli possiamo perdonare un rigore in più concesso alla sua squadra, ma non si può accettare che lui, in modo brutalmente autoreferenziale, si ponga al di sopra della legge e delle regole.
Nel film “Gli intoccabili”, una piccola squadra di agenti(gli “intoccabili”) guidata dall’ispettore del tesoro Elliot Ness si batte, subendo gravi perdite, per porre fine al contrabbando di alcool controllato dal temibile e feroce Al Capone. Dopo tremende peripezie, gli intoccabili incastrano il boss italoamericano. All’uscita dal tribunale dove Al Capone è stato appena condannato, un giornalista comunica ad Elliot Ness l’abolizione della legge sul proibizionismo, chiedendo all’ispettore del tesoro le sue intenzioni da quel momento. La chiosa di Elliot Ness è memorabile: “mi andrò a bere un bicchiere”.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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