Odiare non è uno sport, ma molti odiano per sport.
columnist
Amo dunque Toro
E lo fanno allenandosi assiduamente a quanto pare, soprattutto in ambito calcistico.
È questo quello che rileva una ricerca dell’Università di Torino, che ha analizzato per qualche mese i commenti su Facebook e Twitter lasciati dagli utenti sulle principali testate giornalistiche sportive. Niente Tik Tok e niente Instagram, dunque una ricerca che ha come target un pubblico di adulti e non di giovanissimi. Adulti che in una percentuale oscillante tra il 10 e il 20 commenta gli avvenimenti sportivi utilizzando elementi classici dell’hate speech. Classici per la struttura del pensiero ma peculiari nel lessico: merdazzurro… i neologismi fioriscono.
Il prerequisito sembra essere quello del discorso volgare che poi però diventa qualcosa di più che colorito, sbocciando in un bouquet di fiorellini di campo che vanno dall’offesa all’insulto discriminatorio per arrivare alla minaccia di aggressione “Ti aspetto sotto casa”, “Ti ammazzo”. Profumo criminale.
I picchi dei commenti carichi di odio si realizzano sugli eventi calcistici che generano più controversie, dall’arbitro venduto al derby svenduto.
Balotelli e Lukaku i cognomi più bersagliati dalle freccette dei commenti degli odiatori professionisti, che odiano palesarsi e preferiscono odiare comodamente alloggiati nell’anonimato di uno pseudonimo non riconducibile a una persona. L’odio fa volentieri a meno del coraggio che ci vuole per rivendicare una frase come propria.
https://www.toronews.net/columnist/sotto-le-granate/se-vogliamo-che-tutto-rimanga-come-bisogna-che-tutto-cambi/
Vent’anni fa si credeva che i commenti scritti sulle lavagne virtuali dei social sarebbero stati più ponderati proprio perché scritti, scrivere prevede un tempo di riflessione un po’ più lungo rispetto al parlare. Comunque no, vent’anni sono serviti proprio per dimostrare che si può parlare come scrivere, senza riflettere.
Le parole hanno una forza spesso sottovalutata, le parole male-dette hanno più effetti negativi di quanto si pensi, rivolterebbe il mondo il semplice atto di imparare a bene-dire. O almeno tacere.
Nella classifica delle squadre in cui più si pratica l’odio professionistico non compare il Toro.
Vuoi perché abbiamo meno tifosi.
Vuoi perché non si morde abbastanza la classifica.
Ma io voglio pensare che chi ama non odia. Chi ama il Toro non odia.
Certo, qualcuno pensa che amore e odio viaggino in coppia. Io ritengo che se odi una persona o qualcosa che hai profondamente amato, l’amore in realtà non ti si è mai regalato. O quantomeno eri tu, l’oggetto del tuo amore. L’amore vola alto e non odia, è sempre una parte bassa e sconfitta dell’essere, a farlo.
Voglio pensare che la ricerca abbia setacciato le parole di odio nel calcio, rintracciandole in un 10-20% dei casi, ma se avesse investigato sulle parole che rimandano alla passione, all’integrazione, alla gioia e alla condivisione, avrebbe trovato percentuali di riscontro molto, molto più alte.
Amare, è sport.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
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