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Esperimenti sociali a Verona

Maria Grazia Nemour
Rubriche / Torna Sotto le Granate: "Personalmente proverò a tesaurizzare l’esperienza del mio amato Toro a Verona, tenterò di tenere sempre a mente che la lucidità del pensiero è l’arma di chi vince"

Continuano gli esperimenti sociali del Toro: prendiamo undici uomini che stanno disputando una partita  esaltante in quanto a potenza e tattica, diamogli un vantaggio conquistato con onore di tre reti, poi…e poi?

E poi stiamo a osservare l’imponderabile, perché a giocare sono uomini, e gli uomini non sono programmabili fino all’ultimo pensiero. Gli uomini sorprendono. Nel bene e nel male, sorprendono. Quanto vale la capacità mentale – al di là di quella fisica – di non pensare mai finita una partita fino a che l’arbitro fischia tre volte? Vale un pareggio. Un pareggio figlio di una splendida vittoria non realizzata.

Abbiamo regalato al Verona – con coliche di dispiacere – una grande storia da raccontare intorno all’albero di Natale ai piccoli tifosi veronesi che nasceranno: sai, una volta perdevamo tre a zero contro un Toro scatenato e…abbiamo rimontato una rete dopo l’altra! Pazzini che tutti credevano avesse avviato le pratiche per la pensione, e invece. Stepinski che da due anni digiunava gol, e poi. L’epopea del pareggio. Il quarto d’ora scaligero. Ci abbiamo creduto.

Anche il Toro ci ha creduto. Ma di aver già vinto, ha creduto. Devo essere onesta, anche io al 60esimo pensavo fosse vinta. Entra Belotti e Mazzarri lo spinge con un: “Vai ragazzo, fai il quarto e chiudi la partita”. Non sono tra quelli che dicono piuttosto che così,meglio se avessimo perso. No, neanche un po’. E non sono neanche tra quelli che dicono meglio se avessimo recuperato noi tre reti.

Non si può avere quello che non è accaduto, ma possiamo rendere preziosa l’esperienza vissuta, a partire dal riconoscimento di aver gioito per un rutilante Ansaldi, un preciso Berenguer, un crescente Verdi, un ritrovato Belotti, un pronto Zaza. Ma soprattutto, possiamo rendere prezioso il ridimensionamento dell’ego imposto dall’umiltà di non sentirsi mai superiori a un avversario che deve ancora essere battuto.

Personalmente proverò a tesaurizzare l’esperienza del mio amato Toro a Verona, tenterò di tenere sempre a mente che la lucidità del pensiero è l’arma di chi vince. Spero di ritrovarmi anche io, un giorno, a raccontare intorno all’albero di Natale, a piccoli tifosi granata non ancora nati, una grande storia di carattere: c’era una volta un Toro che si era fatto rimontare dal Verona di tre reti a mezz’ora dalla fine; fu un esperimento sociale… senza quel pareggio così amaro non avrebbe imparato la lezione fondamentale che poi lo contraddistinse sempre in futuro: chi guarda la partita non deve capire dall’approccio dei calciatori se il minuto giocato è il primo o l’ultimo.

Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicare loro un po’ la vita.

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