Sabato sera era il solstizio d’inverno e io ero combattuta tra il futuro del Toro e quello della Terra, c’era la partita e c’era l’appuntamento mondiale per le meditazioni di gruppo in vista del passaggio astrale. Alla fine ho optato per la terra di mezzo, ho tifato la prima parte della partita e poi sono andata a salvare la Terra con la meditazione.
columnist
Il Bel Torino
Mi sono allontanata dal Toro con cuore leggero, Rincon era entrato dirompente sul risultato e l’approccio della squadra era offensivo. Serena.
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Al termine della meditazione, carica dell’energia positiva generata, quello che stava nella posizione del Fior di Loto davanti a me, si allaccia le scarpe e dice: hai visto i risultati?
Gli rispondo di no, che li guardo a casa.
Ma quello insiste: meglio se non li guardi proprio.
Lo fisso… pareggio?
Scuote la testa…no, no, no, ma figurati, non ci credo. Non ci credo che abbiamo perso. No, no, e ancora no, non ci credo!
E invece poi guardo gli highlights e ci credo. Pareggio, espulsione, lotta, disfatta.
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E poi li guardo un’altra volta e una volta ancora gli highlights, e mi chiedo com’è che parla così tanto di me questo Toro che si impegna, lavora e non realizza. Un Toro che a Ferragosto costruiva aspettative e a Natale le delude. Un Toro che mi rende intollerante alla repressione in curva, ma prima ancora al sopruso, in curva.
Io sono quel Toro lì, che tribola. Sono quella che certo non si scrive il nome in arabo sulla maglia per fare integrazione, quello serve solo a fare soldi, come giocare il torneo di uno sponsor dall’altra parte del cielo e aver la velleità di chiamarlo Super Coppa Italiana.
Vabbè, la Vigilia pensavo che quest’anno Natale andava così, con poco granata a colorarlo.
Ma poi succede che quando tutto è scuro, anche solo la fiammella di una candela fa una luce inaspettata.
Ieri mattina, in ufficio, la bimba di un collega mi sbircia dalla porta, le chiedo se voglia un cioccolatino e lei entra, si siede. Indica la fotografia appesa alle mie spalle e mi dice che li conosce quei giocatori lì, il papà l’ha portata a visitare un museo e c’era proprio quella foto lì.
Mi chiede se li ho visti giocare.
Le rispondo di no, che me li hanno solo raccontati, come hanno fatto con lei.
“E tu volevi vederli?”
“Sai che non lo so? Mi piacciono tanto, ma c’era la guerra quando giocavano, e poi dopo tutto era distrutto, bisognava ricostruirlo. No, non avrei voluto nascere allora”.
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Il papà la chiama e lei scappa via. Ma qualche momento dopo è di nuovo sulla soglia “Mio papà dice che è il Torino quello. Il bel Torino”.
Sto per correggerla, sto per dire che è il Grande Torino, ma a un tratto il Bel Torino mi sembra perfetto.
Alzo la mano sulla testa a cresta e le auguro Buon Natale.
Lei abbozza allo stesso modo. La sento correre in corridoio, ride.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
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