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columnist
Il Toro al bancomat
In coda al bancomat incontro un compagno di lunghe tribolazioni granata, che mi dice: “Prelevi, hai comprato qualcuno per il Toro?”
Io annuisco, dico che prelevo 500 milioni e rotti, compro tutto il PSG che manca di armonia, e con i saldi d’agosto me lo tirano dietro.
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Nella finale di Champions giocavano 500 milioni contro 100, e hanno vinto i 100. Boh, magari al prossimo derby facciamo i conti e proviamo a ricordarci che ha vinto la Champions chi ha corso dei rischi consapevoli, prendendo atto che in una partita è folle pensare di controllare tutto, ma il pallone, quando ce l’hai, quello sì, che lo devi saper controllare. È il tuo mestiere.
E dopo il bancomat, una sosta all’immancabile bar Sport, per sottoporre Rodriguez, Linetty e Vojvoda alla visita del tifoso. C’è chi li passa subito abili e arruolati, chi ha qualche remora e li vorrebbe rivedere dopo nuovi accertamenti su motivazioni e prestazioni.
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Io al bar Sport ho voglia di parlare di un calcio benedetto che sulla Striscia di Gaza – un pezzo di terra grande quanto l’Emilia Romagna, dove ogni cosa è più difficile rispetto al resto del pianeta – spinge un gruppo di ragazze a formare una squadra di calcio, una squadra che probabilmente potrà solo allenarsi, che mai giocherà contro altra formazione: non si esce dalla Striscia per giocare a calcio. Un calcio benedetto che rivoluziona la figura di un gruppo di giovani donne nella società, che insegna loro a divertirsi correndo con un pallone in mezzo ai piedi, che è sì strumento, ma anche fine, basta a se stesso.
Io al bar Sport ho voglia di parlare di un calcio maledetto che in terra d’Inghilterra ha recluso un ragazzino di 12 anni per atti razzisti ai danni di Zaha, attaccante del Crystal Palace. C’è andato pesante il ragazzino, improvvisandosi novello incappucciato scribacchino del Ku Klux Klan. Ma se un bambino, in 12 anni di vita, ha avuto modo di immagazzinare così tanto odio da scrivere parole delle quali sicuramente neanche comprende a pieno i miasmi che esalano, perché il male è così, banale, ecco, se un bambino a 12 anni è ritenuto criminale non recuperabile da parte della società, che lo sbatte dietro le sbarre e gli infligge il daspo a vita, forse, forse l’intolleranza, l’egoismo di chi si ritiene buono senza volto davanti ai cattivi additati dai riflettori del mondo, hanno vinto. Quei disvalori del KKK sopravvivono in chi giudica colpevoli gli altri, e a priori assolve se stesso. Ci vorrebbe un po’ di autocritica condivisa dalle famiglie, scuola, amici e istituzioni. Io non ci sto a non mostrare a un bambino di 12 anni un mondo diverso da quello che ha scritto su un messaggio.
Certo, se quel messaggio razzista fosse stato ripreso con un semplice buffetto sulla testa mi sarei ugualmente inorridita. Esiste la misura. Ma chi la stabilisce la giusta misura?
Mi viene il dubbio che il calcio sia fondamentalmente polemica, si alimenta di visioni contrapposte che si scontrano, e quando il campo non ne dà modo, il modo si inventa altro campo.
Prendo il caffè, comunque Rodriguez, Linetty e Vojvoda passano la visita del bar Sport, 16 milioni ben spesi. Vado a far la coda per comprare il pane, aspettando di vederli allo stadio.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
Disclaimer: gli opinionisti ospitati da Toro News esprimono il loro pensiero indipendentemente dalla linea editoriale seguita dalla Redazione del giornale online, il quale da sempre fa del pluralismo e della libera condivisione delle opinioni un proprio tratto distintivo
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