Chi ha visto gli Invincibili coi suoi occhi, oggi ha più di 75 anni.
columnist
Invincibili tempi
È una cosa che spesso mi capita di pensare durante le commemorazioni pubbliche: chi racconterà la storia, quando non ci saranno più testimoni?
Certo continuerà a esistere la narrazione istituzionale, ma incartapecorirà senza le lingue che la raccontano con le giuste pause degli anni, le bocche contornate dai segni del sorriso e del pianto, gli occhi annegati nella commozione di tornare laggiù, il remoto luogo del ricordo.
Chi ha visto giocare gli Invincibili mai come adesso ha diritto all’ascolto e all’attenzione. Ha diritto alla tenerezza e alla protezione. Sospendiamo ogni altra attività quando parlano, e ringraziamo per il loro dono.
Saremo capaci, noi, di tramandare la storia orale che abbiamo avuto il privilegio di ascoltare da chi l’ha vissuta?
Non lo so, quando racconti gli Invincibili a tuo figlio non ti limiti a delineare i tratti salienti di una squadra di calcio, vuoi passargli il senso di grandezza di quell’esempio, perché è quello che gli può servire, oggi. Gli vuoi trasmettere l’emozione ieratica dell’ascesa a Superga, i passi col cuore in attesa prima di arrivare alla lapide per scoprire se sono ancora lì. Sì, sempre lì. Ti prendi qualche minuto, tutto il tempo che ci vuole per leggere i nomi, tutti.
Gli Invincibili.
Erano gli Invincibili che dribblavano la guerra.
Erano gli Invincibili che costruivano il gioco e rappresentavano la volontà del fare, sui campi di macerie lasciate dalla morte e della distruzione.
Erano gli Invincibili che liberavano l’Italia dalla sudditanza psicologica di un Paese battuto che incredibilmente trovava la forza di rialzarsi, la volontà di dirigere il proprio futuro.
Gli Invincibili, che come tutti i miti, incarnano le grandi promesse della vita fermate dalla morte.
Abbiamo immaginato per decine di anni di essere destinati a vivere tempi piuttosto anonimi e invece ora sembra che saremo chiamati anche noi alla ricostruzione.
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Le macerie che lascerà il bombardamento del virus e della sua sciagurata gestione richiederanno una ricostruzione. Economica, ma più ancora sociale. Dunque anche sportiva.
Gli Invincibili sono invincibili se sanno celebrare il miracolo: creare speranza.
Sono Invincibili i giocatori del Napoli quando si tassano per integrare il reddito dei tanti lavoratori della struttura-squadra, eroso dalla crisi.
Sono Invincibili i giocatori del Parma che una volta si improvvisano narratori di favole della buona notte per i tifosi più piccini e un’altra volta si sbizzarriscono in telefonate pasquali ai tifosi più in là con gli anni.
Invincibili i Toro club – l’“Alto Canavese”, ad esempio – che raccolgono fondi e acquistano mascherine, guanti, e poi li portano in ospedale con la maglia granata addosso, per il piacere di associare un grande amore a un gesto di solidarietà.
Invincibili gli infermieri che scrivono Moretti sul camice, oppure scrivono Superga: un’idea energizzante che possa aiutare ad affrontare il doppio turno in corsia, sapendo che semplicemente non ci si può fermare. Mai come adesso, ci è richiesto di non lasciarci vincere.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
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