Potremmo ritornare alla normalità cambiando tutto. O quasi.
columnist
Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi
Si ritorna a giocare dopo un sonnellino obbligato di lunghe settimane. C’era chi si allenava nella sua palestra personalizzata nel parco di casa, chi era confinato in alloggio e correva su e giù per le scale. Chi era da solo e chi non era mai stato così tanto tempo insieme alla moglie.
Il ricominciamento potrebbe risentire di quello stiracchiarsi tipico dei gatti dopo il riposino, quello che permette qualche risultato inaspettato a inizio campionato, quando qualcuno arriva dalle partite di Europa League, qualcuno da tornei esotici, altri in infradito, direttamente dalla spiaggia. Forme fisiche non ancora perfettamente omologate dallo standard prefissato dal progetto dalla squadra.
Si ritorna a giocare con un polmone in meno con cui correre, il fattore campo. Niente spinta fatta dell’energia di chi profondamente ama e fortemente tifa. La casa è il luogo migliore quando c’è amore, il peggiore quando si vive di delusione e rancore.
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Si ritorna a giocare con regole che non avevano mai regolato il calcio: 5 cambi.
Fino agli anni sessanta chi entrava in campo ci rimaneva fino al termine del confronto, dosava forza e recupero spalmando la prestazione su un tempo che conosceva e non poteva cambiare. Stoicamente, chi lasciava il campo prima del tempo, lo faceva in barella.
Successivamente, viene concessa una sostituzione.
Sono gli anni ottanta e le sostituzioni passano a due, nel 1995 si arriva a tre.
E tre… iniziano a diventare qualcosa di più che il modo per sostituire il giocatore zoppicante. Cambiare tre giocatori in una partita può diventare un modo diverso di giocarla, quella partita. La gara è concepita per 14 giocatori, non è così centrale il fatto che ne scendano in campo 11 alla volta. Ci sono allenatori che impostano le strategie di gioco investendo sull’equilibrio, ogni volta diverso, che si crea con la sostituzione di un ruolo o uno specifico profilo, in quel ruolo.
Nel 2020, l’anno bisesto della pandemia, la Fifa decide che le sostituzioni passano, momentaneamente, da tre a cinque. Un po’ perché si giocherà a ritmo serrato per recuperare la primavera vissuta sospesa in una bolla di incertezza, un po’ perché si giocherà con temperature inusuali, quelle tipiche dell’estate.
Fatto sta che se tre cambi, prima, potevano influenzare una partita, ora, cinque, sono in grado di determinarla.
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Mi torna in mente un vibrante derby giocato sui cambi. Era il 2016 ed era dicembre, sulle panchine Miha e Allegri guardano un primo tempo equilibrato, che ricomincia dopo 15 minuti di pausa allo stesso modo, equilibrato. Mancano poco più di 20 minuti alla fine, il gol di vantaggio è ballerino e Allegri sostituisce Lemina con Sturaro, Mandzukic con Dybala.
Miha replica con Acquah al posto di Baselli. Allegri sorride, tirando fuori Cuadrado e inserendo Pjanic. Subito Miha ringhia e ulula togliendo Benassi e Iago, dentro Martinez e Boyè.
Ecco, tanto per dire che anche con i cambi ognuno fa come può, con quello che ha, nel modo che più gli somiglia.
Avere una panchina di titolari, trasforma le scelte da ripiego in strategia.
Insomma, cambierà tutto.
E quando cambia tutto, il Gattopardo insegna… probabilmente non cambierà nulla.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
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