- Calciomercato
- Prima Squadra
- Giovanili
- TN Radio
- Interviste
- Mondo Granata
- Italia Granata
- Campionato
- Altre News
- Forum
- Redazione TORONEWS
columnist
Che le notizie di mercato vadano prese con le pinze è un assioma che anche il più ingenuo degli entusiasti ha mandato a memoria da tempo. Che le verità contenute in queste notizie siano inferiori percentualmente alle probabilità di vincita al Superenalotto è altrettanto indiscutibile. Eppure una costante del calciomercato del Torino, di questa come di passate sessioni, resta legata alla difficoltà di arrivare a mettere sotto contratto certi profili di giocatori a causa dell'incapacità di sostenere determinati livelli salariali che non rientrano nei tetti stabiliti dai vertici societari.
E così succede, magari, che raggiunto l'accordo con la Roma per l'acquisizione del cartellino di Ljajic, acquisto validissimo, la trattativa si areni sulle richieste economiche del giocatore il quale, forte di un contratto da due milioni di euro a stagione coi giallorossi, mal si dispone a decurtarsi l'emolumento fino al milione di euro, cifra massima corrisposta dal Torino ai propri tesserati.
Ora, che stabilire un tetto salariale sia un atto più che lodevole nell'ambito di una virtuosa amministrazione delle casse societarie non ci piove e trova tutti d'accordo. Lo "scudetto del bilancio" è una medaglia che il presidente Cairo si appunta sempre volentieri al petto e che nel calcio moderno ha in effetti un suo valore concreto. Il Torino è una società modello sotto questo punto di vista e la cosa inorgoglisce i suoi tifosi, reduci appena due lustri fa da un doloroso fallimento. Resta però l'inevitabile contraltare della "redditività sportiva", un parametro che una società di calcio non può trascurare anche perché spesso è strettamente connessa a quella economica. Più risultati si ottengono, maggiori entrate economiche proporzionalmente si hanno. Non è un principio matematico, ma è più vicino al vero della teoria opposta, quella cioè che vorrebbe maggiori risultati sportivi a fronte di maggiori investimenti economici.
Il salary cap , detto all'inglese, è obbligatorio in alcune leghe americane come l'NBA: tutte le squadre ne sono assoggettate e pertanto la competizione è, in linea di principio, più equa. Il Fair Play finanziario dell'Uefa dovrebbe esserne la versione edulcorata "all'europea" sebbene tutti sappiamo quanto sia osteggiato e malvisto da quelli a cui "piace vincere facile". Di fatto però il salary cap del Toro ne limita la capacità concorrenziale rispetto alle altre squadre di pari livello. Sforare il tetto d'ingaggio è possibile, ma stando alle logiche malate del calcio e seguendo una corrente di pensiero parecchio diffusa, ciò innescherebbe un effetto domino per il quale il resto della rosa batterebbe subito cassa per avere un adeguamento contrattuale. Una cosa che nel mondo reale del lavoro sarebbe anche solo ridicolo pensare, ma che nel mondo "fatato" del pallone è, ahimè, probabile grazie alla presenza di una categoria di professionisti della quale è difficile parlare bene: i procuratori.
In realtà, se la gestione virtuosa impone un freno agli ingaggi e dando per assodato che ciò sia corretto, la vera anomalia della vicenda è che il Torino applica un tetto al singolo salario e non, come logica vorrebbe, all'insieme dei salari, cioè al famoso monte salariale. Tra Messi e Masiello c’è un abisso in termini di retribuzione e lo stesso Masiello, se giocasse con Messi, non avrebbe difficoltà ad accettare tale differenza. Eppure se in linea teorica è possibile che Messi giochi con Masiello, di una cosa siamo certi: non accadrebbe nel Toro! Questo perché il tetto sul singolo salario impedisce l’acquisto di giocatori di fascia superiore al milione di euro di stipendio. Ed è un peccato perché già solo intorno al milione e mezzo o due ci sono tantissimi giocatori di ottima qualità che farebbero fare un grande salto in termini di ambizioni a questo Toro. Certo, per rispettare un monte salari adeguato occorrerebbe avere riserve fatte in maggioranza dalle cosiddette “scommesse”, cioè giovani che difficilmente guadagnano più di 3-400 mila euro ma almeno si avrebbe una rosa di titolari dalle potenzialità decisamente più alte. Il tetto ingaggi attuale è sì virtuoso dal punto di vista globale del bilancio, ma è sportivamente parlando un limite, perché impedisce, per poche centinaia di migliaia di euro sul singolo caso, di prendere (o di trattenere come nel caso di Immobile) di volta in volta i giocatori più adatti al progetto sportivo senza i cui buoni risultati nel medio periodo dipendono anche quelli economici. Il classico cane che si mangia la coda...
A ognuno lascio il proprio punto di vista circa il dilemma su questa particolare scelta di porre un limite all'ingaggio singolo piuttosto che una soglia non superabile sulla somma dei singoli ingaggi. La domanda ad ogni modo sorge spontanea: si vuole veramente competere a certi livelli o si fa di tutto per dimostrare, anche capziosamente, che ciò non sia possibile? Rivedere qualche rigidità sui tetti salariali (o anche solo un uso maggiormente disinvolto dei bonus) potrebbe essere la risposta che tanti tifosi vorrebbero sentirsi dare alla precedente domanda.
© RIPRODUZIONE RISERVATA